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Il fascino (indiscreto) dei soldi

27/02/2015

Oligarchi/Un breve viaggio nell’arte di ieri e di oggi per raccontare i ricchi, la finanza, il capitalismo predatorio. Tra immagini icastiche e rappresentazioni profetiche

Che sia piaciuto o meno – che abbia disgustato o esaltato – bisogna ammettere che The Wolf of Wall Street, ispirato alla vera vicenda di un famoso broker, un lupo della finanza, sia stato un fenomeno di cultura di massa che ha rimesso al centro dell’interesse popolare una fascinazione potente: quella per i ricchi. Il controverso film di Martin Scorsese racconta una classe ristretta di super-ricchi, ma non ricchi qualsiasi: i padroni della finanza, una minoranza di uomini che può tutto e può di più, che ha accesso all’estremo dei consumi, della droga e del sesso determinato dal denaro e dal potere da questo derivato.

Difficile stabilire se questa attrazione per l’oligarchia sia un ritorno o una novità nell’immaginario di film, libri o opere di vario tipo. Non a caso proprio in questi giorni, e fino a marzo, sta andando in scena al Piccolo di Milano la Lehman Trilogy, una saga famigliare in tre spettacoli sulla nascita, l’ascesa e la caduta del famigerato colosso bancario e finanziario, scritta da Stefano Massini e diretta da Luca Ronconi, a dimostrazione di due cose: che il teatro contemporaneo non è impermeabile alla cronaca e alla storia recente e che si sta sprigionando, in qualche modo, la forza poetica della crisi finanziaria mondiale inaugurata proprio dal fallimento della Lehman Brothers.

In questi ultimi anni a Hollywood la crisi è stata affrontata in diversi film – in alcuni confondendo, in altri spiegando troppo didascalicamente. Pochi hanno visto Margin Call di J. C. Chandor, ambientato in una notte prima della tempesta finanziaria tra gli uffici di una grande banca americana, che è l’opera più efficace nel ritratto della nuova oligarchia odierna.

Nella letteratura contemporanea lo scrittore statunitense che ha affrontato con più rigore il rapporto postmoderno tra arte, denaro e società è stato senz’altro Don DeLillo che con Cosmopolis, poi trasposto al cinema da Cronenberg, ha raccontato un’anti-odissea d’oggi con protagonista un anti-ulisse multimilionario. Cosmopolis non è solo un libro che ha predetto il movimento Occupy Wall Street, ambientato in una New York sotto assedio per la visita del presidente, e non è solamente una metafora pessimista di una civiltà morente rappresentata dalla limousine che attraversa la città in un viaggio insensato per portare il suo passeggero, il giovane miliardario Erik Packer, a tagliarsi i capelli mentre controlla l’andamento dello yen su cui ha investito ingenti somme.

Cosmopolis è anche e soprattutto un incredibile ritratto di un predatore contemporaneo, un tecnocrate che ha in mano i fili per muovere il mondo, senza sapere dove condurlo nonostante ne conosca il funzionamento e speculi sulle sue regole. Il romanzo di DeLillo può essere letto come l’evoluzione di una sorta di narrativa di genere, che, immaginando un immediato futuro prossimo, ci dice molto della nostra società. Senza scomodare i classici emblematici sull’alba del capitalismo (basti pensare a Balzac, Dickens, Trollope), il rinnovato interesse per il racconto di una società oligarchica nei romanzi si può ritrovare, curiosamente, nella letteratura di fantascienza sociale.

Dobbiamo a Philip K. Dick, in due romanzi visionari come La penultima verità e I simulacri, la creazione di mondi apocalittici in cui una classe ristretta e dominante mette in campo meccanismi di manipolazione delle coscienze per mantenere lo status quo e i privilegi. E Kurt Vonnegut, con la sua penna tragicomica e grottesca, ha raccontato l’ascesa delle corporation (Un pezzo da galera) e gli effetti di una società positivista e tecnocratica in cui il potere è in mano a un gruppo ristretto di ingegneri (Piano meccanico).

Ma la descrizione degli aspetti più inquietanti di una società polarizzata e caratterizzata da uno “stomaco sociale” reazionario e risentito – la classe media – è forse quella ospitata in Condominio di James Ballard, il più surreale e sociale degli scrittori di science fiction. In questo romanzo del 1975 s’immagina che la classe dominante risieda nei piani più alti di un megapalazzo, mentre in quelli inferiori si assiste a una guerra di tutti contro tutti per conquistarsi un angolo di paradiso, lassù nel regno degli oligarchi. Un’immagine profetica, quanto mai attuale.

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