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La Sacher Torte e la crisi alimentare
Le radici dell'emergenza del cibo, i dannosi rimedi dei dietologi dell'economia mondiale e le proposte alternative dei movimenti contadini
Se un dietologo raccomanda massicce dosi di “ Sacher Torte” come rimedio ad un’intossicazione di cioccolato, non ci vorrà molto tempo per decidere di richiedere un altro parere medico. Fino ad ora questo è esattamente ciò che i dottori dell’economia globale hanno prescritto, e continuano a prescrivere, ai governi dei paesi più seriamente colpiti da quando, alcuni mesi fa, la crisi alimentare è apparsa sulle prime pagine dei giornali. Le istituzioni di Bretton Woods e i governi che le dirigono, insieme alle fondazioni esageratamente ricche nate da profitti societari e riaffermando, come sempre, gli interessi delle aziende del settore agroindustriale, stanno facendo del loro meglio per riuscire a piazzare un colpo grosso. Stanno cercando di convincere il mondo che loro dovrebbero essere la guida nella ricerca di soluzioni alla crisi generata dalle molte politiche che hanno essi stessi imposto ai paesi indebitati nelle ultime tre decadi.
L’introduzione di programmi di aggiustamento strutturali a metà degli anni ’80 ha imposto in Africa norme di libera concorrenza, in concomitanza con gravi tagli ai sostegni governativi nel settore agricolo. Questi, insieme, hanno trasformato il continente da esportatore netto di alimenti ad importatore netto in soli 10 anni (dati della Fao). L’Africa è stata obbligata ad aprire le sue frontiere a generi alimentari stranieri artificialmente a buon mercato, con il risultato che i produttori locali non sono più in grado di competere nei propri mercati nazionali e regionali. “Non vi preoccupate”, i fautori del neoliberismo rassicurano i governi, “il vostro vantaggio competitivo è di produrre prodotti esportabili come cacao e caffè per il mercato mondiale. Con quello che guadagnate potete sempre importare alimenti a prezzi bassi per mantenere calma la popolazione urbana.” Il forte aumento del prezzo degli alimenti e le rivolte nelle capitali nei mesi passati hanno dimostrato ampiamente la follia di tale strategia.
Non c’è da sorprendersi se si considera che le “economie serie” come quelli dell’Ue e dell’Usa hanno supportato e protetto i loro agricoltori per anni, e continuano a farlo malgrado il Wto abbia incoraggiato interventi di facciata. Non è un mistero per loro che il vero fondamento della sovranità è la capacità di dar da mangiare alla propria popolazione. La nostra metafora medica realizza il perverso paradosso di un gruppo di falsi dietologi che prescrivono torte di cioccolato agli altri, mentre furtivamente sgranocchiano carote e sedano all’interno dei propri boudoirs. Come altro interpretare il passaggio della Dichiarazione della Conferenza di Alto Livello ospitata dalla Fao nello scorso Giugno per affrontare la crisi alimentare, nella quale i molti governi che bloccano il Doha Round con la loro riluttanza ad adottare misure che potrebbero “far funzionare il mercato per i poveri”, ma che riducono la competitività dei loro propri agricoltori “ riaffermano il loro impegno per una rapida e vittoriosa conclusione del ‘Wto Doha Development Agenda’ e reiterano la loro buona volontà nel raggiungere comprensivi e ambiziosi risultati che potrebbero condurre a migliorare la sicurezza alimentare nei paesi sviluppati.” (Fao 2008, www.fao.org/foodclimate/conference/declaration)
Ma non conta solo dove il cibo viene venduto. Infatti il modo in cui viene prodotto è una parte integrante dell’equazione. Gli alimenti economici che sono stati gettati via nei mercati mondiali negli anni passati sono il risultato dell’agricoltura industriale sovvenzionata, forte sugli agro-chimici e debole su tutto ciò che è importante: protezione dell’ambiente, produzione di alimenti di qualità, produzione di posti di lavoro, difesa della biodiversità… Questo modello di produzione alimentare è il primo anello della catena corporativa del settore agroindustriale che trasforma gli alimenti in merce, allontanandoli da qualsiasi identificazione con uno specifico territorio e con l’abilità di determinati produttori, facendoli girare rapidamente intorno al mondo (a costi energetici sempre più insostenibili) prima che finiscano in format standardizzati (e spesso incerti dal punto di vista nutrizionale) sugli scaffali di enormi supermercati. La proposta di produzione alternativa è quella di un' agricoltura sostenibile a conduzione familiare. Questo modello sta già sfamando gran parte della popolazione mondiale malgrado il fatto che non benefici praticamente di alcun sostegno, e se gli si fosse data una mezza possibilità potrebbe soddisfare l’aumento della domanda di alimenti e contemporaneamente preservare energia e aiutare a combattere i cambiamenti climatici. Questo non è il punto di vista di un gruppetto di stravaganti sognatori anacronistici, bensì di studi autorevoli come quello dell’ “International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development” pubblicato nell' aprile del 2008 (www.agassessment.org). Inoltre la “Nuova Rivoluzione Verde” che i falsi dietologi propinano come la risposta ai problemi dell’agricoltura africana prescrive una “modernizzazione” attraverso prodotti agro-chimici, intensificazione ed economie di scala. Se implementata, potrebbe usurpare l’autonomia di milioni di piccoli produttori, offrendogli allo stesso tempo un futuro incerto come contadini messi sotto contratto da multinazionali, sulla cui produzione e sulle cui strategie di mercato potrebbero avere un controllo pari a zero.
C’è qualcuno che realmente si sta comportando in maniera diversa? La risposta è un risonante sì: le famiglie stesse di contadini per iniziare. Forse il solo effetto positivo delle politiche disastrose degli anni passati è stato lo stimolo che hanno dato alla crescita di movimenti strutturati di piccoli contadini con sagge proposte alternative e il necessario peso politico per difenderle. Mentre la Dichiarazione della Conferenza di Alto Livello ospitata dalla Fao nel giugno passato e la Commissione ad Alto livello sulla Crisi Alimentare creata da Ban Ki-moon nel passato aprile riempiono le carte recitando l'elenco delle cause congiunturali, il movimento globale dei contadini “Via Campesina” va dritta alle radici:
i programmi di aggiustamento strutturale combinati con gli accordi di mercato del Wto hanno determinato un controllo delle politiche alimentari ed agricole da parte di un anonimo mercato internazionale. Le politiche nazionali, così come i prezzi, i controlli, le tariffe e le strategie di marketing progettati per garantire la sopravvivenza dei piccoli contadini di piccola scala ed un’adeguata fornitura di alimenti appropriati attraverso il sostegno all’agricoltura interna, sono state sostituite dalle voraci richieste del “mercato”. (comunicato stampa, 25 Luglio 2008. http://www.viacampesina.org).
Mentre il nostro establishment di dietologi raccomanda più liberalizzazione e la tecnologia della Rivoluzione Verde, il “Network of Peasant and Agricultural Producers’ Organizations of West Africa” (ROPPA) che raggruppa 45 milioni di famiglie di contadini non ha dubbi circa i rimedi:
Ė necessario riformare le politiche e per cambiare il paradigma prevalente. Ci sarà bisogno di:
- Porre di nuovo l’agricoltura al centro delle politiche economiche e darle i mezzi per svilupparsi;
- Riconoscere il ruolo primario dei piccoli produttori di aziende a conduzione familiare e la necessità di sostenerli nel loro triplo obiettivo di aumentare l’offerta di produzione agricola, creare lavoro e redditi, e prendersi cura di gruppi vulnerabili come le donne e i giovani;
- Ridurre le inuguaglianze nella competitività e competizione. Ciò richiede riconoscere il nostro diritto a proteggere i nostri mercati finchè ciò sia necessario per lo sviluppo della nostra agricoltura… ( presentazione alla Riunione su MDGs di Alto Livello dell’ONU, 25 Settembre 2008, www.roppa.info
E, sempre più, la loro voce viene ascoltata. Il principio della sovranità alimentare promosso da Via Campesina nel 1996, si esplica si sta costruendo a partire da livello locale come un' alternativa al paradigma del neoliberismo ( vedere www.nyeleni2007.org). La pressione e la mobilitazione di ROPPA sono stati i fattori maggiormente determinanti nella decisione della “Economic Community of West African States” di rifiutare il termine dell’Unione Europea del 31 Dicembre 2007 per firmare l’ “Economic Partnership Agreement” (ispirato al trattato di libero di commercio) e negoziare, invece, un trattato che potrebbe difendere gli interessi dei produttori delle regioni e dei consumatori. Al congresso sulla crisi alimentare organizzato a Roma nel Giugno 2008 le organizzazioni di piccoli agricoltori africani ed europei hanno dialogato con le istituzioni intergovernative regionali ed internazionali raggiungendo un consenso di larga misura (www.europafrica.info).
I veri cambiamenti stanno probabilmente arrivando dal Sud, come i movimenti popolari che stringono alleanze con governi di simili vedute e obbligano gli altri ad accettare la loro responsabilità verso i propri cittadini. Ma noi nel Nord possiamo dare un importante contributo per smascherare l’ipocrisia dei falsi dietologi e richiedere un diverso paradigma del sistema alimentare ed agricolo mondiale. Per iniziare, aggiungi la tua voce per denunciare l’impatto negativo dell’Europa sull’agricoltura africana malgrado la retorica dell’EU di solidarietà e partnership! ( www.europafrica.info).
Versione in inglese in allegato.
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