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Un'agenda per l'Europa

22/06/2010

"Dopo la crisi. Proposte per un'economia sostenibile". Un volume di idee e proposte in movimento, per uscire dalla crisi cambiando passo. Lo lanciamo nella rete, per aprirlo alla discussione collettiva

L'introduzione al volume, di Botsch e Watt. Il primo decennio del ventunesimo secolo è finito e la maggior parte dei paesi in Europa e nel mondo si trova ancora nella peggior crisi finanziaria ed economica degli ultimi ottant’anni. Il suo esito è ancora incerto. Prima del crollo del 2008, il modello dominante di capitalismo finanziario fondato sul laissez-faire si era basato, tra le altre cose, sull’illusione che i profitti, in particolare nel settore finanziario, potessero crescere a tassi a due cifre, quando la crescita economica complessiva restava a tassi molto più bassi. Questo si è riflesso, in molti paesi, in un continuo spostamento del reddito nazionale dal lavoro al capitale. Allo stesso tempo, le politiche dei governi e le tendenze strutturali favorivano lo spostamento della distribuzione dei redditi da lavoro verso i gruppi con remunerazioni più alte, e spingevano verso il basso salari e condizioni di lavoro delle fasce inferiori del mercato del lavoro.

Una delle conseguenze di queste tendenze è stata la debolezza strutturale della crescita della domanda. Sono emersi due modelli di crescita, opposti ma complementari, entrambi basati sull’esigenza di affrontare l’inadeguatezza della domanda: il primo incentrato sull’indebitamento delle famiglie (come negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Spagna), spesso sostenuto da bolle speculative sui prezzi dei patrimoni finanziari o immobiliari; il secondo fondato su una crescita trainata dalle esportazioni (come per Germania, Giappone e Cina) e caratterizzato dalla moderazione dei salari rispetto alla dinamica della produttività. Il risultato è stato il crescere di gravi squilibri economici mondiali. La crisi ha mostrato chiaramente che entrambi i modelli di crescita, sia presi separatamente, sia nella loro perversa simbiosi, si sono rivelati economicamente insostenibili.

 

Nel frattempo, una crisi a lungo termine si stava preparando: l’insostenibilità dal punto di vista ecologico del modello economico dominante. Essa ha interagito con la crisi economica nella forma di una rapida salita dei prezzi delle materie prime durante la fase della bolla speculativa. Ma il problema di fondo è l’impossibilità di avere un continuo aumento dei beni, dei consumi di beni pro capite, e una popolazione in crescita in un pianeta con risorse materiali finite ed emissioni inquinanti senza limiti: un nodo questo che si continua a non affrontare, come ha mostrato il fallimento del summit di Copenhagen alla fine del 2009.

 

La devastante crisi economica e finanziaria ha rivelato i limiti del capitalismo finanziario e ha aperto l’opportunità di proporre e realizzare quelle riforme progressiste di cui l’Europa ha bisogno per spostarsi verso un modello di crescita equo e sostenibile sul piano sociale ed ecologico. Tuttavia, non appena si profilano segnali reali o immaginari di ripresa, le forze conservatici provano a ristabilire la loro egemonia intellettuale, a limitare le riforme politiche progressiste e a tornare al “business as usual”. Con le finanze pubbliche in difficoltà e alti livelli di disoccupazione, cercano di riportare indietro le lancette dell’orologio, riproponendo i discorsi dei primi anni novanta, con attacchi aggressivi al settore pubblico, al welfare state e ai diritti dei lavoratori.

 

È contro questo stato di cose che l’Istituto sindacale europeo ha riunito ricercatori e accademici critici e progressisti, dell’Europa e degli Stati Uniti, per aprire un dibattito e definire un’agenda di riforma del capitalismo “dopo la crisi”. Questo libro ne è il risultato. Se diverse pubblicazioni hanno analizzato le cause della crisi, l’obiettivo di questo libro è spostare la domanda da “come è potuto accadere tutto questo?” a “come potrebbe essere un nuovo modello di crescita dopo la crisi?”. A ogni autore è stato chiesto di sviluppare brevi analisi e proposte di politiche concrete su un tema rilevante per il mondo del “dopo crisi”. In molti casi sono proposte ulteriori letture per chi voglia saperne di più. Le opinioni qui presentate sono quelle dei rispettivi autori e i curatori del volume non hanno voluto restringere i diversi contributi in un’agenda politica specifica. Di conseguenza, potranno esserci alcune sovrapposizioni e contraddizioni tra i testi, che ci auguriamo siano produttive. Nell’insieme, è emersa una serie di temi comuni, uniti dal riconoscimento che la crisi è stata più di un fallimento dei mercati finanziari: una loro nuova regolamentazione è condizione necessaria ma non sufficiente a prevenire danni futuri e stabilizzare l’insieme dell’economia. È necessaria invece un’ampia agenda di cambiamento in diversi ambiti delle politiche, capace di affrontare le radici dei problemi economici, sociali e ambientali. In sintesi, quello che serve è una trasformazione del modello di crescita esistente.

 

L’obiettivo di questo libro è duplice. In primo luogo vogliamo sottolineare la necessità di un’ampia agenda di riforme, fondata sull’analisi delle cause di fondo della crisi, piuttosto che limitarsi a problemi specifici del settore finanziario. In secondo luogo, vogliamo dimostrare che ci sono alternative progressiste realistiche, rispetto al ritorno al modello neoliberista, e che un nuovo modello di crescita – sostenibile sul piano economico, sociale ed ecologico – è possibile.

 

La nostra speranza è che i contributi di questo libro stimolino il dibattito tra politici, ricercatori e società civile sul tipo di economia e società in cui vorremmo vivere “dopo la crisi”, e che ciò conduca ad azioni concrete. Nel contesto europeo, il volume rappresenta un contributo alla discussione sulla strategia Europa 2020, erede della strategia di Lisbona. Comune a tutti i contributi di questo volume è il riconoscimento che, se l’Europa vuole rispondere alle domande dei suoi cittadini per una prosperità – nel senso più ampio del termine – maggiore ed estesa a tutti, c’è bisogno di andare oltre la strategia di Lisbona, sia a livello di temi che di governance dei processi.

 

Produrre un libro di questa natura è uno sforzo collettivo che coinvolge molte persone. Desideriamo ringraziare, in primo luogo, gli autori e le autrici per la loro risposta al nostro invito e per aver scritto capitoli sintetici e stimolanti. Ringraziamenti sono dovuti, inoltre, a tutti i colleghi dell’Istituto sindacale europeo che hanno collaborato in modi diversi alla preparazione di questo libro e all’organizzazione della conferenza “After the crisis”, tenuta a Bruxelles nel gennaio 2010. Vogliamo ricordare in particolare Geraldine Hofmann, Kathleen Llanwarne, Philippe Pochet e Veerle Raes.

La politica come può essere, di Roberta Carlini (introduzione all'edizione italiana)

Pensare “dopo la crisi” non vuol dire pensare che la crisi sia finita, o che si stia avviando a rapida conclusione per lasciarci tutti liberi di tornare al nostro precedente modo di vivere e produrre. Significa invece guardare al futuro avendo imparato la lezione del passato. Prendere atto del fatto che c’è un prima e c’è un dopo: nell’economia e nelle teorie che la spiegano o la sorreggono, nella società, nei posti di lavoro, nelle banche, nei media, nella politica. E su tale base avanzare proposte concrete, politiche da chiedere e fare nell’immediato.

Questa l’ispirazione di fondo che percorre i vari testi del volume che avete tra le mani. Si tratta di un lavoro collettivo, frutto dell’incontro tra due realtà: la rete internazionale di economisti ed esperti chiamata dall’Etui (Istituto sindacale europeo) a fornire progetti e proposte per il “dopo crisi”, e quella costruita negli anni dalle iniziative della campagna Sbilanciamoci! Un think-tank collettivo, aperto, vicino alle realtà associative sui posti di lavoro e nella società civile. Che si è messo all’opera con un intento preciso: non infilare negli scaffali delle librerie l’ennesimo libro sulla crisi, con interpretazioni più o meno corrette su come ci si è arrivati; ma mettere a disposizione di tutti un’agenda di cose da fare per uscirne. Proposte precise, dettagliate e articolate; riforme praticabili, eppure non praticate neanche in minima parte né in passato, quando la barca dell’economia sembrava andare col vento in poppa, né ora che la barca rischia di andare a fondo; politiche necessarie, per la vita di milioni di persone lasciate a terra dalla crisi economica.

Il volume nasce da un’iniziativa felice dell’Etui, che, come spiegano Andrew Watt e Andreas Botsch nella loro introduzione, ha voluto raccogliere le migliori idee in circolazione per costruire un’agenda. Un’agenda, non solo una raccolta di teorie e di analisi. L’idea sottostante è questa: se teorie sbagliate e analisi interessate sono state alla base del grande crollo, mettiamo in campo le altre teorie e le altre analisi (quelle che il pensiero economico ha continuato a produrre, sia pure nell’invisibilità garantita agli eterodossi) per tirarne fuori proposte concrete per uscire dalla crisi, cogliere l’opportunità che c’è in essa e scongiurare il pericolo maggiore. Ossia che a pagare per la crisi siano le stesse classi sociali che hanno pagato anche negli anni del boom malato; che rattoppi di facciata rimettano per un breve tempo i vagoni sui vecchi e logori binari, in attesa del prossimo deragliamento; che continuiamo a ignorare sconsideratamente la vera grande crisi del nostro modo di produrre e vivere: quella ambientale.

Da quell’originario lavoro germogliato attorno all’Etui è nato questo volume, che traduce una gran parte dei contributi del libro After the crisis: towards a sustainable growth model (Etui, Bruxelles, 2010) e li propone in Italia insieme ad altri brevi saggi, scritti con lo stesso intento e sotto lo stesso titolo, da economisti ed esperti che collaborano con la campagna Sbilanciamoci! e con il web magazine settimanale old.sbilanciamoci.info. Una collaborazione transnazionale, maturata rapidamente e tradotta in pratica nei giorni caldi nei quali l’Europa, con le crisi mediterranee, veniva investita in pieno dal ciclone della crisi partita due anni prima, mostrando al mondo la sua più grande debolezza: non la Grecia, non le “A” in più o in meno nei rating dei suoi stati, non gli inaffidabili Piigs. Ma la sua inesistenza politica, che l’ha lasciata in balìa di giochi via via scomposti o ricomposti da altri, i big della finanza e i leader degli stati nazione, accomunati per l’occasione dal cortissimo raggio del loro sguardo.

Questa realtà impotente dell’Europa, e quest’immagine impotente della politica, sono contrastate e smentite dal lungo elenco di quel che si può fare, che viene fuori dai contributi qui pubblicati. Gli autori e le autrici provengono da diverse realtà accademiche, geografiche, politiche e culturali; tra loro ci sono posizioni più radicali, altre più moderate, altre ancora più pragmatiche. Ma li accomuna la consapevolezza che la radicalità della crisi richiede azioni decise sulle sue origini strutturali, mentre la leadership politica mondiale, passato il primo momento di sbandamento, si sta limitando a leggeri interventi di lifting, e una parte del pensiero economico si crogiola nell’idea di poter aggiustare questo o quel pezzo che si è inceppato nel meccanismo della finanza per poter poi riavviare la miracolosa macchina.

I contributi sono raggruppati in tre gruppi, in ordine logico ma non di importanza. La prima parte è dedicata alla finanza: lì si è manifestata la crisi, lì dobbiamo ricominciare. Partendo dall’abc, ossia: cos’è la finanza e a cosa serve? La domanda non è provocatoria: come si potrà vedere dai saggi, che entrano fin nei dettagli tecnici delle misure da prendere per salvare la finanza da se stessa, è solo partendo da una seria consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere che si potrà mettere seriamente mano al meccanismo. Altrimenti, se si pensa che c’è stata una piccola falla in questo o quel pezzo del marchingegno, continueremo a buttare tempo (e soldi), salvo poi trovarsi di fronte ai soliti salvataggi di quelli che sono “troppo grandi per fallire”. Di conseguenza, lo spettro delle azioni da intraprendere è ampio, e spazia dalla delimitazione dei confini della banca (con la netta prevalenza della tesi del ritorno al passato, ossia alla separazione tra le banche commerciali e quelle d’investimento) alle tecniche di remunerazione dei manager, al controllo dei flussi dei capitali, all’introduzione di una forma di tassazione sulla speculazione, alla riforma degli organismi economici internazionali.

Ma la finanza non è l’unica causa dei guai in cui siamo. Pur essendo necessario e auspicabile, un intervento radicale sulle regole e sugli assetti finanziari non basta; per invertire il ciclo economico-politico che è stato alla base della nascita stessa del “popolo subprime” e della crisi del debito occorre anche una nuova politica della domanda e dell’occupazione. La seconda parte del libro è dedicata alle politiche necessarie per riavviare un’economia reale sostenibile. Dopo i salvataggi del 2008, si è parlato di ritorno o riscoperta dello stato, anche con cenni di autocritica da parte dei numerosi eredi della scuola di pensiero che ha sempre visto nell’intervento pubblico nell’economia l’origine di tutti i mali. Più che una svolta teorica, era però una presa d’atto: nei fatti, quasi ovunque gli stati sono intervenuti a tamponare le perdite e coprire le ferite. Ma basta uno stato-cerotto (o una serie di stati-cerotto, tra loro in competizione) per l’economia globalizzato del “dopo crisi”? Che senso ha un intervento keynesiano oggi? I contributi qui raccolti analizzano la possibilità delle politiche della domanda, i loro possibili contenuti, il loro finanziamento, la loro direzione, assumendo un punto di vista fondamentale, quello della sostenibilità. In tale contesto, l’ambiente non è un altro dei problemi o vincoli di cui tener conto, ma è parte integrante della soluzione; attraverso politiche per un’economia “verde” ad alto tasso di innovazione e conoscenza. Anche in questo caso, si traccia la strada per trasformare una crisi profonda in una opportunità di cambiamento, valutando le difficoltà del nuovo approccio ma anche elencando nel dettaglio gli strumenti politici, economici, istituzionali di una crescita sostenibile.

C’è una parola dimenticata, nella politica e nell’economia degli anni ruggenti dei quali viviamo il misero crollo: eguaglianza. Affidata alle buone intenzioni, alle costituzioni scritte e non realizzate, alla sfera dell’etica e non a quella dell’economia. Al punto che si è dibattuto per anni, in Europa, di decimali di punti percentuali dei deficit sul Pil, perdendo del tutto di vista altri parametri: il rapporto tra la ricchezza e il reddito delle fasce più alte della popolazione e quella delle fasce più basse; il rapporto tra la paga del manager e quella dei suoi dipendenti; la riduzione della quota dei salari sul reddito nazionale e l’aumento della povertà. L’abbandono dell’eguaglianza – non solo per l’effettivo aumento delle disuguaglianze, ma anche per la scomparsa della questione dall’orizzonte e anche dal lessico della politica – è un’altra delle concause della crisi. L’inversione di tale tendenza non passa solo per le buone intenzioni ma per un necessario cambiamento dei rapporti di forza, a partire dai posti di lavoro. Se ne parla nei contributi della terza parte del libro, focalizzati su lavoro e diritti di donne e uomini, e sulle questioni e le politiche della distribuzione. Che non sono un lusso da accantonare nei tempi di crisi, ma al contrario una componente essenziale della ricetta per uscirne.

Questo libro nasce nell’ambito di Sbilanciamoci!, un progetto lanciato undici anni fa, con una campagna che raccoglie 47 organizzazioni della società civile e che ha prodotto contro-finanziarie annuali, rapporti sull’economia militare, libri bianchi sulla cooperazione, lo studio di nuovi indicatori di qualità sociale e sostenibilità, che ora è parte di un progetto nazionale per la revisione delle misure del benessere. Nel 2008 è nato old.sbilanciamoci.info, sito di informazione e discussione sull’economia “come è e come può essere”, per il quale scrivono molti degli autori di questo libro, e sul quale continuerà la discussione collettiva attorno alle proposte lanciate nel volume, e alle iniziative che saranno messe in campo per dare loro concretezza politica.

La pubblicazione è stata possibile grazie all’impegno e alla disponibilità di molte persone. Il primo ringraziamento va all’Etui (Istituto sindacale europeo) che ha ideato il volume e sostenuto l’edizione italiana. Il secondo agli autori italiani che hanno accettato di scrivere in spazi ristretti e tempi rapidi. Il terzo ai nostri traduttori dei testi inglesi: Giuliano Battiston, Laura Bisio, Alessandra Cataldi, Matteo Lucchese, Elisabetta Segre, Anna Villa. Il quarto al gruppo di persone di Lunaria e Sbilanciamoci, che ci hanno ospitato e sostenuto. Infine, un grazie alle Edizioni dell’Asino, che hanno creduto in questo progetto e acconsentito a rendere disponibile il libro sul web, mettendo in pratica quel che pensiamo sul bene comune della conoscenza.

Dopo la crisi. Proposte per un'economia sostenibile. A cura di Andrew Watt, Andreas Botsch, Roberta Carlini. Edizioni dell'Asino, 2010. Etui-Istituto sindacale europeo - Sbilanciamoci!

Il testo del libro "Dopo la crisi" è gratis per i lettori di sbilanciamoci, in pdf: per leggere seguite il link. Se contribuite a sostenere il progetto e il sito, con una sottoscrizione di almeno 30 euro, potrete ricevere il libro a casa. Il testo dell'edizione inglese è sul sito Etui

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