Home / Archivio / globalizzazione / Il caso cinese ai tempi della crisi

facebook-link twitter-link

Newsletter

Registrati alla newsletter di sbilanciamoci.info

Archivio

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Il caso cinese ai tempi della crisi

03/07/2009

Il declino degli Stati Uniti evidenzia ancora di più la performance cinese e avvicina al pettine il nodo principale: il ruolo del dollaro nell'economia mondiale

 

“…il risveglio della Cina e il declino degli Stati Uniti sono al centro della crisi mondiale attuale…”

 

M. Jacques

 

“…per favore, per favore compra le nostre obbligazioni – e, se ti va, anche qualche piccolo pezzo delle nostre imprese automobilistiche in bancarotta-, ma stai lontana dalle nostre grandi imprese che operano nel settore delle materie prime…”

 

A. Weathley

 

“…osservare la situazione con calma; consolidare le nostre posizioni; trattare le questioni sul tappeto in maniera tranquilla; nascondere le nostre capacità e aspettare che venga il nostro tempo; essere capaci di mantenere un profilo basso; non cercare mai di reclamare un ruolo di guida…”

 

Deng Xiaoping

 

“…gli Stati Uniti sono il più grande debitore del mondo, ma essi hanno evitato le sofferenze degli aggiustamenti strutturali imposti invece agli altri paesi debitori…”

 

M. Hudson

 

Lo sviluppo cinese recente

 

Negli ultimi mesi, grazie anche alla crisi in atto, il prestigio della Cina nel mondo e, anche per riflesso, il suo status e il suo peso come grande potenza, si sono fortemente accresciuti.

 

La rapida ripresa dell’economia dovrebbe portare il pil del paese a crescere intorno all’8% nel 2009 e questo fa certamente una grande impressione. Viene, tra l’altro, rispolverata dagli analisti la teoria del decoupling, che era stata per un momento accantonata quando sembrava che il paese asiatico fosse anch’esso caduto nel vortice delle difficoltà del resto del mondo.

 

Per quanto riguarda invece le prospettive di lungo termine, c’è ormai chi arriva a vedere come inesorabile, in prospettiva, la sostituzione della Cina agli Stati Uniti nel ruolo di paese egemone a livello mondiale. Si consideri ad esempio un testo molto recente (Jacques, 2009), secondo il quale la crisi sta accelerando il mutamento della bilancia del potere tra i due stati; più in generale, per l’autore, lo sviluppo cinese è un evento che sta cambiando il mondo e sta segnando la fine dell’egemonia occidentale. Contrariamente poi all’idea secondo la quale nessun paese si può industrializzare senza seguire il modello e i riferimenti occidentali, in realtà la Cina, secondo Jacques, sta portando avanti un progetto autonomo, basato sulla sua storia e sul suo modello di civiltà.

 

Certo, si possono esprimere degli interrogativi sia sulla tenuta degli attuali tassi di sviluppo cinesi che sul fatto che il paese asiatico possa effettivamente diventare nel lungo termine la potenza egemone a livello globale. Ma appare comunque abbastanza plausibile che esso si stia avviando verso un destino economico, finanziario, politico, di prima grandezza. Comunque, nella sua marcia ormai trentennale a tappe forzate verso lo sviluppo, si intravedono ora alcuni ostacoli di tutto rilievo. Ne segnaliamo in questa sede soltanto due. Il primo riguarda gli investimenti del paese all’estero, il secondo la questione del sistema monetario internazionale e le prospettive di una sua riforma.

 

Gli investimenti all’estero

 

La citazione di Weathley posta all’inizio dell’articolo (Weathley, 2009) fotografa bene un problema di grande portata cui si trova di fronte il paese asiatico. Quattro anni dopo che alla CNOOC cinese fu impedito di assorbire la statunitense Unocal e alla Minmetal di comprare la Noranda, una società mineraria canadese, lo scenario del 2005 si ripete con la stessa drammaticità: la Chinalco non riesce a portare a circa il 20% la sua partecipazione azionaria – ora soltanto al 9,5% - nella grande società mineraria australiana Rio Tinto. L’episodio citato mostra tutte le difficoltà che hanno le imprese pubbliche del paese asiatico a dispiegare le loro ali all’estero (Weathley, 2009) e ad assicurarsi i prodotti energetici e le materie prime necessarie al loro sviluppo. Parallelamente, si manifesta invece la buona volontà statunitense a cedere un pezzetto della General Motors – costituito in specifico dal marchio Hummer- ad una società cinese molto poco conosciuta. Questo succede, peraltro, mentre invece l’Africa, il Sud America, l’Asia Centrale sembrano aprire le porte agli investimenti del paese asiatico (Tucker, 2009).

 

Le conseguenze di questi rifiuti possono essere molteplici: da una parte si alimenta la crescita del nazionalismo cinese, già da tempo in forte risveglio per suo conto, dall’altra si spinge, per alcuni versi, il paese a concentrare la sua attenzione verso le altre aree emergenti, aumentando così la possibilità che nel lungo termine esse facciano sempre più da sole, ridimensionando progressivamente i loro rapporti con l’occidente.

 

Significativo appare, per molti aspetti, comunque, un commento in proposito del quotidiano “China Daily” (Chinadaily, 2009): “…la sconfitta di Chinalco ha sviluppato un sentimento di rabbia e di delusione in molti cinesi. Essa riflette la concorrenza e la possibile incompatibilità tra le potenze occidentali e la rapida crescita cinese nella politica, nella cultura, nell’economia…”.

 

L’episodio della Chinalco mette poi ancora di più in rilievo la questione dell’utilizzo delle vaste riserve valutarie del paese e, più in generale, della crescente necessità di una profonda riforma del sistema monetario internazionale e, in particolare, del ruolo in esso giocato dal dollaro.

 

La questione del sistema monetario

 

Gli inviti al profilo basso che vengono da Deng XiaoPing e che sono stati citati all’inizio di queste note sono stati in qualche modo violati negli ultimi tempi da quella che si può considerare come una nuova assertività cinese sul terreno finanziario e monetario, forse dettata dalla grande importanza della posta attualmente in gioco.

 

E’ noto così che nel marzo di quest’anno il governatore della banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, ha affermato che il dollaro avrebbe dovuto essere sostituito come moneta di riserva e che si sarebbe dovuti andare verso un nuovo sistema monetario internazionale, centrato sui diritti speciali di prelievo emessi dal Fondo Monetario Internazionale.

 

Dietro di lui sono poi venuti i russi, che hanno proposto un sistema policentrico, fondato su una serie di monete di riserva regionali, accompagnate da un più grande impiego di diritti speciali di prelievo del Fmi. Comunque l’idea della necessità di una riforma è portata avanti anche da economisti statunitensi di grande livello come Mundell e P. Volckel, ex banchiere centrale statunitense. In Italia si è fatto portavoce della questione T. Padova-Schioppa (Orioli, 2009).

 

La scelta di un nuovo sistema appare, nel lungo termine, inevitabile, sia pure con tempi e modalità che sono tutti da definire. In effetti, l’attuale sistema centrato sul dollaro presenta almeno due inconvenienti, uno di tipo “tecnico” e uno di tipo politico. Sul primo fronte l’attuale debolezza della moneta statunitense, legata all’incerto andamento dell’economia e del sistema finanziario, mette in difficoltà i paesi che hanno vaste riserve denominate in dollari. Sul piano politico mantenere tale valuta al centro del sistema significa contribuire a collocare ancora gli Stati Uniti in una posizione di grande privilegio sul resto del mondo e subordinare, in particolare, lo sviluppo dei paesi poveri alle esigenze di quelli ricchi.

 

In termini più generali, bisogna sottolineare che l’uso di valute nazionali per gestire l’economia globale è sempre piuttosto problematico (Mandeng, 2009). E’ molto improbabile, in effetti, che la Fed cambi i suoi obiettivi di politica economica nazionale per adattarli alle necessità dell’economia internazionale. Il caso a favore del mantenimento del dollaro come ancoraggio centrale dell’economia internazionale non è mai stato così debole. Le riduzioni, ai tempi di Bush, delle aliquote fiscali e dei tassi di interesse statunitensi mentre esplodevano il deficit commerciale e quello di bilancio del paese vanno viste come il massimo dell’ipocrisia a confronto dei programmi di austerità che il “Washington consensus” imponeva agli altri paesi che si trovavano nella stessa condizione (Hudson, 2009).

 

Qualsiasi riforma del sistema monetario internazionale dovrebbe porsi, tra l’altro, l’obiettivo di restaurare una più grande simmetria tra la sfera economica e quella monetaria. Bisogna ricordare che, in prospettiva, la domanda di valute da parte dei paesi emergenti, che si avviano a rappresentare entro pochi anni intorno al 50% del pil mondiale, aumenterà enormemente, mentre il dollaro declinerà come importanza relativa. Probabilmente, per altro verso, non si tratta tanto di sostituire la moneta statunitense come moneta di riserva, ma di affiancarla con altre valute.

 

Nell’ultimo decennio la Cina e gli Stati Uniti hanno sviluppato tra di loro una relazione simbiotica e pericolosa (Leonardt, 2009). La Cina ha scoperto che un’economia basata su delle esportazioni a basso prezzo le avrebbe permesso di crescere come mai prima e di dare un lavoro a decine di milioni di abitanti. Gli americani hanno con gioia comprato tali prodotti pagando con una montagna di dollari, che i cinesi hanno utilizzato per comprare molti titoli pubblici statunitensi. Oggi i cinesi potrebbero decidere di non volere più comprare questa carta dal momento che si può giustamente temere che le grandi spese sostenute dal governo Usa per mantenere a galla l’economia e le banche si potrebbero tradurre, nel medio termine, in un’alta inflazione e nella svalutazione del dollaro. Perciò i cinesi sono nervosi e si preoccupano della sicurezza dei loro averi.

 

Bisognerebbe, incidentalmente, ricordare a questo punto che per porre l’economia del mondo su di un sentiero di crescita più sostenibile, si richiederebbe, tra l’altro, la riduzione degli sbilanci commerciali e finanziari tra i due paesi.

 

La Cina si è posta comunque l’obiettivo di lungo termine di arrivare gradualmente ad una piena convertibilità della moneta. Le tappe per raggiungerla saranno peraltro molte e richiederanno molto tempo, secondo quell’incedere cauto e per piccoli passi che è tipico della politica del paese. Tra l’altro, essa sta permettendo un più largo uso della sua moneta all’estero attraverso degli accordi di swap valutario con un certo numero di paesi emergenti. E’ stato messo a punto un accordo con il Brasile perché una parte almeno del commercio tra i due paesi si svolga in yuan e in real. Si sta sviluppando l’emissione di obbligazioni in renmimbi a Hong Kong. In alcuni casi si potrà usare lo yuan come moneta di regolamento con alcuni paesi dell’Asia. Intanto ci si è posti l’obiettivo di sviluppare la piazza di Shangai come centro finanziario internazionale. Ma per il momento, comunque, la Cina è lontana dal raggiungere lo status di moneta di riserva.

 

L’esposizione del paese al dollaro rimane in ogni caso alta e crescente; esso sta continuando ad acquistare titoli denominati in dollari, anche se sta cambiando la composizione temporale degli impieghi, aumentando la quota di titoli a breve termine. La Russia invece sta incrementando la quota delle sue riserve in euro.

 

Il vincolo dei paesi emergenti

 

Va anche ricordato che l’attuale sistema monetario internazionale penalizza fortemente i paesi poveri e limita fortemente le loro possibilità di portare avanti una crescita economica che voglia puntare sullo sviluppo della domanda interna per sollevare soprattutto il livello di vita delle loro popolazioni; così a loro non è stato nella sostanza permesso, nell’ultimo periodo, di beneficiare direttamente dalla grande espansione del credito a livello mondiale. L’unica strada loro aperta, a causa dei vincoli esterni - come mostra ad esempio un recente scritto di A. Lara Resende, riportato anche su questo sito ed al quale rimandiamo (Buiter, 2009)-, appare invece quello di un loro inserimento subordinato nel sistema economico occidentale attraverso lo sviluppo delle esportazioni verso tale area. Questo al contrario dei paesi sviluppati, a partire dagli Stati Uniti, per i quali il vincolo monetario esterno appare molto meno rilevante. Tra l’altro, in periodi di crisi economica, è loro impedito di attivare delle politiche anti-cicliche, mentre sono invece costretti a sviluppare una strumentazione pro-ciclica per ricostituire la fiducia internazionale.

 

La stessa Cina ha dovuto per necessità seguire sino a ieri questo tipo di modello. Da sottolineare che di recente l’Unctad ha presentato delle proposte interessanti per uscire da tale trappola –anch’ esse ricordate di recente su questo stesso sito.

 

Conclusioni

 

Sul fronte degli investimenti all’estero la Cina appare chiaramente in difficoltà, nonostante che il paese negli ultimi anni sia passato da quasi zero a circa 54 miliardi di dollari di impieghi all’anno, una somma comunque notevolmente inferiore alle potenzialità. Questo pone in maniera ancora più rilevante la questione di cosa fare dei vasti surplus in dollari che continuano a generarsi nel paese. E a questo punto entra in ballo la questione del dollaro.

 

Bisogna premettere che, più in generale, nelle serrate discussioni in corso tra Stati Uniti e Cina quasi tutte le carte sono in mano a questi ultimi, come riconoscono anche alcuni commentatori statunitensi (Leonhardt, 2009). Questo significa tra l’altro che gli americani cercheranno ora di fare di tutto per procrastinare, annacquare, rendere meno amara la soluzione al problema, ma che probabilmente non potranno in prospettiva evitare un profondo rimaneggiamento del sistema monetario internazionale.

 

Lo stesso M. King, governatore della Banca d’Inghilterra, ha sottolineato di recente che tale riforma è la più grande sfida che ha di fronte l’economia globale.

 

“La fine del dollaro potrà essere, se ci sarà, molto lunga. Ma la grande danza monetaria, in un mondo che cambia, è incominciata” (Margiocco, 2009).

 

Testi citati nell’articolo

 

- Buiter W., After the crisis: macro imbalance, credibility and reserve-currency, www.ft.com, 6 giugno 2009

 

- Chinadaily, How far will China’s expansion bids go?, www.chinadaily.com.cn, 17 giugno 2009

 

- Eichengreen B., Usa, Cina e il ping-pong planetario, Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009

 

- Hudson M., Washington is unable to call all the shots, The Financial Times, 15 giugno 2009

 

- Jacques M., When China rules the world, A. Lane, Londra, 2009

 

- Leonhardt D., The China puzzle, The New York Times, 17 maggio 2009

 

- Mandeng O., Dollar’s role shrink in multi-currency global regime, The Financial Times, 18 giugno 2009

 

- Margiocco M., Per ora solo l’oro moneta mondiale, Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2009

 

- Orioli A., Padoa-Schioppa: “Il sogno di una moneta mondiale”, Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2009

 

- Tucker S., Chinese déjà vu, www.ft.com, 9 giugno 2009

 

- Weathley A., Seeing China as buyer of last resort, The New York Times, 9 giugno 2009

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti