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La nuova spinta del colosso cinese

09/12/2014

Dalla nuova via della seta all'internazionalizzazione del renminbi. La strategia cinese sta tentando di aprire sempre più il paese verso il mondo

Il 2014 si chiude su di una novità molto rilevante. Il vertice dell’APEC, che si è tenuto a novembre a Pechino, nonché la successiva riunione del G-20 a Brisbane, hanno certificato dei mutamenti di fondo in atto nell’economia e nella politica mondiale; tali mutamenti non erano ancora apparsi in maniera così netta sino ad oggi all’opinione pubblica internazionale anche la più attenta.

A Pechino e a Brisbane si è manifestata in modo evidente la tendenza della Cina ad emergere con un ruolo sempre più assertivo negli affari del mondo, cambiando un atteggiamento che sino a poco tempo fa appariva come distratto verso le questioni esterne.

La nuova politica si manifesta ormai in molte direzioni, dalla spinta agli investimenti all’estero, alla messa in opera di nuovi strumenti finanziari, al progetto di una nuova via della seta, all’internazionalizzazione progressiva del renmimbi, all’approfondirsi dei rapporti con la Russia.

L’ascesa della Cina trova le sue basi sulle conquiste economiche in patria. Il pil del paese raggiungerà quello Usa nel 2014, i risparmi cinesi superano ormai di gran lunga quelli statunitensi e il livello di spesa in ricerca e sviluppo sarà più grande di quello degli Usa entro il 2018-2019.

I rapporti con la Russia

Dopo l’ intesa per la vendita di gas della Siberia orientale, conclusa nel maggio 2014, stanno venendo avanti molti altri affari. Messi insieme, essi indicano come non si tratti ormai tra i due paesi di un fidanzamento occasionale, ma della messa in opera di legami sempre più organici ed impegnativi.

Dopo il primo accordo, è venuta la concessione da parte russa per lo sfruttamento congiunto del grande giacimento di petrolio di Vankor, poi l’avvio di un progetto per l’alta velocità tra Mosca e Pechino. La prima tranche di questo accordo prevede la costruzione di una linea tra Mosca e Kazan. È poi seguito un documento per il regolamento degli scambi tra i due paesi nelle rispettive valute nazionali invece che in dollari. Si sono anche succeduti degli importanti accordi per la costruzione di centrali idroelettriche, per la concessione di crediti da parte del sistema finanziario cinese, per gli armamenti, l’aeronautica, il settore spaziale, lo sfruttamento economico dell’estremo oriente russo, l’avvio di grandi parchi high tech. Le compagnie energetiche russe si quoteranno alla borsa di Hong Kong in monete asiatiche e non in dollari. Infine, è stata data notizia di un altro grande progetto per il gas, riguardante questa volta la Siberia Occidentale.

Gli investimenti esteri

Mentre sino a pochi anni fa la Cina puntava sull’afflusso degli investimenti esteri nel paese, ora l’enfasi è posta soprattutto su quelli all’estero delle imprese cinesi.

Già nel 2014 quelli in uscita dovrebbero ormai superare quelli in entrata. Nel 2013 essi erano stati pari a 108 miliardi di dollari, con una crescita del 23%, mentre quest’anno si prevede un ulteriore aumento del 22% rispetto a quello precedente; si raggiungono ormai, grosso modo, i 130 miliardi di dollari.

Intanto tali flussi di capitale stanno, almeno in parte, cambiando natura; precedentemente indirizzati soprattutto sul fronte della ricerca di materie prime, si vanno ora spostando verso le infrastrutture e la conquista di tecnologie, di marchi e di mercati, con una maggiore enfasi di prima verso i paesi sviluppati. Ne sta beneficiando in misura rilevante anche l’Italia.

Per altri versi la nuova dinamica degli investimenti esteri cinesi segnala che il sistema economico globale sta subendo un mutamento di fondo. Rallenta la crescita del commercio internazionale (Adda, 2014); dopo quaranta anni in cui esso aumentava ogni anno ad un ritmo doppio di quello del pil, nell’ultimo periodo esso sta crescendo meno dell’economia. La Cina, in particolare, tende a non essere più il punto finale di montaggio di pezzi prodotti altrove, da cui un intenso scambio commerciale. Sta salendo il valore aggiunto delle sue produzioni; la quota di input importati nelle esportazioni cinesi è caduta dal 50% del 2000 a meno del 35% di oggi (Financial Times, 2014). Gli investimenti diventano ancora più di prima il principale vettore della globalizzazione.

Le banche di sviluppo

A parte il tentativo di creare una zona del renmimbi, vanno avanti dei progetti per la messa in opera di istituzioni finanziarie che, messi insieme, tendono a sfidare il quadro di Bretton Woods.

Si è così avuta in luglio la creazione della nuova banca di sviluppo (New Development Bank, NDB), con un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari, cui partecipano i Bric e il varo, tra gli stessi paesi, di un parallelo fondo di riserva contro i rischi di cambio (Contingent Reserve Arrangement, CRA).

La Cina sta inoltre lanciando l’ Asia Infrastructure Investment Bank (AIIB), anch’essa con una dotazione iniziale di 50 miliardi di dollari. Per il momento sono venti i paesi aderenti al progetto; tra di essi l’India e il Pakistan. Australia, Indonesia e Sud Corea, su pressione degli Stati Uniti, per il momento almeno non hanno sottoscritto gli accordi.

Intanto il paese sta anche portando avanti uno schema per la creazione di una banca di sviluppo dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO), un raggruppamento politico-economico-militare che conta sei membri effettivi, più alcuni paesi osservatori.

Si tratta complessivamente, così, di quattro nuove istituzioni che si aggiungono alla China Development bank e all’Export-Import Bank of China, strutture già funzionanti da tempo.

Pechino afferma che essa non vuole, con i progetti indicati, sostituire l’ordine finanziario esistente, ma soltanto migliorarlo. Si configura, in ogni caso, un nuovo sistema cinocentrico. Non mancheranno i problemi, ma i soldi per alimentare in itinere tali progetti non mancano di certo.

Infine i membri dell’Apec, su progetto sempre cinese, si sono accordati per mettere a punto un piano per un’area di libero scambio dell’Asia-Pacifico; intanto la Cina firma i primi accordi bilaterali che vanno nella stessa direzione con l’Australia e la Corea del Sud.

La nuova via della seta

Pechino ha annunciato già da qualche tempo la sua volontà di sviluppare una nuova via della seta commerciale, sia con dei percorsi terrestri che marittimi, come del resto l’antica.

Essa per via terrestre dovrebbe andare attraverso l’Asia Centrale e la Russia sino all’Europa, collegando peraltro al sistema anche l’Asia del Sud-Est, compresa anche una Transasia Railway (14.000 mila chilometri tra Singapore e Instanbul); per via marittima il percorso passerebbe dal Medio Oriente e dall’Africa per arrivare di nuovo in Europa. Il percorso marittimo comporterebbe la costruzione o l’allargamento di porti e aree industriali nel sud-est asiatico e in Sri Lanka, Kenia, Grecia.

La Cina ha creato, tra l’altro, un fondo di 40 miliardi di dollari per sostenere gli investimenti relativi.

Siamo di fronte ad un progetto gigantesco che, da una parte, configurerebbe un grande balzo in avanti dei rapporti economici in Asia ed in Europa, mentre dall’altra non mancherebbe di presentare rilevanti difficoltà politiche, finanziarie e di altro tipo.

L’internazionalizzazione dello yuan

Sono ormai diversi anni che il paese compie dei passi, uno dopo l’altro, in direzione della liberalizzazione del renminbi, verso un ruolo sempre più importante per tale moneta sulla scena del mondo. Si tende ormai ad individuare una zona dello yuan come alternativa alla zona dollaro. La stessa creazione delle istituzioni sopra ricordata, nonché gli accordi finanziari con la Russia, vanno nella stessa direzione. Lo fanno anche il patto tra Shangai e Hong Kong, che comporta ormai la possibilità per i cinesi di comprare titoli esteri e per gli stranieri di acquistare titoli cinesi -la moneta usata nel programma non è il dollaro, ma il renmimbi-, nonché i trattati per gli scambi in valuta nazionale conclusi con diversi paesi. Parallelamente gli acquisti di titoli pubblici e privati statunitensi potrebbe ridursi significativamente.

Si sta sviluppando l’emissione di obbligazioni off-shore in renmimbi. Intanto diverse banche centrali hanno cominciato ad accumulare valuta cinese nelle loro riserve. Qualche paese ha emesso titoli di stato nella stessa valuta.

Certamente il renmimbi non sarà in grado di sfidare il dollaro come moneta internazionale nel breve-medio periodo, ma in una decina di anni, secondo alcuni, esso potrebbe diventare la più forte moneta del pianeta. L’età del capitale cinese potrebbe emergere relativamente presto.

Conclusioni

Una consapevole strategia cinese sta tentando di aprire sempre più il paese verso il mondo, non più soltanto, come prima, sul fronte commerciale, ma ora anche e sempre più anche su quello finanziario, mentre essa cerca anche di legare a se più strettamente i molti paesi interessati alle varie iniziative sopra citate.

Il mondo, vista anche la dimensione complessiva delle iniziative in atto, sta così cambiando impercettibilmente giorno dopo giorno.

La nuova strategia cinese sembra una strada inevitabile per l’ulteriore crescita dell’economia; nello stesso tempo, quantunque venga evitato da parte del Paese di Mezzo qualsiasi atteggiamento conflittuale, essa pone inevitabilmente sul fronte politico, economico, finanziario, agli Stati Uniti l’interrogativo su come fare fronte a tali sviluppi. Dalla risposta a tale questione dipenderanno per una parte consistente le vicende del mondo non soltanto nel 2015, ma anche per diversi anni a venire.

 

Testi citati nell’articolo

-Adda J., Commerce mondial: le coup d’arret, Alternatives Economiques, dicembre 2014

-Financial Times, How to respond to new patterns of world trade, www.ft.com, 23 novembre 2014

 


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