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Bric/L’India, nei guai, alla ricerca di una via d’uscita

07/05/2013

Ultime notizie dai Nuovi Grandi. Come se la cavano le potenze Bric ai tempi della grande crisi? Il loro rallentamento è un incidente di percorso, o è strutturale?

Dopo il primo decennio del nuovo millennio, che aveva mostrato uno sviluppo economico dei paesi dell’area Bric molto sostenuto, nell’ultimo periodo i tassi di crescita del pil sono rallentati. Questa serie di tre articoli, dedicati rispettivamente a India, Cina, Brasile, hanno l’obiettivo di cercare di capire cosa stia veramente succedendo, quanto tale rallentamento sia temporaneo o strutturale, quali ne siano le possibili ragioni, quanto esse siano in particolare di tipo esterno od interno.

Premessa

Come ha affermato qualcuno, in Cina lo stato guida lo sviluppo, in India invece esso spesso lo frena. Ed è questo il commento che viene in mente se si prova ad analizzare l’ andamento recente dell’economia dei due grandi paesi asiatici.

Nel caso cinese il rallentamento è stato in gran parte provocato a suo tempo dagli stessi poteri pubblici per cercare di frenare alcuni sviluppi negativi che si andavano manifestando. In India, invece, la riduzione nei tassi di crescita del pil sembra originato proprio dall’inerzia, dalla corruzione e dall’inefficienza dei pubblici poteri. Questo in un paese che ancora di recente pensava di riuscire a superare le performance economiche del vicino, cosa che, se mai è apparsa avere in passato qualche elemento di plausibilità, alla luce degli ultimi sviluppi appare molto irrealistica.

I mali dell’India

Il tasso di crescita del pil del paese è passato dall’8-9% degli anni recenti (con una punta massima sino al 10%) a circa il 5% per il 2012. Si registra così, almeno sul fronte economico, il peggior anno dell’ultimo decennio, anche se le prospettive per il 2013 sembrano un poco migliori. L’economia indiana non era cresciuta meno del 6,5% all’anno a partire dal 2002-2003.

I sintomi del malessere si trovano dovunque nell’India di oggi (Sender, 2012).

In prima battuta, il disagio si manifesta con una caduta degli investimenti, caduta che riflette una mancanza di fiducia degli operatori nazionali ed esteri, apparentemente indotta dalla assenza di guida e di iniziativa da parte dei pubblici poteri.

A questi disagi il primo ministro risponde senza convincere accusando tra l’altro gli industriali del paese di essere troppo pessimisti sulle prospettive e fa loro appello perché essi mantengano fede negli sforzi del governo di riformare l’economia.

Sul fronte sociale tale disagio si traduce invece, tra l’altro, nel montare di una protesta crescente da parte dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno della corruzione.

Il catalogo dei mali dell’India è in generale noto da tempo, anche se esso appare, almeno in parte, differente se lo si guarda da parti politiche opposte. A destra si sottolinea soprattutto la mancata liberalizzazione dell’economia e il troppo grande peso dello stato, l’ostacolo all’insediamento di investitori esteri in alcuni settori, il basso livello delle infrastrutture (la cui situazione qualcuno definisce come “orribile”), la corruzione e il nepotismo imperanti, la scarsa incisività decisionale del governo; a sinistra, oltre a sottolineare solo alcuni dei mali sopra elencati, si guarda soprattutto ai livelli della povertà, alle forti diseguaglianze presenti nel paese, alla discriminazione verso le minoranze etniche, agli scarsi investimenti in particolare per la scuola e la sanità. Inoltre, si stigmatizza il fatto che il governo e l’esercito indiano portino le armi contro il loro stesso popolo nella brutale guerra contro i naxaliti.

In ogni caso la situazione è in questo momento aggravata dall’alto livello del deficit della bilancia dei pagamenti, nonché da quelli altrettanto alti dell’inflazione e del bilancio pubblico (peraltro il prelievo fiscale è molto basso: solo il 2,5% degli indiani paga una tassa sul reddito, gran parte dell’economia lavora in nero e l’evasione fiscale è molto elevata, The Economist, 2013,a). Così la banca centrale afferma che tale situazione lascia poco spazio per un allargamento sostanziale dei cordoni monetari.

Secondo le statistiche della Banca Mondiale – che, come è noto, fissa la soglia della povertà sotto 1,25 dollari al giorno di reddito – la percentuale degli indiani indigenti è passata dal 60% del 1981 al 42% nel 2005. Ma questa riduzione in termini percentuali non si è tradotta in una diminuzione in valori assoluti, il numero dei poveri essendo in effetti aumentato nel frattempo da 421 milioni a 456 (Jaffrelot, 2012). Si stima che in India viva il 40% dei poveri del mondo. Peraltro, negli ultimi anni il trend alla riduzione sembra manifestarsi anche con una caduta del numero assoluto degli indigenti e alla fine nel paese negli ultimi venti anni quasi 200 milioni di persone sono uscite dalla soglia della povertà.

Il confronto con la Cina si chiude in ogni caso nettamente a favore di quest’ultimo paese, che, secondo alcune stime, è riuscito in pochi decenni a ridimensionare il numero dei poveri del paese di circa 600 milioni di unità.

Quasi il 50% dei bambini indiani è malnutrito. Ogni anno tra 400.000 e 500.000 bambini sotto i cinque anni muoiono di diarrea a causa del cattivo stato del sistema fognario; 600 milioni di indiani sono privi di servizi igienici nelle loro abitazioni. Circa il 20% dei bambini tra i sei e i quattordici anni non frequenta la scuola e il tasso di abbandono appare alto (O’Neill, 2011). Particolarmente critica appare la situazione delle donne.

Ricordiamo ancora come più del 90% degli indiani lavori nel settore dell’economia informale, senza redditi stabili, spesso in condizioni di disagio estremo,senza protezioni sociali,in condizioni anche abitative precarie.

Le proposte del governo

Nel settembre 2012 il governo, uscendo dalla sua paralisi, è sembrato rompere gli indugi e, scegliendo sostanzialmente l’opzione conservatrice, ha presentato un suo progetto di riforma volto a riattivare la crescita economica; esso, in ogni caso, non appare di grandissimo respiro.

Lo schema prevede, tra l’altro, oltre ad una legge contro la corruzione, l’apertura dei settori della grande distribuzione, del trasporto aereo, delle assicurazioni, dei fondi pensione, al capitale estero, una modesta riduzione delle sovvenzioni sui carburanti, una riforma bancaria che lascia più spazio alla concorrenza anche straniera, una nuova fiscalità indiretta; per controbilanciare in qualche modo politicamente il colpo, si promette la riforma della legislazione relativa all’acquisto delle terre, legislazione che innescava molti conflitti tra contadini e industria, nonché la messa in campo di un diritto all’alimentazione per centinaia di milioni di indiani.

Bisogna ricordare, a tale proposito, che una delle ragioni dell’inefficienza pubblica indiana riguarda i rapporti tra centro e periferia. Oltre ai due raggruppamenti nazionali, il Congresso e il BJP, si sono sviluppati nei vari stati dei partiti a base locale, di frequente fortemente populisti, che sono in grado di ricattare il governo centrale, cosa che fanno regolarmente chiedendo concessioni rilevanti, di frequente anche stravaganti, per accettare di appoggiarlo di volta in volta.

Il fenomeno si è ovviamente manifestato anche nel caso del progetto di legge sopra citato. Le misure a suo tempo proposte stanno più in generale andando avanti con molta difficoltà e in maniera differenziata. Così, sul fronte finanziario, si prevede che la Banca Centrale concederà poche nuove licenze per aprire dei nuovi istituti e comunque lo farà molto lentamente; intanto, per quanto riguarda il settore della grande distribuzione, i grandi gruppi esteri non sembrano molto inclini a sbarcare nel paese, viste le strette maglie regolamentari imposte anche dalle nuove disposizioni.

Conclusioni

Le difficoltà attuali dell’economia indiana, di quella cinese, di quella brasiliana, fanno già gridare alla fine del miracolo dei Bric e alla previsione che tali paesi non raggiungeranno economicamente mai l’occidente (si veda, ad esempio, su tale linea, Shama, 2012). In realtà, al di là delle oscillazioni congiunturali dell’economia, le prospettive appaiono certamente differenziate tra i tre grandi paesi.

Secondo almeno alcune stime, il pil della Cina potrebbe comunque aver già superato nel 2011 o nel 2012 quello degli Stati Uniti. Relativamente ottimisti sembra si possa essere nel medio termine anche nel caso dell’economia brasiliana. Peraltro, già nel 2011 l’insieme dei paesi emergenti aveva superato come dimensione del pil l’area dei paesi sviluppati, almeno utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto.

Per quanto riguarda in specifico l’India, le previsioni sono molto incerte: già in passato il paese ha registrato tassi di crescita dell’economia molto più sostenuti di quelli attuali pur in presenza di pressoché tutti gli handicap sopra elencati; d’altro canto, la società indiana sembra ormai averne abbastanza di un sistema di governo così inefficiente ed iniquo. Molto dipenderà quindi in futuro dalla capacità delle classi dirigenti di avviare e sostenere una politica credibile che affronti almeno alcuni dei grandi problemi aperti. In ogni caso sembra improbabile un ritorno ad alti tassi di crescita nell’immediato futuro.

La ricerca di un modello di sviluppo adeguato alla situazione attuale, visti anche i molti condizionamenti interni, non sembra semplice. Ci troviamo in ogni caso di fronte a due ricette alternative portate avanti nel paese da tre illustri economisti. Da una parte Jagdish Bagwati e Arvind Panagariya, in un libro recente (The Economist, 2013, b) predicano le virtù di nuove liberalizzazioni nelle aree ancora strettamente regolate, quali il lavoro, la terra, l’istruzione, mentre dall’altra Amarthia Sen pone una grande enfasi sulla redistribuzione delle ricchezze; in particolare egli sottolinea i risultati ottenuti nello stato del Kerala, dove un’amministrazione efficiente con governi di sinistra ha portato a livelli molto elevati di alfabetizzazione e di speranza di vita, insieme a una forte crescita.

I due modelli alternativi riflettono peraltro le divisioni esistenti all’interno dei partiti politici del paese.

Testi citati nell’articolo

Jaffrelot C., Inde, l’envers de la puissance, Cnrs éditions, Parigi, 2012
O’Neill J., The growth map. Economic opportunity in the Bric’s and beyond, Penguin Books, Londra, 2011, trad it. Bric. I nuovi padroni dell’economia mondiale, Hoepli, Milano, 2012
Sender H., India’s growth prospects less than golden, www.ft.com, 18 dicembre 2012
Shama R., Broken bricks, Foreign Affairs, novembre-dicembre 2012
The Economist, A walk on the wild side, 23 febbraio 2013, a
The Economist, The capitalist manifesto, 20 aprile 2013,b

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