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Le tre Europe con cui fare i conti

16/08/2011

La discussione sull’Europa si intreccia alla nuova manovra di casa nostra, che moltiplica le iniquità. Poi ci sono le rivolte inglesi, i conflitti che non si fermano. Ci sono altre Europe sotto i nostri occhi, quella delle disuguaglianze, delle guerre, del disastro ambientale. Altre Europe con cui fare i conti

Il Forum aperto da Rossana Rossanda con le domande sulla “Rotta d’Europa”, alimentato da molti contributi appassionati (Mario Pianta, Vincenzo Comito, Sergio Ferrari, Paolo Leon, Daniela Palma, Roberto Romano, Stefano Fassina, Guido Viale, Immanuel Wallerstein, Laura Balbo, Donatella Della Porta, Roberto Musacchio, Sergio Cesaratto) ha accompagnato settimane di profonda crisi economica e finanziaria, politica e sociale nel vecchio e anche nel nuovo continente. Era impossibile leggere gli interventi “nostri” e limitarsi a riflettere sul loro notevole livello scientifico. Impossibile discutere delle tesi, talvolta ardite, sempre motivate, senza guardarsi intorno, senza fare un confronto con i casi del giorno, le dichiarazioni ufficiali, le sciocchezze, la presunzione, e poi i crolli, le minacce, le vergogne, i ricatti, espliciti o nascosti, della politica ufficiale dalle due parti dell’Atlantico. D’altra parte, le persone intervenute nel Forum cercavano, nel replicare a Rossana, di dare anche un contributo, o forse una spiegazione, ai problemi terribili – e insolubili – della finanza impazzita. C’era insomma la volontà, a volte implicita, magari inconsapevole, di confrontarsi con la natura dei problemi – qui e ora – per dare loro una soluzione, più giusta, oltre che scientificamente impeccabile. Governare l’euro, o buttarlo; rifondare l’Europa, o ridurne la portata: una discussione seria e difficile in cui ogni intervento ha portato argomenti, offerto altri punti di vista, allargato il quadro. Ciascuno, leggendo e scrivendo, ha imparato qualcosa; e anche questo è un merito della discussione, un aspetto della nostra democrazia.

Che si voglia o meno, cacciati dalla porta, i problemi reali rientrano sempre dalla finestra; magari per farlo, della finestra rompono i vetri – di tante finestre – come è avvenuto a Londra, massima capitale della finanza sconfinata. Ed è sui problemi reali dell’Europa, un po’ trascurati da qualche intervento al Forum, nella foga della discussione, che si potrebbe tornare. Uno è appunto il conflitto tra ricchi e poveri, in Europa; quello che coinvolge neo luddisti precari e nuovi operai al lavoro nei luoghi del consumo. Un conflitto che non è limitato ai centri commerciali inglesi e non si risolve mai con arresti di massa, getti d’acqua e proiettili di gomma. Poi ci sono le guerre che l’Europa combatte in Africa e in Asia, dilapidando la ricchezza comune, provando armi per morti raffinate e tecniche alternative di dominio. L’intento è quello di rimandare il declino e mantenere invece un controllo, sia pure di secondo ordine, di rincalzo, su popoli e continenti che non ne vogliono sapere. Per ultimo il problema dei problemi, sempre rimosso, sempre incombente. Il riscaldamento crescente, il disastro naturale in arrivo, l’obbligo di fare qualcosa, subito, per tenere viva una speranza di un domani. Sono tre temi: la povertà con le sue orribili ancelle, ignoranza e fame; la guerra con le sue rocambolesche bugie, per esempio di chiamarsi pace; la discarica globale che ogni giorno mangia un pezzo del pianeta. Ecco, l’Europa dovrebbe fare anche questi conti, e farli subito, senza preoccuparsi del resto. E noi con lei.

 

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Commenti

La ridistribuzione della ricchezza e la moltiplicazione dell'umanesimo

Il mio contributo parte da un dato che oggi nei TG è stato molto presente: la Germania, così come l'Italia e la Francia nell'ultimo trimestre sono cresciute di un valore intorno al 0.2%.
Questo se non erro, vuol dire che il PIL di questi paesi (la somma di tutte le fatture emesse nel trimestre) è rimasto pressochè uguale rispetto al periodo precedente di riferimento.

Quindi si sono emesse le stesse fatture del periodo precedente, si è creata la stessa ricchezza del periodo precedente.
E allora una domanda banale: perchè le cose vanno male?
Se continuo a fatturare da 4^ o 6^ economia del mondo, vuol dire che ho generato molta ricchezza, la 4^ o 6^ ricchezza del mondo in quel trimestre. Le cose allora vanno bene.
Chi incassa questa ricchezza al netto dei costi per generarla?

I capitalisti, mi viene da rispondere, cioè coloro che hanno il capitale finanziario su cui molta dell'economia ormai si fonda. Molto del valore del lavoro si è perso e molto del valore della conoscenza si è perso.
I possessori di "lavoro" e di "conoscenza" non hanno molta ricchezza da spartirsi.
Questi sono coloro che sono in crisi.
I produttori di lavoro e di competenze sono impoveriti.
E coloro che non hanno capacità di lavoro e conoscenza? Pure ci sono nel mondo.

Mi sembra che la soluzione indicata dai capitalisti sia quella di produrre maggiore ricchezza, con la promessa (tutta da verificare) di ridistribuire una parte del surplus ai possessori di "lavoro" e "conoscenza" e forse anche a chi non è in possesso di "lavoro" e "conoscenza".

Ma sarà qui un problema serio da affrontare?

La torta sembra non poter essere più grande di quello che è (il PIL ha variazioni intorno allo 0%), così sembra essere nelle economie mature, ormai da vari anni.
Allora è la sua distribuzione a dover cambiare, per migliorare le sorti economiche di chi non è capitalista (o di chi non lo è più).
Allora il problema è un fatto di LIMITE all'accumulazione di ricchezza di ciascun soggetto fisico o giuridico. Forse c'è un limite dettato dalla sostenibilità sociale ed economica a questa ricchezza.
Potrebbe essere che sia necessario discutere su tale limite ed invece far crescere altri aspetti della vita pur limitata dei soggetti giuridici o fisici: il loro umanesimo.
La capacità in qualche modo di vivere in armonia e circoscritta felicità, con il resto degli uomini, nel periodo limitato di anni che un soggetto fisico o giuridico vive sulla faccia della Terra.

Può valer la pena discutere ed approfondire le modalità con cui attuare questa moltiplicazione di umanesimo?
O dobbiamo accontentarci di una strenua lotta inutile a chi accaparra di più?

L'economia deve solo occuparsi di generare ricchezza, o può iniziare (o tornare) ad occuparsi di generazione di felicità e benessere tramite il fluire di ricchezza?
Molti diranno che sono temi vecchi, ideologici, di accademia, ma mi sembra che una soluzione a queste semplici questioni non ancora sia stata consolidata.
Mi piacerebbe che questi temi siano trattati insieme ai fatti puramente contabili con cui si analizzano le recenti discussioni economiche.
Un saluto

crisi e fame nel mondo

Adesso sono i morti per fame nel Corno d’Africa ad occupare uno spazio (scarsissimo) sui media. Ma c’è un miliardo di esseri umani che rischia la morte per fame. Non servirebbero cifre enormi per salvarli. In molte zone dell’Africa sono bastati i telefoni cellulari, con la possibilità per i contadini di conoscere i prezzi dei prodotti e sfuggire quindi ad intermediari imbroglioni. In altri luoghi la liberazione è venuta dal microcredito, in altri ancora dai computer che ricevono la corrente dai pedali o da una manovella.
Basterebbe poco: basterebbe che una sola delle grandi potenze (Stati Uniti, Russia, Cina) rinunciasse al 10% delle sue spese per armamenti. Spese per armi soltanto, non il 10% di tutte le spese militari. Siti americani, non smentiti, dicono che con quanto è costata la guerra in Afghanistan si poteva comprare una Cadillac ad ogni afgano.
Non è più tempo di eserciti e di guerre, è tempo in cui il pianeta trovi il valore della solidarietà, oltre che quello della sostenibilità ambientale. Noi italiani possiamo essere gli aprifila di questa rivoluzione: non c’è località italiana che non ospiti un’iniziativa di solidarietà con il terzo mondo. Si può imporre la salvezza di milioni di persone attraverso la tassazione delle rendite finanziarie.
Le risorse del mondo sono sufficienti per tutti, rendiamocene conto. Quei mille miliardi l’anno che le grandi potenze dovrebbero investire sono un investimento, non un costo. Dare un pasto tutti i giorni, curare le malattie, mandare a scuola i bambini … Rendere la terra un luogo felice per tutti i suoi abitanti, non solo per alcuni.

cosa hanno in comune i giovani inglesi, i tea party e i trader?

io come altri non riesco a capire - tra le tante - questa cosa qui: se i "mercati" salgono, è la speculazione (che non credo debba necessariamente essere intesa come fatto negativo) che alimenta, ed è un bene per tutti; se i "mercati" scendono, è sempre la stessa speculazione che alimenta, ma è diventata cattiva.
è opinione comune che i grandi investitori abbiano la stessa probabilità di guadagnare/perdere con mercati in rialzo ovvero in ribasso. è vero?
quindi diventerebbe una partita tra speculatori e cassettisti? ma allora è così rilevante pr gli interessi generale di un paese?

il trucco è che, fin che gli speculatori guadagnano, tutto bene. se iniziano a perdere, si mettono a strepitare come bambini a cui si è rotto il giocattolo ed i genitori/banche centrali devono pompare miliardi per farli nuovamente sorridere felici, davanti alle vetrine del concessionario auto.
così negli scorsi tre anni, a forza di interventi statali, bonus e lecca lecca per gli operatori, le banche centrali si sono svenate, versando benzina invece che acqua, sul fuoco che ci dicevano di voler spegnere.
di fatto, gli speculatori tengono in ostaggio i parlamenti, minacciando la fuga dei capitali se mettiamo il naso nei loro affari e chiediamo loro di versare una modesta mancia al fisco locale.

domanda: se costoro, lasciati liberi di scorrazzare con liquidità immense nel baule delle loro ferrari, hanno ridotto le economie a luna park estivi, ha senso essere così timidi nell'introdurre alcune minime regole nel funzionamento dei mercati (quelle che in qualsiasi scuola elementare sarebbero considerate troppo blande ed inadeguate)?

in realtà è in atto uno scontro di classe di ciclopiche dimensioni: a fronte della drammatica redistribuzione di ricchezza, avvenuta nel recente passato, a favore di una minoranza nella minoranza (i ricchi dei paesi occidentali), la elezione di obama ed un certo clima politico generale (consideriamolo il prezzo politico dei sussidi al sistema bancario dal 2008 in poi?) nel contesto di una riduzione delle quote di mercato dei paesi occidentali a favore delle economie BRIC, rischiano di ridurre l’entità di questa redistribuzione, fosse anche e solamente una riduzione limitata ed meramente prospettica.

se volessimo identificare (con tutti i limiti di una tale operazione) un singolo atto che ha rappresentato il fischio di inizio di questa gigantesca rapina planetaria, potremmo citare la rimozione della separazione tra banche commerciali e banche di investimento (negli USA la abrogazione del Glass Steagall Act del 1999, sicuramente bi-partisan) senza peraltro abrogare la garanzia statale sui depositi (la ben nota privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione delle perdite).

paradossalmente, i giovani inglesi che razziano i negozi di elettronica a croydon, i tea party che smantellano quel po' di sanità pubblica che c'era negli usa, i trader che vendono allo scoperto BTP e Bonos, hanno molto più in comune di quanto potremmo immaginare.