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Le crisi senza Unione

19/07/2011

Il progetto europeo è davvero al collasso? L'Europa è ancora in grado di offrire una nuova prospettiva di sviluppo ai suoi cittadini? Con questo articolo di Rossana Rossanda, Sbilanciamoci.info e il manifesto aprono il dibattito sul progetto di costruzione dell'Europa

Qualche anno fa Romano Prodi si è felicitato di aver fatto l’unità dell’Europa cominciando dalla moneta. Se avessimo cominciato dalla politica – è stato il suo argomento – non ci saremmo arrivati mai data la storica rissosità dei singoli stati. Mi domando se lo ripeterebbe oggi.
È vero che la moneta unica, l’euro, c’è ed è diventata la seconda moneta internazionale del mondo, ma lui medesimo, che aveva a lungo diretto la Commissione, Jacques Delors, che l’aveva preceduto – nonché Felipe Gonzales, presidente all’epoca del governo spagnolo ed altri minori responsabili di quegli anni – hanno scritto sabato su Le Monde un preoccupato testo sul suo destino. Quattro paesi dell’Unione, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia sono indebitati fino agli occhi e sono entrati in una zona di turbolenza pericolosa per tutto il continente. Soprattutto i padri dell’euro riconoscono che “certe misure” che si sarebbero dovute prendere a suo tempo, “come un coordinamento delle politiche economiche”, non sono state prese e “si stanno elaborando oggi" e “nel dolore”. Di furia, perché siamo alle strette. Se ho capito bene, si tratta di alleggerire il debito greco con l’emissione di Eurobonds che se ne assumono una parte a lunga scadenza (e senza specularci sopra come hanno fatto le banche tedesche e francesi) e poi andare a un programma economico di tutti i paesi europei che cessi di lasciare ciascuno a cavarsela da sé. E non getti sui cittadini greci tutto il “dolore” e il peso del rientro del debito e della ricostruzione di una economia. Paghino una parte del conto “i grossi investitori istituzionali”, cioè le banche estere hanno investito a rischio, e il rischio è il loro mestiere.
Parole prudenti, ma sufficienti, penso, a non trovare l’accordo dei paesi che si riuniranno giovedì 21 a Bruxelles – per cui la Germania sarebbe stata incline a prendere più tempo. Un suo illustre economista sostiene, una pagina più in là, che bisogna invece mettere la Grecia temporaneamente fuori dall’euro a spicciarsela con le sue dracme, una loro energica svalutazione e senza l’aiuto degli Eurobonds. È la linea liberista. Che si incrocia, in tutt’altra prospettiva, con quella di Amartya Sen, di alcuni economisti e sociologi francesi come Jacques Sapir e Emmanuel Todd e di politici di sinistra come Mélenchon e una parte dell’amletico Partito socialista, e dell’estrema destra di Marine Le Pen – via dall’euro e per sempre.
Non so – non trovando traccia delle procedure di abbandono dell’euro nelle varie bozze di trattati – se sia fattibile né ho capito in che cosa migliorerebbe le condizioni della Grecia un ripescaggio della dracma; la poderosa svalutazione si accompagnerebbe, certo, a una maggiore possibilità di esportare i suoi prodotti (ammesso che ne abbia di appetibili oltre il turismo) ma anche a un aumento, di proporzioni pari, del debito con le banche tedesche. O sbaglio?
Sta di fatto che alla vigilia del ventesimo compleanno della moneta europea, il giudizio su che fare è una cacofonia. Non a caso l’appello di cui sopra chiama prima di tutto ad avere “una visione chiara” e condivisa dello stato dell’Europa. Sarebbe stato utile arrivarci prima e non con il coltello alla gola. Oltre alla Grecia infatti, Portogallo, Spagna e Italia hanno accumulato un indebitamento pubblico mostruoso e vacillano sotto l’occhio spietato e non disinteressato delle agenzie di rating. Per il patto di stabilità non si dovrebbe superare il 60 per cento del Pil mentre noi, per esempio, siamo al 120. Ma la nostra economia appare in stato ben migliore di quella greca e, cosa che conta, il nostro indebitamento è soprattutto all’interno, non ci sono banche tedesche che ci ringhiano addosso.
Per cui anche se Moody ci abbassa la pagella, la Commissione si limita a ordinarci cure da cavallo, tipo la manovra votata a velocità supersonica qualche giorno fa, per “rientrare”. La cui filosofia è uguale per tutti: tagli alla spesa pubblica (scuole ospedali e amministrazioni locali in testa), vendita di tutto il vendibile (perché la Grecia non cederebbe il Partenone a Las Vegas?), privatizzare il privatizzabile, cancellazione dello stesso concetto di “bene pubblico”. Il governo greco, naturalmente di unità nazionale come tutti quelli delle catastrofi, è andato già a un taglio del 10 per cento dei salari e delle pensioni, e la collera e le manifestazioni della gente vengono dalla disperazione. E già per l’euro è un sisma.
Forse non è inutile ricordare che fra pochi giorni, il 2 agosto, gli Stati Uniti si troveranno, mutatis i molti mutandis, nella situazione greca di non poter pagare i salari né onorare le proprie fatture, perché il debito pubblico ha superato il tetto imposto dalla legge. Se non ché a innalzare quel tetto basta un accordo fra i democratici e i repubblicani, che finora lo hanno negato. Nessuno stato europeo può invece spostare da solo il patto di stabilità. Più che consolarsi sulle vaghe analogie sarà meglio chiedersi se questi indebitamenti dell’ex ricco occidente non abbiano qualche radice comune.
Mi rivolgo a chi ne sa più di me, cioè agli amici economisti e ai padri e ai padrini (di battesimo, in senso cattolico) della Ue, nella speranza che rispondano ad alcune altre domande che a una cittadina di media cultura si presentano ormai impietosamente. Non c’è stato qualche errore nella costituzione della Ue? E come si ripara?
La prima domanda è come mai i padri dell’euro si erano convinti che un’unificazione della moneta sarebbe stata di per sé unificatrice di un’area vasta di paesi dalla struttura economica così diversa per qualità e robustezza. Tanto convinti da non avere previsto misure di recupero per chi non riuscisse a stare nel patto di stabilità. Non è forse che consideravano impensabile che la mano invisibile del mercato non riuscisse ad allineare a medio termine le economie di questi paesi? Per cui bastava affidarsi a una politica monetaria e attentamente deflazionista – linea che la Bce ha fedelmente seguito – per garantirne il successo? L’euro e la Ue sono nati in quella fede nel liberismo, che von Hajek aveva ripreso, proprio prima della guerra, contro la politica rooseveltiana seguita al 1929 e le proposte di Beveridge e di Keynes di trarre da quella crisi la consapevolezza del pericolo che rappresenta una frattura economica e sociale profonda, trovarsi di fronte una destra populista come quella che negli anni ’30 si sviluppò, oltre il fascismo, nel Terzo Reich di Hitler, nella Grecia di Metaxas e nella Spagna di Franco? Non era necessario evitarla andando a un vero compromesso fra le parti sociali, costringendo i governi a (mi sia premesso il gioco di parole) costringere il capitale a cedere una parte meno iniqua del profitto alla monodopera, in modo da: a) garantirsi una certa pace sociale (c’era ancora di fronte l’Urss che aveva fatto arretrare i tedeschi a Stalingrado); b) garantire un potere d’acquisto di massa per una produzione di massa (fordista)? Le costituzioni e le politche dei governi europei del secondo dopoguerra andarono, più o meno, tutte in questa direzione.
Dalla quale la Ue svoltava decisamente.Tre anni prima era caduto il Muro di Berlino, e i partiti di sinistra e i sindacati avrebbero seguito, più o meno convinti, la strada. I conti della scelta liberista ci sono oggi davanti agli occhi.
Al di là degli effettivi successi in campo giuridico in tema di diritti umani, non è forse vero che, malgrado le enfatiche dichiarazioni, i vari trattati, quello di Nizza incluso, registrano un arretramento dei diritti sociali rispetto ai Trenta Gloriosi? Probabilmente si riteneva che costassero troppo: nessuno è stato eloquente su questo punto come il New Labour di Tony Blair. Sta di fatto che, dichiarando nobilmente la piena libertà di circolazione delle persone, delle imprese e dei capitali, messi sullo stesso piano, la Ue dava libero corso alla finanza, alle delocalizzazioni e assestava ai lavoratori una botta epocale.
Cittadini, imprese e capitali non sono infatti soggetti della stessa natura, e non hanno la tessa libertà di movimento. Altra cosa è spostarsi in Lituania per il salariato di una impresa lombarda ed altra per la sua impresa andarvi in cerca di dipendenti da pagare di meno. E ancora altra lo spostarsi virtuale di un quotato in borsa da Milano a Tokyo. Ma non stiamo a fare filosofia. Con la Ue cessava infatti ogni controllo sul movimento dei capitali in entrata e in uscita, non solo da parte di ogni singolo stato ma del continente; e siccome in Europa i lavoratori avevano raggiunto collettivamente un salario più alto e una normativa migliore che nel resto del mondo, i capitali scoprivano presto che potevano ottenere dalle operazioni finanziarie un profitto assai più ingente di quello che si poteva ottenere dagli investimenti nella produzione, materiale o immateriale che fosse. La finanza ha preso un ritmo di crescita senza precedenti, le sue figure si sono moltiplicate inanellandosi su se stesse fino a perdere ogni base effettiva, abbiamo scoperto parole suggestive, come i fondi sovrani, i trader, gli asset, i futures, e capito meglio a che e a chi servisse un paradiso fiscale, la Ue liberista apriva insomma il varco a manipolazioni non illegali ma mai conosciute prima, le stesse che gonfiandosi hanno formato la grandiosa bolla finanziaria scoppiata nel 2008. Nella quale gli stati sono dovuti intervenire con i soldi pubblici per evitare il crollo delle banche (una, la Lehman Brothers, è colata a picco) e dei relativi e ignari depositari. Coloro che erano stati consigliati di comperare una casa dall’allegria finanziaria delle banche stesse si sono trovati per strada. Un trader più esperto dei suoi superiori ha fatto perdere cinquecento milioni di euro alla antica Sociéte Générale, per amore della mirabolante professione, senza mettersi in tasca un quattrino. Alcuni imbroglioni hanno fatto miliardi, uno di loro, Madoff, s’è fatto pescare. Il G20 e il G21, riuniti in fretta, hanno innalzato lamenti, denunciato la finanza, inneggiato all’intervento dello Stato, denigrato fino un mese prima, deprecato l’esistenza dei paradisi fiscali e si sono fin giurati di ridare “moralità” al capitale. Ma tutto è tornato come prima, neppure l’obiettivo più semplice, chiudere con i paradisi fiscali, è stato realizzato. L’investimento nella finanza resta golosissimo.
Sulla stessa linea, i capitali che restavano nella produzione scoprivano che avrebbero realizzato ben altri profitti se avessero spostato le loro imprese fuori dall’Europa occidentale, dove imperversano ancora, sebbene assai allentati, i “lacci e lacciuoli” e la “rigidità” del lavoro. Così succede, per offrire qualche esempio, che un gruppetto bresciano si sia acquistato in Francia una vecchia e gloriosa marca di piccoli elettrodomestici per portarla in Tunisia (prima della rivolta). Che un miliardario indiano si sia acquistato le residue acciaierie d’Europa per chiuderle, restando solo sul mercato con l’azienda paterna. I governi non si pemettono più di intervenire sulle parti sociali, correndo dietro ai capitali e mettendogli il sale sulla coda con agevolazioni e detassazioni. Chi non sa che una impresa paga meno tasse di quanto debba pagare un salariaro? Se poi è una multinazionale del petrolio, come la Total, che è insediata in diversi paesi, può succedere che in Fracia non paghi nulla.
Infine, il capitale ha avuto più intelligenza delle sinistre nel puntare sul trasferimento del lavoro in tecnologia. Poteva essere un enorme risparmio di fatica e un enorme aumento della produttività della manodopera, ma è solo servito a ridurla. Può sorprendere che in tutta Europa i disoccupati superino oggi i cento milioni? Che il 21 per cento dei giovani non trovi lavoro? I governi pensano poi a demolire, per facilitare le imprese, le difese restanti del salario e della normativa nel lavoro dipendente. L’invenzione del precariato è stata geniale. Certo resta ancora da fare per raggiungere l’inesistenza di diritti e contratti collettivi dell’Egitto e della Cina, ma si direbbe che l’obiettivo sia quello.
Come si faccia a tener alte le entrate e modificare la crescita e in direzione compatibile con un impoverimento diretto e indiretto, attraverso i tagli nel welfare della grande maggioranza delle nostre societa è per me un mistero. Come si possa stupirsi che gli operai, occupati o disoccupati, scombussolati dalle scelte dei partiti di sinistra e dei sindacati, non amino questa Europa? E crescano dovunque in voti le destre?
Vorrei essere smentita. E che mi si dimostrasse che l’Europa non c’entra, che non può, e non solo non ha voluto, far altro.

English version on opendemocracy: The road to Europe: question on the Union

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Commenti

domanda

la preoccupazione per la situazione attuale mi spinge a leggere svariati quotidiani e i commenti dei lettori. ho visto molti commenti che inneggiano all'uscita dall'euro. mi sono chiesta, se a questo punto si verificasse l'ipotesi che pare ancora abbastana lontana, nonostante tutto, di un collasso dell'uro, e ipoteticamente si tornasse alle vecchie monete, per anche solo una parte dei paesi euro, quelli periferici, se fra questi vi fosse l'Italia, quante lire i verrebbero restituite ad ogni italiano, per ogni euro che ha?la domanda è rivolta agli economisti in grado di ipotizzare il calcolo in questione.

Crisi economica e perdita della sovranità?

Come non condividere la affermazioni di Rossana Rossanda sull'inutilità dei vari summit G 8, G 20 nell'affrontare il problema della speculazione finanziaria. Perché i mercati finanziari non sono stati regolamentati ad esempio abolendo tutti gli strumenti derivati e quelli con leva finaziaria (short o long). Tali strumenti diventano letali quando il sottostante sono materie prime come grano, mais ed anche petrolio , paradossalmente questi strumenti perversi possono speculare sulla poverta' di un intero paese (debito sovrano) creando quelle che vengono definite bolle speculative.
I grandi speculatori sono privati o addirittura interi stati i quali hanno accesso a informazioni riservate in grado di sapere quale sara' il trend futuro su una determinata materia prima, possono in questo modo, con facilita', accumulare ingenti quantita' finanziare in un solo giorno a volte anche superiore al p.i.l di intere nazioni senza produrre ne beni ne servizi.
Questo tipo di speculazione in passato, era in grado di mettere in ginocchio interi paesi che ipocritamente chiamiamo terzo mondo, ultimamente dal 2008 in poi ha contagiato anche i paesi più sviluppati generando una grande crisi non economica ma esclusivamente finanziaria.
La politica finanziaria europea in pratica e' la fotocopia della politica tedesca degli ultimi 50 anni, ovvero, moneta forte, inflazione bassa. Questa politica risulta efficace in un sistema industriale come quello tedesco il quale in questo modo puo' importare materie prime a basso costo ed esportare beni ad alto valore tecnologico. Ora mi domando,come si fa ad applicare questa politica a paesi come Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia?
come si può non tenere conto delle variegate realtà industriali europee?
Perché il problema dell'insolvenza greca è emerso solo ora?
Paesi come l'Italia e Spagna avrebbero bisogno di comportarsi come avvenuto in passato con crisi di questo tipo , ovvero, di una sana svalutazione della moneta con la possibilita' da parte degli stati di calmierare la disoccupazione con opere pubbliche (utili, no tav) manutenzione e rifacimento reti idriche ad esempio; ricerca nel settore energetico, investimenti su istruzione, sanità, trasporti, salvaguardia beni culturali ecc.
E se il problema europeo fosse proprio la locomotiva tedesca la quale vede con orrore anche una leggera svalutazione dell'euro?

Europa ed euro

quando si fa un progetto, si deve sempre pensare anche a chi lo applicherà. Alle persone che ci saranno. A controllare la moralità, la pulizia mentale di tutti. O si mette la gente in pericolo. Si ottiene un effetto sbagliato, a volte devastante.

Sì, c'è stato un errore

Sì, c'è stato un errore, non nella costituzione della UE, ma nella moneta unica. Un errore "tecnico" ed un errore – conseguente – politico.
I padri fondatori dell'Europa si mossero secondo una linea semplice e sensata: mettiamo insieme i paesi europei su progetti economici di successo (attenzione! di successo, cioè che facciano star meglio tutti) e da questi usciranno progressi anche politici nell'unione. Così è stato certamente per il Mercato Comune.
Ma la moneta unica non era un progetto di successo: i fatti, direi, lo dimostrano.

Una nuova Europa

Progetto di costruzione dell'Europa. Ormai non è più rinviabile. La Rossanda scrive che «Quattro paesi dell’Unione, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia sono indebitati fino agli occhi e sono entrati in una zona di turbolenza pericolosa per tutto il continente». E, rileva che "un coordinamento delle politiche economiche” in pratica non esiste ed ha ragione. Penso che se per affrontare il problema del contagio della crisi del debito pubblico nell'area dell'euro il vertice europeo di Bruxelles di giovedì 21 luglio ha deciso soltanto di aumentare la flessibilità del fondo salva-Stati, Efsf (European financial stability facility), siamo veramente lontani dal mettere in campo una politica economica comune per l'eurozona.

La Rossanda scrive: «Mi rivolgo a chi ne sa più di me, cioè agli amici economisti e ai padri e ai padrini (di battesimo, in senso cattolico) della Ue, nella speranza che rispondano ad alcune altre domande che a una cittadina di media cultura si presentano ormai impietosamente. Non c’è stato qualche errore nella costituzione della Ue? E come si ripara?

Nell'attesa di leggere le risposte dei padri dell'Ue faccio notare che comunque bisogna convivere con l'euro. E, convivere, naturalmente non significa solo criticare ma fare proposte che abbiano obiettivi di determinare un nuovo quadro economico. Al momento, purtroppo bisogna fare i conti con la manovra che è stata una risposta forte del sistema neoliberista al recente referendum. Una unità di forze varie così ben organizzate non si era mai vista. Il parlamento in quattro giorni ha fatto proprio un ottimo servizio danneggiando i redditi bassi.

Che fare quindi? Penso che i trattati Ue vadano quanto meno riletti in relazione alla situazione attuale. Niente può essere eterno ma bisogna cercare di essere propositivi. Il sistema dell'euro non ha alcun meccanismo automatico di equilibrio. Gli Stati che hanno un debito pubblico elevato debbono far valere le loro ragioni. In Italia, purtroppo, con l'attuale governo non si va da nessuna parte.

Dr. Felice Di Maro
Via Adolfo De Carolis 38
63074 San Benedetto del Tronto
Cell.3385909735

Necessità di nuove regole e movimento di popolo

Articolo del tutto condivisibile (ho letto poco finora Rossana Rossanda, ma vedo con favore che non ragiona più da intelligentona massimalista).
Nel solco delle decisioni dell’ultimo vertice europeo, piano piano (l’UE è un nano politico per questo), io credo che verrà il resto, inclusa già ora una politica del credito del FMI (e delle banche coinvolte) molto meno severa e una ridefinizione delle regole. E’ inevitabile succeda perché l’Europa è la zona prima per PIL e deve farlo contare, e la crisi è troppo seria e sarà lunga.
Tutto questo avviene sotto la pressione dell’opinione pubblica europea, indignata per i sacrifici distribuiti molto iniquamente; in un quadro della comunicazione in cui la partecipazione democratica con Internet gioca un ruolo importante e crescente.
Mario Draghi, in qualità di presidente del FSB ha preannunciato le nuove regole per settembre-ottobre prossimi. L’ha detto anche la “bottegaia” Merkel 3 giorni fa che i tedeschi chiedono una regolazione dei mercati finanziari, e l’avranno, dopo l’estate.
La partita oggi è truccata, a favore dei ricchi potenti, egoisti, avidi e spietati, e questo deve – deve – cambiare!
Ma appunto è necessario un movimento di popolo dal basso (che invece finora ha costituito la massa di utili idioti a loro favore, “educati” da pochi utili idioti ben retribuiti) per vincere la pretesa di quattro gatti potentissimi, ricchissimi, avidissimi e spietatissimi di decidere la “schiavizzazione” del resto dell’umanità.