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Tre episodi di ordinaria protezione civile
Le emergenze vere dimenticate, quelle che non finiscono, i tesoretti nascosti. Storie quotidiane dall'interno del sistema che adesso è sotto accusa
1. La vera emergenza non tira. Parlo con alcuni lavoratori della protezione civile. Tutti professionalmente preparati e che, nella costruzione del sistema di protezione (prima di Bertolaso), ci avevano veramente messo testa e cuore; gente avvezza a terremoti e frane e alla prevenzione, meno a curare l’organizzazione dei mondiali di ciclismo. Tutti messi da parte, emarginati, lasciati a far nulla, spesso sostituiti con consulenti esterni. Sì, perché l’efficienza e la velocità anelata dal gran capo richiedono obbedienza cieca ed assoluta. Così, quelli che ancora vorrebbero concentrarsi sulle emergenze vere, che magari considerano ancora essenziale lo studio delle attività sismiche ed eruttive, non trovano più posto in una protezione civile che si militarizza (divise e una squadriglia aerea che probabilmente dispone di più mezzi e piloti di Alitalia - i Canadair, utilizzati, fra l’altro, per spegnere gli incendi) e che scopre che, piuttosto che attivarsi sull’”episodica” emergenza, meglio lavorare in continuo su business facili da prevedere, pianificare e gestire, dai citati mondiali di ciclismo (per Maroni, a Varese, e come non ricordare, nelle riprese RAI, gli striscioni leghisti in primo piano), al giubileo di Rutelli, ai mondiali di nuoto per gli amici del Salaria Sport Village. Tanto più che Bertolaso ha sempre qualcosa da offrire al politico di turno: io ti organizzo l’evento che vuoi, dove vuoi e te lo finanzio, ché tanto posso operare fuori bilancio; insomma, un “chiavi in mano” senza noiosi passaggi parlamentari e senza dover perder tempo in bandi e a trovare i soldi.
2. Fare protezione civile a spese di tutto il resto dell’amministrazione. Uno sconfortato dirigente pubblico sull’orlo della crisi di nervi. Gestisce un’unità non grande, continuamente falcidiata da Bertolaso, che si porta via chi vuole e quando vuole. Sì, perché la legge concede alla protezione civile di prendersi dalle altre amministrazioni chiunque, senza possibilità di dire no. Legge sacrosanta, perché quando c’è un’emergenza cambiano le prioritaria rispetto alla normale amministrazione (giusto passare col rosso, per dirla con Scalfari). Solo che qui non si tratta di trovare rapidissimamente gente da mandare ad aiutare sfollati o terremotati, per la durata dell’emergenza, per poi farli rientrare nei ranghi. Lo sconfortato dirigente mi fa notare che il più delle volte la chiamata alla protezione civile viene giustificata sulla base di emergenze verificatesi quattro, cinque anni prima. Peraltro, a quanto gli risulta, non uno dei suoi è mai stato inviato, anche per un solo giorno, fuori Roma, sul campo. Infatti si tratta di normali funzionari, senza specifiche competenze in materia di protezione civile, ma con due caratteristiche: o svegli, o raccomandati. Sì, perché la protezione civile è ambita: per un funzionario vuol dire circa 300 euro al mese netti in più rispetto alle altre amministrazioni. E, una volta messo piede in protezione civile, nessuno è mai tornato: raro che un’emergenza finisca, tipicamente ogni anno, entro il 31 dicembre, il governo ne approva la proroga…. Così la protezione civile si fa bella a spese delle altre amministrazioni, che vedono partire i migliori (d’altronde, come dare torto a funzionari che guadagnano stipendi da fame) e aprirsi voragini nell’ordinaria amministrazione, che non possono essere più colmate, stante il blocco delle assunzioni.
3. 2 miliardi per l’Abruzzo. Spesi: zero. Un sindacalista mi fa scoprire un tesoretto per la ricostruzione, ad oggi quasi due miliardi, dei quali 800 milioni disponibili fin dall’aprile scorso, dei quali nulla è stato ancora speso. Abbiamo sotto gli occhi le immagini della città di L’Aquila ormai abbandonata, senza che i lavori di ricostruzione siano neanche iniziati. Eppure il decreto legge 28 aprile 2009 (quello sull’Abruzzo) prevedeva, all’articolo 14, che per il quadriennio 2009-2012 il 7% dei fondi disponibili degli enti previdenziali venisse destinato ad investimenti immobiliari per la ricostruzione dell’Abruzzo. Le modalità di impiego dei fondi sarebbero state determinate attraverso ordinanze del Presidente del Consiglio, in veste di titolare delle competenze in materia di protezione civile. In pratica la norma riguarda soprattutto l’INAIL che, in questo modo, avrebbe potuto destinare quasi 1 miliardo l’anno ad investimenti immobiliari (sia pure per il tramite di un fondo immobiliare). Già dal 28 aprile poteva dunque essere spesa la quota 2009. Non risulta che un euro sia stato speso, né un progetto avviato. Sono dunque oggi disponibili le quote 2009-2010, per un ammontare di quasi 2 miliardi. Delle necessarie ordinanze del Presidente del Consiglio, nel frattempo, sembra ne sia stata emessa solo una (n. 3820, in data 12 novembre 2009) che, all’articolo 6, parla, peraltro, della necessità che gli enti previdenziali realizzino, con i fondi di cui sopra, investimenti che garantiscano la redditività “inclusi gli interventi di ricostruzione e riparazione di immobili” nei comuni terremotati dell’Abruzzo, lasciando dunque intendere che parte delle risorse destinate all’Abruzzo potrebbero trovare altre destinazioni. Viene da chiedersi da un lato quali potranno essere queste altre destinazioni, dall’altro se i ritardi (la paralisi, meglio dire) della ricostruzione non possa dare occasione a qualcuno ben informato di rastrellare macerie nel centro di L’Aquila, per poi venderle a caro prezzo al costituendo fondo immobiliare dell’INAIL, con lavori di ricostruzione appaltati poi in emergenza e senza gara a qualche impresa del giro. Pure illazioni forse, ma chi ha detto che a pensar male, a volte, si azzecca?
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