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L'economia che cade dalla cattedra
A proposito di titoli tossici: il fallimento non è di tutto il pensiero economico, ma di quel modello unificato di spiegazione della realtà che negli ultimi anni è andato per la maggiore, riuscendo a fare nell'economia quel che non era riuscito neanche nelle scienze fisiche. Il che pone interrogativi di fondo sull'insegnamento dell'economia e sulle fatiche del pensiero critico
Conoscendola, non credo che Roberta Carlini esorti a bruciare i libri. Credo invece che sollevi una questione seria, una questione epistemologica di grande rilievo nella ricerca e soprattuto nella didattica dell’economia politica (sono ancora affezionato a questa denominazione, e non soltanto per ragioni di età). La teoria economica oggi dominante – l’economia neoclassica – si presenta come una teoria capace di indagare qualsiasi aspetto dell’attività umana. Essa sembrava essere riuscita in un’impresa nella quale la fisica sinora ha fallito, la proposta di un modello unificato di spiegazione della realtà considerata di propria competenza; di certo è riuscita a imporre come elementare e indiscutibile buon senso la sua visione del mondo e le conseguenti raccomandazioni politiche: visione del mondo e raccomandazioni politiche che hanno portato alla crisi in atto.
Così come non esiste l’agente rappresentativo con aspettative razionali, non esiste nemmeno l’economista rappresentativo portatore della teoria vera. Anche gli economisti, per fortuna, sono eterogenei. Infatti non esiste una sola teoria economica: a fianco di quella dominante ne coesistono altre, che si possono definire eterodosse e che di quella neoclassica mettono in discussione la rilevanza o la stessa coerenza logica (un elenco di riviste eterodosse si trova nel sito Heterodox economics web: http://www.orgs.bucknell.edu/afee/HetJrnls.htm). Basti qui ricordare che negli anni Sessanta del secolo scorso, sulla base del contributo di Piero Sraffa, si svolse una memorabile controversia sul concetto di capitale tra la Cambridge inglese (neoricardiana) e quella statunitense (neoclassica); controversia dalla quale la teoria neoclassica, per ammissione dei suoi maggiori esponenti, primo fra tutti Paul A. Samuelson, uscì sconfitta; una sconfitta alla quale non poté reagire che con la rimozione e la censura. D’altra parte è ancora vivace la tradizione marxista (si veda il sito Actuel Marx: http://ne.u-paris10.fr/actuelmarx/indexb.htm), al punto che in molte importanti università statunitensi vengono impartiti corsi di teoria economica marxiana; e particolarmente fiorente è la scuola postkeynesiana, che trova le sue radici nelle opere di John M. Keynes e dello stesso Sraffa. Chi fosse insoddisfatto della teoria neoclassica, o semplicemente curioso, potrà guardare in queste direzioni: a condizione che disponga di una bussola e di un buon Baedeker.
L’economia è una disciplina che non progredisce, o per lo meno non progredisce nel senso in cui progrediscono la fisica e la medicina, cioè con l’acquisizione di nuovi risultati sostanziali. Anche nelle scienze della natura coesistono teorie rivali, ma le scienze della natura dispongono, in generale, di criteri sufficientemente robusti per accertare lo statuto epistemologico delle diverse teorie. L’economia non si occupa di un oggetto naturale, bensì della società, e di una società storicamente determinata; nel lavoro teorico, e nella competizione tra le diverse teorie economiche per l’egemonia culturale, l’elemento politico ha perciò un peso importante, talora determinante.
Ognuno è libero di coltivare la teoria in cui crede, ma sarebbe bene se conoscesse anche le altre teorie. Non è invece libero di insegnare soltanto la teoria in cui crede; è invece moralmente tenuto a insegnare anche le teorie alternative alla sua. Un atteggiamento critico richiede un sovrappiù di lavoro, sia per il docente sia per lo studente, ma questa è una buona cosa. Anziché i manuali – in economia politica non ci sono le premesse nessarie per scrivere l’equivalente del Manuale Colombo dell’Ingegnere - si dovrebbero far leggere i testi; e si dovrebbe insegnare, non come insegnamento a parte, almeno un po’ di storia dell’analisi e del pensiero. «Lo studio della storia del pensiero», scrive il Keynes vituperato sino a ieri e oggi riscoperto, con un acrobatico salto della quaglia, anche da chi non lo ha mai letto o semmai soltanto in traduzioni traditrici, «è premessa necessaria all’emancipazione della mente. Non so che cosa renderebbe più conservatore un uomo, se il non conoscere niente altro che il presente, o niente altro che il passato».
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