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Università e ricerca, parliamo nel merito. Ma con chi?

24/10/2008

La situazione dell’università e della ricerca in Italia può essere presa come esempio di tanti altri problemi strutturali che affliggono il paese e che richiederebbero una politica pragmatica e lungimirante, e che invece trovano invariabilmente soluzioni rabberciate e di corto respiro. Nell’ultimo decennio per il blocco delle assunzioni il numero di ricercatori con posizioni temporanee è cresciuto in maniera abnorme. Il reclutamento e’ spesso una terra di conquista dove il merito e la qualità scientifica sono marginali a parte casi eccezionali. I docenti italiani sono di gran lunga i più vecchi d’Europa e i cosiddetti “giovani” (fino a quarantacinque anni) trovano enormi difficoltà nell’inserimento con la precarizzazione del lavoro che ne consegue. In questo momento a fronte di 60,000 docenti universitari ve ne sono altrettanti non strutturati con varie tipologie contrattuali nell’università e negli enti di ricerca. Questi sono problemi strutturali del sistema università-ricerca che stanno soffocando una intera generazione di scienziati e ricercatori e uccidendo sul nascere quelle a venire. L’università italiana e’ già in una posizione svantaggiata rispetto ad altri paesi ed il domani non potrà che essere peggiore. L’anno scorso al CNR Francese (CNRS) su sette “giovani” (in Francia, vuol dire meno di trenta anni) ricercatori in fisica assunti, quattro erano italiani.

I vari governi che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno, nel migliore dei casi, usato la ricerca solo per insostenibili promesse in campagna elettorale. Il governo Prodi aveva approvato un articolo di legge per cercare di sanare a suo modo la situazione assumendo ope-legis (stabilizzando) coloro che erano già stati selezionati per un certo tipo contratto a tempo determinato. Un provvedimento che identifica i fortunati dal tipo di contratto e dalla data di scadenza data, e che lascia fuori chi invece aveva un contratto di un altro tipo o magari con una data leggermente diversa, chi sta all’università invece che in un ente di ricerca o chi ha trascorso un periodo all’estero sempre con un contratto a tempo determinato. L’indipendenza scientifica od il merito non sono conteggiati, piuttosto viene premiata l’anzianità di servizio. Non si potevano fare concorsi aperti a tutti? Con tutto il male che si può dire di un concorso è senz'altro meglio delle assunzioni per via burocratica. Ma alla fine pure questa soluzione non e’ stata portata a termine per mancanza di soldi. Ora la soluzione prospettata dal ministro Brunetta va nella direzione opposta: far perdere la posizione permanente promessa dal governo Prodi mandando a casa almeno 2000 ricercatori entro la fine dell’anno che ormai contavano sulla soluzione prospettata dal governo precedente, senza contare i co.co.co. a cui non verranno rinnovati i contratti, promettendo a sua volta di monitorare la situazione per poi proporre qualche soluzione l’anno prossimo. In più tra i nuovi provvedimenti ve n’e’ uno che prevede che per ogni cinque professori universitari che vanno in pensione gli atenei potranno assumere un solo ricercatore: questo in una situazione in cui solo il 4,5 % del corpo accademico ha meno di trentacinque anni significa, annullare la speranza per l’entrata dei “giovani” nell’accademia.

L’incapacità e il disinteresse della classe politica si sommano all’inettitudine di un corpo accademico interessato soprattutto alla cura del proprio orticello. Al di là dei casi lampanti di nepotismo, il corpo accademico riesce a ricompattarsi solo quando c’e’ da batter cassa. Certo senza soldi non si va nessuna parte, ma anche utilizzando male le poche risorse che vengono destinate all’università ed alla ricerca non si fa un grande servizio. Per questo le mobilitazioni studentesche di protesta di questi giorni, animate dalle intenzioni più nobili, corrono il rischio di essere strumentalizzate (come al solito) da chi l’università ha contribuito a distruggerla. Il concetto semplice che sfugge a chi dovrebbe occuparsi dell’università e’ che questa ha una funzione strategica per il futuro del paese, per la crescita economica e culturale. Strano a dirsi, ma è davvero così.
L’altra sera Veltroni in televisione da Fazio ha detto che bisogna discutere nel merito delle cose e non fare un’opposizione urlata per strada. Veltroni ha proposto in campagna elettorale una legge per dare fiducia ai giovani ricercatori: 250,000 euro l’anno a quelli bravi. Certo meglio di niente. Ma supponiamo siano 40 questi giovani brillanti, ed arriviamo subito a 10 milioni di euro, più del finanziamento ministeriale dei progetti di ricerca in fisica in Italia all’anno. Ci sono più di 40,000 persone che lavorano nella ricerca e che vorrebbero intravvedere un barlume di lucidità da parte della classe politica che ci governa: affrontare seriamente il problema dell’università, rendendosi conto della necessità di proporre soluzioni reali in un’ottica di lungo periodo e non rimedi estemporanei ed inconsistenti. Ecco, parliamo nel merito ma con chi ?

Tratto da pandoratv.it