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Cronaca

Cronache italiane: zingari a Torino

28/05/2008

Le aggressioni contro i rom, il pacchetto sicurezza, un presidio poco frequentato. Alcune aggiunte e riflessioni in merito a una non-notizia.

Sabato 24 maggio un gruppetto di persone, con grandi ombrelli, sotto una fitta pioggia, ha tenuto un presidio sotto la Prefettura di Torino per protestare contro le aggressioni ai rom e il cosiddetto pacchetto sicurezza del governo.

C’erano gli striscioni della Cgil-Cisl-Uil, qualche cartellone con foto e slogan, protetto dalla pioggia sotto una tenda rossa, una delle bandiere con la falce e martello diventate extraparlamentari il 13 aprile, tenuta da uno zingaro che conosco da vent’anni, due dei preti operai più noti della città, i segretari generali provinciali delle tre confederazioni, alcuni membri di segreteria, molte funzionarie, una numerosa rappresentanza del sindacato scuola Cgil di quaranta anni fa, finita a svolgere funzioni varie, alte e basse, per i casi della vita, tutti i funzionari sindacali stranieri dei tre sindacati, qualche altro zingaro che conosco da una diecina d’anni ed una giovane madre con almeno cinque bambini, un vecchio ex-sindacalista a cui si doveva se quella, doverosa, riunione si era tenuta.

C’era anche un gruppo di giovanotti, mal riparati sotto striscioni no Tav, che, alla fine, quando ci saranno state ancora trenta persone, hanno anche fatto un mini blocco stradale – basta scendere dal marciapiede e mettersi dove passano le auto e i tram – giusto per rispettare il copione fino in fondo, contro la violenza dello stato. E il vecchio ex-sindacalista di cui sopra, Renato Lattes, è andato a convincerli a smettere, per non mandare in vacca tutto, incluso il movimento no Tav, perché la gente si arrabbia ad essere bloccata in tram, sotto la pioggia, da una diecina di persone.

E ci è anche riuscito.

Uno dei due preti operai, Luigi Ciotti, ha parlato, vigorosamente, citando la Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Poi è salito dal prefetto, insieme con l’altro prete operaio, Fredo Olivero, e le segreterie.

A Fredo il Prefetto avrà ripetuto ciò che gli dice quando lo vede, cioè spesso, dato che lui, il primo responsabile dell’Ufficio nomadi, poi diventato Stranieri e nomadi, del Comune di Torino, all’epoca di Novelli, continua a fare da mediatore, messaggero, finanziatore dei rimpatri, o comunque della fuga, di chi ha paura. Cioè gli avrà detto che non ci sono in programma sgomberi di massa, né di rom né di stranieri.

Una non notizia.

I giornali gli hanno dedicato un pezzetto, nelle pagine locali, all’interno del pezzo assai più lungo sull’incontro tra sindaco Chiamaparino e sottosegretario Davico, in cui si è dichiarato che, a differenza che a Milano, Roma e Napoli, a Torino non c’è una emergenza rom.

Gli zingari però un po’ di paura ce l’hanno lo stesso, non solo nel senso che non vengono numerosi alle manifestazioni in loro difesa. I marocchini e gli altri africani sono preoccupati come sempre, ma non di più, perché il pacchetto riporta tutta la normativa al punto di partenza, non peggio, hanno sentito fare la voce grossa altre volte e pensano che la burocrazia, che ha sbrigato il 6% delle pratiche del decreto flussi in quasi 6 mesi, non è in grado di distinguere i regolari dagli irregolari, le badanti dai manovali, e che ogni gruppo di interesse difenderà i suoi stranieri, quelli che gli servono.

Spero abbiano ragione, anche se qualche peggioramento per i ricongiungimenti e il passaggio alla maggiore età dei minori ci sarà di sicuro.

Ma questa non notizia merita qualche aggiunta e qualche precisazione.

La prima aggiunta, che è una assoluta ovvietà, è che gli zingari a Torino non stanno bene e che, di conseguenza, non stanno bene quelli che gli abitano vicino.

Staranno meglio che a Ponticelli o in altre periferie, ma non stanno per niente bene, come da sempre. Solo che adesso, con l’ingresso della Romania nell’Unione, sono parecchi di più, hanno meno famiglie amiche, hanno pochissime possibilità di inserimento.

Quanti sono? Dato che si muovono e non devono neppure avere il permesso di soggiorno, anche chi li frequenta più di me può solo tirare a indovinare.

Qualcuno dice 2.000 in tutto; qualcuno dice di più. Sono cioè intorno all’uno per mille dei due milioni di abitanti della provincia. E’ un classico.

Ci sono campi abusivi storici, su cui sono stati fatti progetti e tesi. Ci sono progetti nelle scuole che consistono nel lavare, rivestire con abiti puliti i bambini rom (come le tute per gli operai nelle fabbriche), immetterli nelle classi, e ridargli i vestiti sporchi a fine turno.

Ma la evasione scolastica per gli irregolari è altissima e la dispersione molto alta.

Quando ci si avvicina a un campo, anche regolare, con l’operatore che sta lì con il suo container e qualche aiuto, le buche, che non mancano mai, diventano enormi, i rifiuti diventano fastidiosi e non sembrano imputabili, per quantità e qualità, alla sola cattiva condotta dei presenti, anche perché il campo, oltre il cancello d’ingresso, è pulito e ordinato.

Nei campi irregolari, dicono, convivono rumeni ordinari, rumeni zingari e zingari non rumeni.

Le famiglie rumene dell’ultima ondata magari non hanno trovato lavoro regolare: la moglie fa la badante in nero, il marito si arrangia, non può pagarsi una casa, che del resto non si trova, e si fa una baracchetta accanto a quelle dei rom.

Nelle discussioni che hanno preceduto la non notizia di sabato uno zingaro che fa l’operaio è intervenuto per dire, in buon italiano, che lui lavora in regola da 16 anni, ma in tram, al bar, siccome è grosso e scuro, se dice che lavora nessuno gli crede, perché lui è visibilmente zingaro. In fabbrica, se dice che è zingaro, nessuno gli crede, perché gli zingari non lavorano, rubano.

Un altro, appena arrivato dallo Romania, ha fatto un lungo discorso in un italiano molto incerto, che non sono sicuro di avere capito per intero. Il senso è che in Romania, sotto Ceausescu, lavorare ed avere una residenza stabile era obbligatorio. C’erano i paesi degli zingari – uno si chiama Tzigania – e chi non lavorava andava in galera. Di Tzigania ho visto le foto. Non ci andrei ad abitare volentieri, ma certo era meglio delle baracche di qui e degli Zigeunerlager.

Poi Ceausescu è caduto, non si andava più in galera ma non c’era più lavoro, e non c’era niente da mangiare. Bisognava partire. Qui non c’è lavoro ma nessuno mette in galera i violenti e quelli che rubano. Morale: lì era obbligatorio lavorare; qui il furto, che certo non è obbligatorio, è fortemente incentivato.

Ma perché non trovano lavoro, magari in nero, come gli altri stranieri?

Perché essere classificati zingari è una disgrazia.

Una cinquantina di zingari kossovari, portati a Fubine, a nord di Alessandria, da un prete operaio di lì, sono stati classificato profughi albanesi – in effetti avevano il passaporto serbo, ma si erano autodefiniti in parte serbi in parte albanesi al censimento jugoslavo, anche se tra loro parlavano romanè – sono stati ospitati, avviati a scuole professionali di oreficeria o di cucito. Hanno avuto e dato problemi, ma non stanno in un campo nomadi, non sono a rischio di sgombero.

Poi ci sono realmente i comportamenti, la cultura.

Le famiglie zingare sono le più numerose della città.

A parte la giovane madre della manifestazione e i 6 figli per donna delle statistiche, 6 volte la media locale, ho sentito uno, in un pubblico dibattito, dichiararsi orgoglioso di essere cittadino di Moncalieri e di avere undici figli.

Certo, il fratello di un mio zio ne aveva 13, ma era un altro secolo e un’altra storia, che includeva passaggi in America.

Questi cercano qui l’America per i loro figli, ma molti giovani, senza strutture adeguate, possono produrre molti guai, se nessuno ha bisogno della loro musica, dei loro mestieri, della loro libertà.

Il problema maggiore è la mancanza di legge. Nei campi irregolari, come nei Ctp, comandano i cattivi. E i più deboli non hanno la protezione della legge. Possono solo andare dal prete, e scappare, se le cose si mettono male.

Un’ultima riflessione sul comportamento degli italiani.

La manifestazione contro il pacchetto sicurezza a Torino c’è stata. Ma è un velo.

Tra i promotori non c’erano le segreterie regionali, anche se gli zingari e gli stranieri nel Piemonte orientale sono più numerosi che a Torino. Avranno avuto dei dubbi.

Le istituzioni hanno seguito la loro maggioranza locale, ma vengono criticati per questo.

Al presidio non era previsto che fossimo moltissimi; ma eravamo veramente quattro gatti.

A sentire i Subsonica, a piazza Vittorio, c’erano varie migliaia di persone, e pioveva anche lì.

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