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Casa, che fine ha fatto l'housing sociale
Il proliferare di società di gestione, con il loro apparato burocratico, del risparmio ha reso costosi i progetti di edilizia sociale a svantaggio dei destinatari finali
Il presente articolo si inserisce nel percorso di ricerca intrapreso da qualche anno, i cui tratti i lettori di sbilanciamoci.info possono rintracciare negli articoli pubblicati sui temi della gestione dei servizi pubblici locali. (1) Un percorso tendente a ricercare e dimostrare che sui servizi essenziali per le persone possano esserci politiche concrete e fattibili, alternative a quelle tradizionali fondate sul ridimensionamento dell’idea di economia che persegue la rendita, nella quale il profitto viene considerato l’unico parametro di successo. In questo caso, il tentativo ha per oggetto le abitazioni, quelle sociali, quelle destinate alla locazione, quelle per le persone i cui redditi non permettono di indebitarsi o perché non sono nati rentier. Il documento completo (che potete leggere in fondo a questo articolo) è composto da questa prima parte che affronta il tema dell’housing sociale in Italia, alla seguirà una seconda parte che si soffermerà sull’analisi del disagio abitativo a Roma con una proposta, tecnicamente fattibile, per contribuire a ridurlo.
La questione casa in Italia
È dagli anni 50 che il “problema casa”, in particolare nelle grandi città, ad intervalli più o meno regolari, si ripresenta. In Italia, sono sempre state adottate soluzioni emergenziali e mai strutturali per la “questione abitativa”. Dal Piano Fanfani all’INACASA, dai fondi Gescal agli IACP (trasformati poi in ATER-ALER, ecc. “affinché nulla cambiasse”), dalle imprese di costruzioni mascherate da Cooperative per i “fondo perduto” regionali per l’edilizia convenzionata, fino al social housing, al “Piano Nazionale di Edilizia Abitativa (PNEA)” di Berlusconi e al Fondo Investimenti Abitare (FIA) di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) dove “il mattone si trasforma in prodotto finanziario”.
Sulla casa si vincono le elezioni, promettendo l’eliminazione delle imposte; sulla casa sono state costruite le grandi fortune speculative e sono stati perpetrati i “sacchi delle città”; i “piani casa”, da tempo immemore, sono stati visti come volano per la ripresa e la crescita economica; le case di proprietà pubblica sono state oggetto di baratto e clientele a tutti i livelli (da quelle dei vip a quelle popolari); e infine sul loro finanziamento le banche hanno costruito la più grande truffa di livello planetario di tutti i tempi (i mutui subprime).
Eppure, si tratta di uno dei diritti fondamentali dell’uomo riconosciuto dall’Onu e presente anche nel trattato di istituzione dell’Unione Europea. Ma, la casa (come del resto il fuoco –servizi energetici- e l’acqua –servizi idrici-) nonostante sia un bene essenziale per l’uomo, un elemento indispensabile per la vita sociale, non è stata esentata dalla “ferrea” legge del mercato, ed è sempre stata oggetto di speculazione (abitazioni popolari incluse).
La casa è stata, ed è, per le generazioni (almeno quelle italiane), fonte di “compromissione” della propria capacità di futuro e di “ipoteca” sulla propria vita a causa di onerosi indebitamenti o impossibili canoni di locazione da sostenere per poterla abitare. La difficoltà di accesso all’abitare, per molte persone, è spesso causa di difficoltà di integrazione sociale e perdita di dignità e rispetto.
Ma ancora oggi, non se ne viene a capo. Perché la casa è considerata un bene sul quale applicare la regola “della massimizzazione del profitti”, del “minimo sforzo per ottenere il massimo risultato”: i proprietari delle aree e dei terreni (per la rendita fondiaria); i promotori immobiliari e gli investitori finanziari (per gli alti rendimenti finanziari ottenibili, anche quando non ci sono alti rischi); i finanziatori (per i quali vige la medesima regola dei promotori-investitori).
In questo gioco, il soggetto pubblico spesso non ha utilizzato la leva urbanistica per fini collettivi, ma di parte (spesso quella più forte), e ha legalizzato con condoni e sanatorie comportamenti illegali (nell’edilizia privata). Ma anche i cittadini, quelli (pochi) che hanno goduto di garanzie e privilegi, a volte hanno approfittato (per mancanza di controlli pubblici e clientelismo) pagando canoni di locazione minimi (o per niente) falsificando le proprie carte (nell’edilizia pubblica).
Ormai, è dalla fine dell’accantonamento dei fondi ex Gescal della fine degli anni ‘80 che non vengono stanziate risorse dedicate alla costruzione di nuovi alloggi ERP (Edilizia Residenziale Pubblica con finanziamento pubblico al 100%).
Ciò ha comportato, insieme ad altre e numerose cause, l’allargamento della forbice tra i pochi che hanno goduto e godono di abitazioni pubbliche (o di enti previdenziali sopravvissute alle dismissioni “avventate” di fine anni ’90-inizio 2000) a canoni fin troppo generosi e ipergarantisti (le stime li indicano pari a un 7-10% del reddito) e coloro che per acquistare un’abitazione hanno acceso mutui venticinquennali che assorbono oltre il 35% del loro reddito (al livello ante-crisi) che sono in buona compagnia con coloro che per prendere in locazione una casa arrivano a pagare canoni di locazioni vicini al 50% dei propri redditi.
La recente storia dell’Housing Sociale in Italia
Si è iniziato a parlare di housing sociale a metà degli anni 2000 per affrontare l’esigenza atavica di consentire l’abitazione di una casa a chi non ha redditi sufficienti, in un contesto di scarsità delle risorse finanziarie pubbliche, di una domanda nuova e mutevole sommata a quella tradizionale delle famiglie (mobilità giovanile e lavorativa, immigrazione, separazioni, divorzi e nuove formazioni famigliari ristrette o allargate).
La fondazione Cariplo, parte per prima nel 2003 e costituisce la Fondazione Housing Sociale come promotore culturale e advisor degli Enti Locali per nuove modalità di realizzazione di abitazioni sociali. L’innovazione della Fondazione Housing Sociale, mutuata dalle esperienze anglosassoni, prevedeva la messa sul mercato di abitazioni a canone moderato finanziate da investimenti pubblico-privati e prevedeva altresì nuove modalità di gestione di tipo socio-immobiliare dato il fallimento, almeno in larga parte d’Italia, dell’esperienza di gestione degli ex IACP.
Successivamente, in piena era berlusconiana, la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), costituisce “CDP Investimenti SGR Spa”, società di gestione del risparmio che promuove e gestisce il “Fondo Investimenti per l’Abitare” (FIA).
Il FIA è un fondo immobiliare (2 miliardi di euro) con finalità di incremento sul territorio italiano dell’offerta di alloggi sociali a supporto ed integrazione delle politiche di settore dello Stato e degli Enti Locali con una partecipazione massima al capitale sociale (equity) dell’80% (originariamente era il 40%).
Ma, in realtà, la CDP e le normative emanate dal Governo Berlusconi, non hanno avuto l’effetto sperato perché la loro premessa era esclusivamente di tipo finanziario. Non sono stati fissati i canoni di locazione da applicare (generici canoni calmierati), ma soprattutto non sono stati regolamentati i valori di apporto delle aree edificabili e in particolare la remunerazione massima dei soggetti privati apportanti le aree o partecipanti agli investimenti. Infatti, nei diversi progetti di housing sociale presentati, le quote dei privati prevedevano remunerazioni maggiori di quelle riservate a CDP e agli Enti Locali.
Quindi per consentire il raggiungimento degli rendimenti finanziari attesi dai soggetti privati (speculativi), incluse le fondazioni bancarie, è stato necessario introdurre nei progetti quote sempre maggiori di abitazioni da destinare alla vendita anziché alla locazione. E con lo scoppio della crisi, la caduta dei prezzi, della domanda di acquisto di abitazioni e la difficoltà di accesso ai mutui, alla CDP è stato richiesto di incrementare la sua quota di partecipazione e di rischio. In tal modo l’housing sociale ha perso il suo valore sociale e contraddetto la sua missione istituzionale, senza considerare che la presenza delle società di gestione del risparmio (SGR) con tutto il loro “mega-apparato” di consulenze (advisoring tecniche, legali, di mercato, finanziarie, ecc.) ha reso costosi i progetti di edilizia sociale a svantaggio dei destinatari finali.
Versione integrale dell'articolo:
1old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Le-alternative-di-gestione-dei-servizi-pubblici-locali-16681 e old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Se-la-finanza-entra-nei-servizi-pubblici-locali-16416
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