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Quanto costa un salario di cittadinanza?
I costi di un nuovo sistema di welfare dipendono dalla scelta tra un sistema di salario di cittadinanza per tutti e un reddito minimo garantito ai disoccupati. Il primo costa fino a 150 mld di euro, mentre il secondo tra i 36 e i 72 miliardi di euro. Ma si risparmierebbe sulle altre forme di sussidi che oggi sono erogati
Con il prolungarsi della crisi il mondo politico sta inserendo nell’agenda l’introduzione di misure di sostegno al reddito più ampie per rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro. Il sistema attuale di welfare, concepito in un’epoca in cui il lavoro dipendente era l’unica forma prevista e il sistema pensionistico era strutturato sul modello retributivo e di anzianità, oggi non risponde più alle problematiche attuali. La diffusione dei lavori atipici, le riforme sulle garanzie sul mercato del lavoro e l’eliminazione delle pensioni retributive e di anzianità rendono gli strumenti di welfare tradizionali inutilizzabili e di scarsa portata.
Il mercato del lavoro risente di uno squilibrio a favore della domanda che, nelle previsioni sia dell’Ocse e sia del governo stesso, continuerà anche negli anni a seguire la crisi. La momentanea riduzione del tasso di disoccupazione dei primi anni del duemila è stata controbilanciata dagli effetti della recessione che hanno rapidamente riportato il tasso di disoccupazione sopra il 10%, livello confermato anche nel futuro.
Le politiche sul lavoro degli ultimi decenni hanno preferito incrementare il livello di flessibilità in entrata e uscita senza trovare altre soluzioni per ridurre tale squilibrio, conducendo alla precarizzazione “normale” del lavoro, a una riduzione dei salari netti reali a circa tre milioni di disoccupati e alla contrazione della “rendita del lavoro” intesa come somma di benefici economici, previdenziali e sicurezza reddituale.
Il salario di cittadinanza e il reddito minimo garantito sono strumenti concepiti per essere coerenti con il mercato del lavoro attuale e per contrastare la pauperizzazione crescente nella società.
Il salario di cittadinanza consiste nel garantire un reddito incondizionato e universale per tutti i cittadini che disporrebbero di una rendita di ammontare limitato, 500 o 1000 euro mensili, frutto della condivisione di un dividendo sociale, dovuto alla restituzione dei fattori sociali internalizzati nella produttività delle imprese, come illustrato dall’articolo su sbilanciamoci.info di Claudio Gnesutta (old.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Garantire-il-reddito-o-il-lavoro-Una-ricomposizione-possibile-18166). Il salario di cittadinanza supera il welfare attuale modificando in maniera significativa anche la forma statuale e i modi di produzione. Il salario di cittadinanza viene erogato a spese della collettività, in caso di mancanza di altri redditi o a spese del datore di lavoro come componente del salario non tassabile.
Il reddito minimo garantito è finalizzato a ridurre la povertà nei periodi di disoccupazione degli individui e ricade interamente nel sistema di welfare. Il reddito minimo viene erogato a chiunque sia in uno stato di disoccupazione, con l’universalità limitata ai componenti delle forze lavoro, ovvero, diversamente dal salario di cittadinanza ne vengono esclusi gli studenti, le casalinghe e gli anziani. I suoi benefici possono essere limitati nel tempo, subordinati alla ricerca e accettazione di un lavoro.
Il reddito minimo garantito possiede una portata minore poiché non richiede modifiche specifiche ai modi di produzione e al sistema fiscale perché sarebbe temporaneo e tassato come gli altri redditi da lavoro.
Gli effetti redistributivi, il costo, l’identificazione della parte di collettività che lo sostiene, i servizi pubblici cui si rinuncia, le politiche accessorie che debbono essere introdotte e gli effetti sul sistema fiscale sono i quesiti da porre a chi deve trovare una risposta per valutare gli effetti e la sostenibilità dell’introduzione del salario di cittadinanza o del reddito minimo garantito nel sistema attuale.
Il salario di cittadinanza garantisce una forte redistribuzione della ricchezza: nella previsione di 500 euro mensili e in quella di 1000 euro mensili rispettivamente oltre il 20% e oltre il 40% del Pil sono distribuite in maniera egualitaria fra i cittadini. Il reddito minimo garantito possiede una portata redistributiva minore seppure significativa, inferiore tanto più è subordinato alla ricerca di un lavoro, limitato nel tempo e meno universale nell'accesso.
I costi del salario di cittadinanza sono elevati, sia per la diminuzione delle entrate fiscali sia per l’ampiezza della popolazione che ne beneficerebbe come contributo pubblico.
Prendendo a riferimento i dati delle dichiarazioni fiscali dei redditi 2011, si stima che la platea potenziale dei beneficiari del salario di cittadinanza a carico dello stato sarebbero, nell’ipotesi di 500 euro mensili, circa 25-27 milioni di persone (20 milioni che non hanno redditi, 2,2 milioni con redditi fra 0 e 1000 euro l’anno e la metà degli individui con un reddito fra 1000 e seimila euro l’anno) per un costo lordo di circa 150 miliardi di euro oltre a circa 600 milioni di minori introiti fiscali. A questo ammontare andrebbero sottratti i minori oneri per il sussidio di disoccupazione (circa 13 miliardi) e alcune agevolazioni previste dal sistema di welfare (borse di studio, tariffe sociali per le utilities e per mezzi trasporto e parte della cassa integrazione guadagni) con un costo netto di 120-130 miliardi. Nel caso di un salario di cittadinanza di 1000 euro il costo complessivo sarebbe più che raddoppiato per il crollo delle entrate fiscali (oltre 3,5 miliardi).
Invece il reddito minimo garantito si rivolgerebbe a una popolazione di circa 6 milioni (3 milioni di disoccupati e 3 milioni di inattivi in cerca di lavoro) e costerebbe tra i 36, nell’ipotesi di 500 euro e i 72 miliardi lordi, nell’ipotesi di 1000 euro mensili.
A tale ammontare andrebbero sottratti i 13 miliardi di sussidi di disoccupazione oltre all’eliminazione di altri costi in tema di sostegno al reddito come le borse di studio e le tariffe agevolate per accedere ai servizi pubblici.
L’introduzione del salario di cittadinanza o del reddito minimo, dovrebbe prevedere una partecipazione maggiore delle imprese e del lavoro autonomo per evitare un ulteriore aggravio fiscale per dipendenti e pensionati. Ad oggi le entrate fiscali dirette si basano sul contributo di dipendenti e pensionati (120 miliardi su 159 totali), mentre il lavoro autonomo e imprenditoriale mostrano una minore partecipazione anche per effetto di evasione e erosione fiscale.
Il salario di cittadinanza, per natura non tassabile, richiede una revisione profonda del sistema fiscale con maggiore attenzione all’evasione, data anche la diffusione dei redditi autonomi nelle classi reddituali più basse, e la riforma delle deduzioni, detrazioni e aliquote fiscali.
L’introduzione sia del reddito di cittadinanza, sia del salario minimo garantito cambia la struttura dello stato sociale, con la scomparsa o ridimensionamento di alcuni servizi pubblici. Nello stabilire l’introduzione di queste misure vanno valutati i servizi a cui si rinuncia e gli effetti per le classi meno abbienti della società. La cassa integrazione è il caso più controverso dei servizi pubblici da rivedere partendo dalla considerazione che il salario di cittadinanza non cambia necessariamente la struttura della cassa integrazione mentre il reddito minimo garantito possiede effetti più complessi. Infatti la cassa integrazione potrebbe essere interamente abolita, al costo di una dissoluzione rapida del rapporto di lavoro, oppure mantenuta escludendo i cassintegrati dal reddito minino garantito.
Una soluzione alternativa consiste nell’erogazione del reddito minimo al termine della cassa integrazione con problemi sulla prospettiva temporale di erogazione poiché si sommerebbero gli anni di cassa integrazione con quelli del reddito minimo e sugli effetti sullo stato di disoccupazione.
Il quadro giuridico di accesso alle misure di sostegno al reddito implica una revisione del regime di responsabilità e di sanzioni in merito a comportamenti strategici da parte dei cittadini. Nel caso del salario di cittadinanza ci si concentra sul contrasto dei falsi poveri, mentre nel caso del reddito minimo si dovrebbero prevedere misure contro fenomeni quali licenziamenti fasulli fra parenti e affini titolari d’impresa, lavoro nero e residenze di comodo.
La subordinazione per beneficiare del reddito minimo all’accettazione di lavori non in linea con il titolo di studio e con le aspirazioni dei disoccupati per essere effettiva deve trovare un contraltare normativo esaustivo e dettagliato, magari con l’istituzione di una giurisdizione speciale, al fine di evitare la crescita di contenziosi amministrativi.
Il dibattito su reddito minimo e salario di cittadinanza dovrebbe trovare le soluzioni anche per alcuni problemi quali gli immigrati che nel quadro giuridico corrente se extracomunitari e disoccupati sono esclusi da tali strumenti, il periodo minimo di residenza per accedere ai benefici di entrambe le misure per i cittadini comunitari e, per il salario di cittadinanza, le modalità di erogazione per chi possiede redditi autonomi.
La compatibilità con le norme comunitarie, non solo per la stabilità del debito pubblico, ma anche per quanto riguarda gli aiuti alle imprese e le politiche attive per l’occupazione, l’impatto sui modi di produzione e leggi sulla tutela del lavoro restano nodi da affrontare con attenzione per evitare che, in particolare il reddito minimo, non diventi un ulteriore strumento per smantellare altri servizi pubblici.
Il dibattito dovrebbe anche concentrarsi sulle misure non monetarie da adottare nei confronti dei beneficiari come un contributo lavorativo minimo per utilità pubblica o corsi di formazione da richiedere ai beneficiari del reddito minimo come anche un maggior utilizzo della moneta elettronica per contrastare l’evasione fiscale.
L’ultimo punto su cui servono soluzioni alternative consiste nelle politiche sul mercato del lavoro sempre più caratterizzato da una domanda minore dell’offerta per effetto della tecnologia e delle delocalizzazioni. Salari di cittadinanza e redditi minimi riducono l’offerta di lavoro ma potrebbero essere affiancate da misure più incisive nei confronti della domanda quali la tassazione degli straordinari e la riduzione dell’orario con la finalità di riequilibrare un mercato da troppo tempo basato su un’offerta sproporzionata rispetto alla domanda di lavoro.
Lasciando il dibattito aperto su quale provvedimento introdurre nell’ordinamento non si può sfuggire da un’analisi complessiva non solo del welfare ma anche del complesso del sistema del lavoro e del ruolo dello stato nella distribuzione della ricchezza.
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