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Paradisi e inferni, le tasse in libreria
L'extra-risparmio degli italiani è esattamente uguale al di più di evasione fiscale: coincidenza? Suggestioni e proposte in due libri: Convenevole e Lupi
Poco meno di venti anni fa Giulio Tremonti e Giuseppe Vitaletti, già autori di Le cento tasse degli italiani, scrissero La fiera delle tasse (il Mulino, Bologna 1991), in cui esposero, alla maniera un po’ provocatoria a tutti nota, almeno per il primo dei due autori, le loro idee di fondo sugli stati, sui mercati, sull’economia, sul potere politico e, soprattutto, sui sistemi fiscali. Alcune di queste idee circolavano già, hanno avuto ampia diffusione nelle scienze sociali ed hanno una loro, sgradevole, forza. Inoltre, Giulio Tremonti è stato Ministro delle finanze e del tesoro più a lungo di qualsiasi altro in Italia nel ventennio successivo, e lo è tuttora. Alcuni passi del libro sembrano il monologo di Gloucester all’inizio del Riccardo III, hanno un tono programmatico. Roberto Convenevole e Raffaello Lupi, in due libri di recente pubblicazione (1), si muovono, in fondo, anche se, qualche volta, in implicita differenziazione o contrapposizione, all’interno di quelle idee. Di lì bisogna partire.
Secondo Tremonti e Vitaletti, nel mondo attuale, in cui la produzione è globalizzata e finanziarizzata, non è lo stato che contiene il mercato, ma il mercato che contiene gli stati. La Lex mercatoria, l’accordo e l’arbitrato tra soggetti economici sopranazionali, ha sostituito le leggi. E’ finito il mondo di Smith e Ricardo; siamo tornati ad una società di ceti. I lavoratori dipendenti pagano le tasse perché la loro prestazione è vincolata a un luogo e perché le aziende che li impiegano, nella misura in cui non sono interamente finanziarizzate, sono troppo grandi per non avere una contabilità analitica veritiera e fungono da esattori. I soggetti economici importanti sono in grado di scegliere, di comprare, le tasse che preferiscono e di pagarle dove preferiscono, come qualunque altra merce. “Le imposte moderne, soprattutto quelle personali e sul valore aggiunto, sono da tempo in crisi …soprattutto nell’area latina la loro riduzione sostanziale è già avvenuta, anche se in termini più pratici che politici: non in termini di diritto, con le riforme, ma in termini di fatto con l’evasione(p. 40).” “ Se gli europei votano dove non pagano le tasse e ne pagano (poche) dove non votano si pone in discussione … il no taxation without representation. (p. 61).” “Se il potere esecutivo non è più potere esecutivo ma è potere discrezionale e propositivo non si vede perché il conferimento del mandato e la revoca della fiducia non debbano essere effettuate direttamente. Torna così a profilarsi una figura simile a quella del re…Il ‘re elettivo’ può barare, nascondendo gli effetti indiretti delle sue azioni o scaricandole sui suoi successori (p. 237).” Ci sembra di riconoscere qualcosa che venti anni fa non era a tutti noi così chiara.
Cosa aggiunge Raffaello Lupi al quadro appena tracciato; in cosa se ne discosta?
La differenza maggiore, espressa ampiamente in Le illusioni fiscali (il Mulino, Bologna 1996), è che i sistemi fiscali sono inevitabili e non si improvvisano. Le tasse sono sempre quelle, anche in paesi molto diversi: tasse sui redditi, sui consumi, sui patrimoni. Mentre Tremonti propone di rompere coi “reazionari di sinistra” e fare tabula rasa, Lupi sostiene la politica dei piccoli passi. Non si improvvisano sistemi fiscali radicalmente nuovi. Ma bisogna controllare credibilmente. Non c’è fiscalità senza un adeguato sistema di controllo, sostiene. Il controllo attuale non è adeguato; non solo non può controllare tutti, cosa impossibile sempre; non riesce neppure a controllare a campione in maniera credibile. Non c’è riforma fiscale senza mutamenti importanti nella pubblica amministrazione, nell’Agenzia delle entrate e nella Guardia di finanza, magari semplificando e unificando i due corpi. Se il mondo si è complicato, dovremmo riuscire a semplificare e rendere più certe le rilevazioni: e questo vuol dire – qui c’è convergenza con Tremonti – tornare alla tassazione sulle cose, quindi alle imposte sui consumi, attraverso la catena del valore aggiunto.
A me, da uomo della strada, sembra che, per dimostrare la sostanziale unicità dei sistemi fiscali nel mondo, Lupi butti via le differenze, tra stati e nel tempo. Se la Svezia ha l’imposizione totale – imposte + contributi – al 49,9% e il Giappone al 29,1%, qualche ragionamento politico si potrà fare. Come si può ragionare sulle differenze tra tipi di imposte: le socialdemocrazie tassano di più i redditi; gli stati liberisti i patrimoni. Gli stati ben funzionanti – Francia, Olanda, Svezia – hanno i contributi sociali più alti; tutti li accettano perché vedono cosa si ha in cambio. E si potrebbe ragionare sulle differenze di evasione, di abbassamento delle tasse di fatto, anche per proporre i mutamenti adeguati nella pubblica amministrazione e per scoprire, forse, le correlazioni con le differenze di spirito civico, che pure esiste dove esiste, e con le dimensioni aziendali, perché la frammentazione, la riduzione delle aziende a conglomerati, è avvenuta in qualche luogo più e meno altrove, in qualche settore più e meno in altri. L’edilizia ha qualche, rara, azienda media e una miriade di microaziende perché ai politici che decidono le grandi opere, ai loro alleati che controllano i nuclei finanziari, ai general contractors, conviene subappaltare a una catena infinita di soggetti con partita Iva, fino ai muratori singoli, che fiscalmente sono imprenditori ma in effetti sono cottimisti. In edilizia nessuno paga il lavoro; tutti comprano prodotti. Nella stampa e nell’informazione la presenza dei politici è pervasiva e il rapporto tra informazione e pubblicità si è rovesciato; cioè l’informazione, meglio lo spettacolo, è un tenue pretesto per trasmettere pubblicità. Abbiamo fatto re, per citare Tremonti, un costruttore edile diventato monopolista della pubblicità. Chiamare tutto questo mercato, parlare del moltiplicarsi delle partite Iva come di un fatto e non di un prodotto, anche del sistema fiscale e della distorsione dei controlli, rischia di cancellare il rapporto tra le cause e gli effetti. Una volta un mio amico direttore di filiale di una banca importante in una piccola città mi ha detto: “Sai spiegarmi perché io che gli presto i soldi non sono nessuno e il comandante della Guardia di finanza è una potenza?”
Cosa aggiunge Roberto Convenevole al libro di Lupi?
Molto puntiglio, come quando era giovane, buoni calcoli e qualche idea. Una idea interessante è che il risparmio percentuale in più degli italiani rispetto ad altri europei è esattamente uguale alla evasione fiscale in più. In Italia lo stato si fa prestare dai cittadini, forse gli stessi cittadini, i soldi che non riesce a incassare come imposte. E del resto le banche chiedono i Bot in garanzia per prestare i soldi alle piccole aziende, che quindi, chiedendo il prestito anziché usare fondi propri, in sostanza eludono le tasse attraverso la riduzione dei profitti per gli interessi passivi.
Un’altra idea interessante è che la possibilità di compensare i debiti IVA – l’IVA incassata dal cliente in quanto esattori, da versare allo stato – con crediti Irpef, dove è più facile barare, porta a una evasione aggiuntiva, che va sommata alla stima corrente. Confesso che la possibilità della compensazione mi era sembrata una norma civile. Anche la Cassa integrazione viene pagata, quando viene pagata, perché l’azienda paga direttamente e poi si rivale sull’Inps; cosa che porta all’assurdo che i dipendenti delle aziende floride hanno i soldi e quelli delle aziende quasi fallite hanno l’ombra della Cassa, oltre ad avere l’ombra del lavoro, che è il titolo di un libro di trenta anni fa.
I conti, puntigliosi, che sono il contributo più originale di Convenevole nel suo documento di lavoro che è anche una proposta interna, fondano meglio il calcolo della madre di tutte le evasioni, quella dell’Iva e una proposta di mutamento del controllo, con il distacco di funzionari competenti per periodi lunghi presso le aziende, in funzione di collaborazione oltre che di polizia – fiscale, per l’esattezza.
Confesso che trovo del tutto condivisibile l’idea, che è anche di Lupi, che la via non sia quella dell’inasprimento ma quella della semplificazione, della collaborazione. Nel piccolissimo delle cose di cui mi occupo mi è capitato di chiedere, in un seminario pubblico, a una fondazione bancaria importante, di studiare un modo di distaccare funzionari propri per fare la contabilità alle infinite associazioni che non sono in grado di farla bene e che spendono in pessimi contabili e commercialisti i soldi delle fondazioni, dato che in genere si trovano sì persone brave che sono pronte ad aiutare il prossimo gratis o quasi, ma difficilmente persone brave che sono pronte a tenere la contabilità gratis o quasi. Non mi convince invece il considerare normale l’evasione di sopravvivenza, che ovviamente qualcuno penalizza. Si può decidere, bisognerebbe decidere, che molte microattività non sono attività economiche in senso proprio e lasciarle a una sorta di baratto di comunità. Ma il non pagare perché se paghi fallisci vuol dire solo spingere quello appena meglio messo a non pagare neppure lui.
Confesso però che la cosa che non mi convince è che controllare l’Iva a partire dal consumatore finale sia più facile che controllare i redditi e il patrimonio. I grandi scambi, che producono grandi evasioni, sono extraterritoriali. Se la ricchezza in quanto beni o servizi, materiali e immateriali, viene per forza prodotta in un luogo, la ricchezza in quanto disponibilità finanziaria, o credito, non ha luogo. Persino il credito degli stati può essere fondato su una cosa materialissima ma senza un luogo come la forza militare, che oggi può essere esportata dovunque e fa da garanzia del debitore di ultima istanza. La rinuncia alla tassazione delle persone per tornare a quella delle cose, rinunciando anche in linea di principio alla progressività, alla funzione redistributiva e sociale, alla condivisone, non porta, temo, a una maggiore sicurezza. O, come dicono anche gli autori, ci porta se c’è una drastica riforma dell’agenzia delle entrate. Ma la drastica riforma dell’agenzia delle entrate non cambierebbe il sistema produttivo e sociale, rendendo anche possibile accertare redditi e patrimoni? Aggiungerei che, agenzia delle entrate a parte, se gli stati o le federazioni di stati sono grandi abbastanza da avere un mercato interno importante e forti abbastanza da non farsi fregare senza neppure sforzarsi, con la complicità di pseudostati tenuti in piedi allo scopo giusto fuori dell’uscio di casa, viene meno la premessa del ragionamento di Tremonti di venti anni fa ed anche, almeno in parte, le conseguenze di arbitrio fiscale e di instabilità generale.
A queste cose alcuni nostri compatrioti cominciarono a pensare già dai tempi di Ventotene. Sembrava che ce l’avessero fatta; ma forse non era vero.
1) Raffaello Lupi, Evasione fiscale: paradiso e inferno, IPSOA, Roma 2009.
Roberto Convenevole, La materia oscura dell’IVA. L’imposta che rappresenta un successo mondiale è l’epicentro della crisi fiscale italiana, Roma, Cromografica Roma S.r.l., 2009, s.i.p. ( http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=375444 .)
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