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L’evasione come ammortizzatore sociale occulto

12/04/2009

L’incremento dell’evasione nel 2008 sembra verificarsi come risposta razionale degli operatori economici di fronte alle difficoltà del ciclo economico. Al di là del dibattito politico di più corto respiro, occorre chiedersi se sia davvero utile accettare che l’evasione funzioni come ammortizzatore sociale occulto. Generando iniquità e inefficienza

L’Italia continua ad essere afflitta da un singolare paradosso: pur essendo uno dei paesi caratterizzati dai più elevati tassi di evasione, mancano stime pubblicamente disponibili e regolarmente aggiornate sull’andamento dell’evasione fiscale. Le stime sull’economia sommersa, che l’Istat fornisce con cadenza biennale (a giugno 2008 è stata fornita la serie relativa al periodo 2000-2006), costituiscono un punto di riferimento sicuramente molto importante ma naturalmente non esauriente. Esse, infatti, si riferiscono al valore aggiunto sommerso, un concetto che non corrisponde né al reddito in senso economico (che ad esempio comprende poste di natura patrimoniale a cui non corrisponde alcun valore aggiunto) né al reddito in senso fiscale. Le stime riguardanti la vera e propria evasione fiscale, ad esempio quelle meritoriamente rese pubbliche dall’Ufficio Studi dell’Agenzia delle Entrate sul suo sito internet (www.agenziaentrate.it/ufficiostudi) sono tuttora parziali ed aggiornate al 2004. In questo contesto non stupisce che sull’andamento dell’evasione fiscale nel nostro Paese continui a fiorire una polemica che è in buona parte alimentata dalla scarsa conoscenza dei fenomeni di riferimento.

Nei limiti posti da questi caveats, alcuni dati recentemente resi noti sul gettito tributario e sull’economia italiana nel 2008 suggeriscono che la propensione all’evasione è in tendenziale aumento nel nostro Paese.
I dati relativi alle entrate tributarie nel corso del 2008 (www.finanze.it/export/finanze/studi_statistiche/entrate_tributarie/index.htm) ci dicono diverse cose. L’IRE è complessivamente cresciuta nel 2008 del 6,7%, ma questa crescita è scomponibile nell’incremento dell’8,1% delle ritenute sui lavoratori dipendenti e nell’aumento del 2,8% delle ritenute sui lavoratori autonomi, del saldo e dell’acconto (queste due ultime voci sono riferibili per oltre il 90% al lavoro autonomo). A fronte di una crescita del PIL nominale dell’1,7% possiamo ritenere che in linea di massima il gettito dell’IRE abbia tenuto nel 2008. Per le altri grandi imposte dirette il discorso è diverso. L’Irap, l’imposta sul valore aggiunto delle attività economiche organizzate, è calata del 6,9% (e l’Irap privata del 9,6%) mentre l’Ires, l’imposta sui profitti delle società di capitali, si è ridotta del 6%. Tuttavia, è plausibile che su queste imposte abbiano pesato fenomeni specifici, come ad esempio il calo di gettito dovuto alla riduzione del cuneo, per l’Irap, e la riduzione dei profitti del comparto bancario-assicurativo per l’Ires.
Ma è il gettito delle imposte indirette, ed in particolare dell’Iva, a destare più di una preoccupazione sul fronte dell’evasione. Le imposte indirette, complessivamente intese, si riducono del 2,1% nel 2008. Il calo dell’Iva, in particolare, è dell’1,6% e la riduzione dell’Iva sugli scambi interni (l’altra base imponibile dell’Iva sono le importazioni) raggiunge il 2,7%. Questo dato è particolarmente significativo perché l’Iva, un’imposta generalmente dotata di una certa stabilità e di un’ampia base imponibile, non è stata interessata da cambiamenti di rilievo relativi alla definizione della base imponibile e alle aliquote. Ne segue che essa avrebbe dovuto seguire l’andamento delle poste macroeconomiche di riferimento come ad esempio le risorse interne, pari alla somma del PIL e del saldo netto delle importazioni (importazioni meno esportazioni). In effetti, questo non è avvenuto, perché mentre le risorse interne sono cresciute dal 2007 al 2008 di circa il 2,1% secondo i dati Istat (www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/contitri/20090312_00/) il gettito dell’Iva, come detto, si è ridotto dell’1,6%. Detto altrimenti nel 2008 è calato, rispetto al biennio 2006-2007, il rapporto tra il gettito dell’Iva, anche detto Iva lorda, e le risorse interne, cui, pure, il gettito dovrebbe commisurarsi (cfr. Tabella 1).

Tabella 1: confronto tra gettito dell’Iva lorda e andamento del PIL e delle importazioni nette (fonti: Dipartimento delle finanze e Istat, dati in mln di euro).

Anno 2006 2007 2008
Iva lorda 115.477 120.703 118.812
PIL 1.486.699 1.544.777 1.572.051
M 425.456 451.226 460.707
X 413.531 447.528 452.474
RI=PILX 1.498.624 1.548.475 1.580.284
Iva lorda/BIT 7,71% 7,79% 7,52%
differenza rispetto anno precedente   0,08% -0,28%

La riduzione dello 0,3% del rapporto Iva lorda/RI può apparire piccola, ma va considerato che, se rapportata all’entità delle risorse interne, essa corrisponderebbe a più di 4 miliardi di euro in un solo anno.
Non è semplice spiegare perché, a fronte di una normativa costante e di aliquote invariate, si sia verificato un simile fenomeno se non pensando che vi sia stato un incremento della propensione all’evasione. E’ vero che la letteratura assume come indicatore corretto dell’evasione non tanto l’Iva lorda quanto l’Iva netta che si ottiene sottraendo all’Iva lorda le compensazioni, i rimborsi e l’aumento dello stock dei crediti. Se rendesse disponibili questi dati, il Governo potrebbe consentire di fare luce pienamente su quanto sta accadendo. Tuttavia, va sottolineato il fatto che il Bollettino delle Entrate tributarie aggiornato a dicembre 2008 ci informa che, in realtà, se si tiene conto delle compensazioni il calo dell’Iva tra il 2008 e il 2007 è perfino superiore a quello osservato (tenendo conto della sola Iva sugli scambi interni, arriva al 4,9% contro il 2,7%).

L’evasione come ammortizzatore sociale occulto

L’evidenza indiretta circa un aumento di evasione, in particolare dell’Iva, che sembra emergere dai dati disponibili è coerente con quanto osservato nel periodo 1980-2002. Da un accurato studio econometrico riferito a quel periodo svolto da Bruno Chiarini ed Elisabetta Marzano (http://www1.agenziaentrate.it/ufficiostudi/pdf/contributidiscussione/Evasione_fiscale_e_sommerso_economico_in_Italia.pdf), infatti, emerge che l’evasione ha un andamento anticiclico, cioè tende ad aumentare negli anni di recessione e a ridursi negli anni di espansione economica. In altri termini, è più che plausibile che l’evasione (e il lavoro nero) siano utilizzati, nelle fasi di crisi economica come quella che stiamo vivendo, come ammortizzatori sociali occulti. I piccoli commercianti e imprenditori e le imprese su base familiare che hanno una posizione di marginalità sul mercato, e la cui situazione reddituale diviene ancora più precaria nei momenti di crisi, difendono i loro esigui margini di guadagno e la loro residua competitività attraverso l’evasione. Si può parlare di ammortizzatore sociale perché si tratta di soggetti effettivamente deboli che, sebbene formalmente titolari di un’attività economica spesso avente la forma di società di capitale, non hanno accesso a tutele alternative e a forme di sostegno e di integrazione generalizzata del reddito.
Sebbene sull’evasione come ammortizzatore sociale si sia costruito un certo equilibrio (e i dati relativi all’intensità dell’evasione in certe regioni del Sud sono piuttosto eloquenti in merito), sarebbe sbagliato pensare che questo sia un equilibrio positivo e sostenibile nel lungo periodo. L’evasione, infatti, è un ammortizzatore sociale iniquo e inefficiente. Iniquo, perché vi hanno accesso, per definizione, coloro che violano la legge e i legami di responsabilità sociale. Inefficiente perché distorce la concorrenza, permettendo ad attività economiche inefficienti di continuare a stare sul mercato a danno di altre. Al contrario, vi sarebbe bisogno di politiche di sostegno al reddito che fossero eque, universali e trasparenti. Si torna, quindi, anche per questa via, al tema della trasparenza come elemento fondamentale che abbiamo sottolineato all’inizio.
E a simili conclusioni si arriva anche esaminando un’altra questione: la revisione degli studi di settore. Con il decreto anticrisi (dl 185/2008) il Governo ha previsto la possibilità di una revisione degli studi di settore per tenere conto della crisi. Il ragionamento è, in linea teorica, ineccepibile: siccome negli studi di settore attualmente in vigore i coefficienti dell’analisi di congruità e le soglie dell’analisi della normalità economica sono calcolate su sottoinsiemi di contribuenti e con riferimento al 2006 o ad anni precedenti, è ovvio che in periodo di crisi questi coefficienti e queste soglie abbiano una rappresentatività minore. Tuttavia, da quanto si apprende dalla stampa, la procedura di “revisione” degli studi, lungi dal seguire un approccio metodologico comune e trasparente, avverrà studio per studio sulla base delle informazioni ottenute dagli organi preposti, anche quelle ricevute dalle stesse associazioni di categoria che contribuiscono a costruire gli studi. L’opacità degli studi di settore, e l’assenza di un riscontro esterno sulle procedure seguite, depotenzia e rende meno credibili gli studi di settore e le loro revisioni.

I dati sugli accertamenti e sulle riscossioni

Qualche giorno fa l’Agenzia delle Entrate ha diffuso i dati relativi all’attività di riscossione e di accertamento nel 2008. I due dati fanno riferimento a fenomeni diversi ma intimamente collegati.
L’attività di accertamento segnala la capacità dell’Agenzia di contestare al contribuente l’avvenuta evasione. Gli accertamenti si riferiscono ad anni precedenti, normalmente 4 o 5 per evitare la prescrizione delle posizioni dei contribuenti, e ad una pluralità di imposte. Su questo fronte si registra una crescita sia del numero degli accertamenti, che passano da 500 mila a a 645 mila, sia della maggiore imposta accertata che cresce da 14,5 a 20,3 miliardi di euro. Va ricordato, tuttavia, che gli importi accertati non sono ancora “soldi veri”, perché l’ammontare dell’evasione deve essere prima definito e poi riscosso, ossia incassato La notizia positiva è che anche l’attività di riscossione dei ruoli da accertamento ha evidenziato anch’essa una crescita di circa il 28% tra il 2008 e il 2007. Poiché la riscossione sui ruoli da evasione può avere ad oggetto solo i maggiori importi contestati, cioè accertati, la crescita sia delle riscossioni sia degli accertamenti è particolarmente positiva, sebbene si tratti di fenomeni che confermano tendenze in atto da qualche anno.
Tuttavia, è evidente che questi dati non tolgono nulla a quanto osservato in precedenza. Il fatto che nel 2008 sia stata riscossa una quota precedente dei ruoli emessi anche molti anni fa, ovvero che siano stati fatti maggiori accertamenti, sempre su periodi di imposta precedenti, non smentisce il dubbio che il calo di gettito dell’Iva segnali un’accresciuta propensione all’evasione. Soprattutto, sarebbe del tutto illusorio pensare che l’incremento degli accertamenti e della riscossione sia, da solo, in grado di ridurre l’evasione. Per capire perché proponiamo un piccolo esercizio, teorico, ma significativo. Si è detto in precedenza che i dati suggeriscono un incremento di evasione della sola Iva pari a circa 4 miliardi di euro. Questa cifra va ovviamente presa con cautela, come meramente indicativa, e non come vera e propria stima, della maggior evasione del 2008. Di quanto sarebbe necessario che crescesse l’attività di accertamento e di riscossione per poter compensare questo aumento di evasione? Consideriamo che, secondo l’ultima relazione della Corte dei conti, vengono riscossi circa il 7,4% degli importi accertati. Se incrementiamo questo tasso del 28%, secondo i dati dell’Agenzia di cui abbiamo riferito, esso raggiunge il 9,4%. Ora, è facile constatare che, data questa percentuale di riscossione, gli accertamenti in un singolo anno dovrebbero crescere di oltre 40 miliardi per coprire l’aumento dell’evasione (9,4% x 42,5 mld=4mld) cioè un aumento pari a poco meno di 8 volte quello effettivamente verificatosi. Quando l’evasione è diffusa e radicata come in Italia, non è possibile compensare un incremento della propensione all’evasione “a monte” aumentando, sia pure di molto, l’efficienza “a valle” delle procedure di accertamento

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