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Copenhagen, la natura non fa bailout
Copenhagen apre con una insperata convergenza tra i principali governi. Ma ci si limita a promesse non vincolanti e si torna a parlare di "cap and trade"
Dopo giorni di incertezze, smentite e accuse, il vertice di Copenhagen ha aperto all'insegna di un rinnovato ottimismo. Il direttore del programma dell'ONU sull'ambiente, Amich Steiner, ha rivelato che non c'è molta distanza tra le promesse fatte dai principali governi e le richieste degli scienziati per evitare quell'aumento di due gradi che farebbe sfuggire il clima a qualunque controllo. Oggi si emettono circa 47 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno. I tagli 'promessi' dai governi del mondo porterebbe la cifra a 46 miliardi nel 2020, mentre servirebbe scendere sotto i 44 miliardi per evitare un'escalation irrefrenabile. Ci sono circa due milioni di tonnellate di troppo, ma sempre secondo l'Onu, si può trovare un accordo. Obama ha deciso che presenzierà alla giornata conclusiva del summit e così faranno anche i leader dei principali inquinatori mondiali (Cina inclusa). All'improvviso, dopo settimane di cardiopalma e spugne quasi gettate da parte dei negoziatori, tira un'aria di speranza nella capitale danese, che si è riempita di delegati. Il climate train ha garantito un viaggio ad impatto limitato per molti scienziati, comitati e gruppi di pressione, mentre i movimenti sociali e la società civile globale cominciano ad organizzare le mobilitazioni dei prossimi giorni.
Ma l'ottimismo è solo di facciata. Come direbbe un anglosassone, infatti, il diavolo è sempre nei dettagli. In questi giorni abbiamo appreso che non sono soltanto i paesi più industrializzati a dividersi necessità o meno di un accordo con target uniformi e vincolanti, ma anche i paesi meno industrializzati (raccolti nel G77) sono internamente lacerati dalla possibilità di un trattamento preferenziale offerto ai cosiddetti least developed countries (http://en.cop15.dk/news/view+news?newsid=2889). Inoltre, sappiamo molto bene che Cina ed India non promettono una riduzione delle emissioni di gas serra in termini assoluti, ma piuttosto un miglioramento dell'intensità emissiva. Il che vuol dire che i giganti asiatici potranno continuare ad inquinare come fanno attualmente (o persino aumentare le emissioni) fintanto che riusciranno a crescere in modo proporzionalmente più accelerato, garantendo più crescita del Pil per ogni unità emissiva.
Semmai si arriverà ad un accordo, è probabile che il sistema adottato si baserà sul libero mercato dei crediti da carbonio, elemento distintivo del cosiddetto cap and trade: una volta stabilito un tetto massimo di emissioni concesse per ogni paese, queste vengono ripartite in crediti che si possono scambiare liberamente sul mercato internazionale. Ciò consentirebbe a paesi che inquinano di meno di venderli a chi emette di più, in uno scambio virtuoso di 'titoli' internazionali: un po' come i mercati internazionali della finanza interagiscono nel contesto globale attuale. Sono in tanti ad appoggiare questo sistema, dai principali gruppi di pressione europei (incluse alcune ONG ambientaliste), alle banche finanziarie fino ad arrivare al premio Nobel ed ex vicepresidente americano Al Gore. Eppure il sistema di compravendita dei crediti da carbonio rivela importanti inefficienze, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello puramente ambientale. In termini puramente economici, è molto difficile stabilire la quantità corretta di crediti da immettere in un mercato, onde evitare una eccessiva liquidità che porterebbe inevitabilmente ad un loro deprezzamento, favorendo una crescita di emissioni a basso prezzo. Nell'Ue, dove è stato creato il primo sistema di cap and trade, l'ampia disponibilità di crediti (dovuta soprattutto ai paesi dell'Est, che hanno maturato enormi crediti rispetto alla loro situazione inquinante di riferimento del 1990) ha portato ad una immissione di milioni e milioni di crediti a basso prezzo nel mercato comunitario, che ha contribuito a svalutare il valore intrinseco di ogni credito, rendendo comparativamente più conveniente continuare ad inquinare invece di investire in tecnologie alternative. Dal punto di vista ambientale, è difficile monitorare il modo in cui i crediti si relazionano alle quantità di gas serra emessi e, quindi, rimane impossibile valutare il loro impatto complessivo sull'ecosistema. Esiste il rischio, infatti, che i crediti da carbonio possano essere acquisiti con modalità che non contribuiscono a diminuire in modo lineare ed immediato la quantità di gas serra nell'atmosfera. I sistemi di offsetting, i partenariati tecnologici sulle energie rinnovabili e le riforestazioni producono crediti che possono essere immessi sul mercato nell'immediato, mentre la loro efficacia nella lotta ai cambiamenti climatici verrà solamente (e non necessariamente) avvertita nel lungo termine. Per queste ragioni, il sistema del carbon trade è avversato da movimenti sociali e scienziati progressisti, che chiedono invece un accordo regolativo che punti ad una tassazione diretta delle emissioni. Rappresentando un sentimento molto diffuso tra attivisti e scienziati, James Hansen, uno dei principali climatologi al mondo direttamente impegnato al COP15, ha dichiarato che è meglio nessun accordo rispetto ad un climate deal che preveda il sistema del libero commercio dei crediti. Su questa lunghezza d'onda si allineano anche i tanti movimenti sociali che stanno affilando le armi in questi giorni, i quali chiedono non un accordo 'tecnico' di facciata, ma una riforma complessiva del sistema produttivo globale che ha portato alle attuali instabilità economiche e climatiche. La società civile globale è sempre più sospettosa nei confronti delle soluzioni tecnocratiche ai cambiamenti climatici, che vengono spesso elaborate da quelle think-tank finanziarie che hanno disegnato la fallimentare struttura della finanza internazionale. Non è un caso che il loro slogan sia: la natura non fa bailout!
Per ulteriori informazioni sul cap and trade, si veda:
Sistema USA http://www.epa.gov/captrade/
Sistema Europa http://ec.europa.eu/environment/climat/emission/index_en.htm
Video-animazione http://www.storyofstuff.com/capandtrade/
L'autore è promotore della campagna Global Reboot (www.globalreboot.org)
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