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Speranze deluse a Copenhagen

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Cop 15, la quindicesima conferenza tra le parti, organizzata dalle Nazioni unite a Copenhagen, si era aperta sulla base di un compromesso degli scienziati. Se si contiene, essi avevano spiegato, il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi nel corso del XXI secolo, vi è una probabilità su due che la civiltà umana prosegua. Una su due. Un riscaldamento maggiore comporterebbe conseguenze catastrofiche: sconvolgimenti climatici, desertificazione di interi continenti, perdita delle zone costiere, con sommergimento di decine e decine di città famose, da Venezia a S. Francisco, a Manhattan. In altre parole la convinzione prevalente degli ecologisti - oltre nove scienziati su dieci - era che pur imponendosi un limite inderogabile di due gradi di aumento massimo della temperatura, si sarebbe rischiato molto. La temperatura terrestre è funzione dell'effetto serra, sregolato, negli ultimi due secoli, da attività umane: l'industria, i trasporti, il taglio delle foreste, tali da modificare le emissioni di andride carbonica, metano, altri gas. In ogni caso per stare al di sotto di tale aumento massimo, occorreva darsi molto da fare, cominciare subito.
Cop 15 era stata lanciata a Bali, nel dicembre del 2007. Là gli scienziati si erano accordati sui famosi due gradi. La crisi economica, allora, doveva ancora cominciare; si viveva nella beata innocenza: dei subprime si ignorava perfino l'esistenza. Copenhagen era per tutti l'immagine della soluzione: una bella immagine, un globo abitato da fratelli, finalmente d'accordo e che si aiutano l'un l'altro.
Fratelli che si aiutano di fronte al pericolo comune: il compito è quello di portare tutti in salvo, mettendo insieme capacità, conoscenze, esperienze, ricchezze. Nel disastro, nel terremoto, nell'incendio si fa quel che si può, si deve fare il possibile per tutti, senza scegliere tra prima e seconda e terza classe, ma mitigando le temute conseguenze, trovando forme di adattamento inusitate e possibili. La Terra, disastrato pianeta, è piccola ed è una soltanto. Il riscaldamento, l'effetto serra, sono ancora più globali della crisi economica; e più distruttivi.
Non è andata così. I fratelli non si sono scambiati un abbraccio, ma a Copenhagen hanno cercato in tutti i modi di farsi male. Da un lato la scienza dei due gradi è diventata dogma; e per una scienza non è il massimo. Inoltre tutti i 190 governi si sono rifiutati di impegnarsi davvero. Si è solo «preso atto» dell'esistenza di un accordo non-accordo tra i membri del G2 (Usa e Cina).
Qualcuno poi dirà, se vorrà,nel corso del 2010, quale sia il proprio impegno, ma senza obblighi stringenti. Poi tutti, nel disinteresse generale, al Cop 16, dicembre 2011, Città del Messico. «Con l'attuale accordo il mondo andrà incontro a un aumento di 3 gradi che mina l'esistenza stessa della nostra civiltà» ha concluso Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace International.

Tratto da www.ilmanifesto.it