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Lo stato sociale privato-pubblico
Chi parla di privatizzazione dello stato sociale sbaglia. Il progetto del Libro bianco di Sacconi pubblicizza il privato. Rimuovendo il welfare state, ma anche Einaudi
Prima di avanzare dei giudizi affrettati sul Libro bianco, in parte già desumibili da questi primi appunti, occorre riappropriarci dei rudimenti di scienza delle finanze.
In scienza delle finanze si sottolinea l’efficienza nell’allocazione delle risorse, cioè la necessità di ripartire razionalmente queste risorse fra il settore privato e pubblico per il soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi, con una certa cura alla distribuzione del reddito per evitare che la ricchezza si concentri nelle mani di ristretti gruppi di persone o che vi siano situazioni di eccessiva disuguaglianza fra le diverse zone del Paese.
Tra i numerosi strumenti distributivi un posto di rilievo è dato alla spesa sociale, cioè all’insieme degli interventi pubblici finalizzati a proteggere gli individui e le famiglie dallo stato di bisogno e dai rischi più gravi.
Il suo fondamento è costituito dall’idea che la libertà dal bisogno è condizione indispensabile per l’effettivo godimento dei diritti civili e politici, di conseguenza la sua realizzazione non viene esclusivamente lasciata all’iniziativa del diretto interessato, ma costituisce “un fine di carattere collettivo da raggiungere mediante la “solidarietà” dei cittadini (la PA) che tende a realizzare “un interesse indivisibile della collettività mediante la tutela del singolo”.
La pedante riproposizione dei principi di economia pubblica aiuta a capire quanto e come il libro bianco sullo stato sociale sia lontano dai presupposti che uniformano le democrazie moderne.
Diversamente il Libro bianco non dovrebbe interrogarsi sul tipo di famiglia, piuttosto su quale soggetto si vuole fondare la distribuzione del reddito e lo stato sociale. Gli interventi suggeriti nel libro bianco (fisco, defiscalizzazioni, volontariato, organizzazione delle famiglie), richiamano modelli di società precapitalistica che poco hanno a che vedere con l’evoluzione storica dello stato moderno, con la nostra Costituzione o con i presupposti fondativi dell’Europa.
Pubblicizzazione del privato
ll Libro bianco afferma che “le prestazioni e i servizi devono concorrere alla vita buona dei cittadini nel contesto necessario di una società attiva”, ma ribalta il significato e l’orizzonte del diritto positivo. Infatti, se nel diritto positivo occorre liberare dal bisogno i cittadini affinché essi siano liberi di realizzare le proprie prospettive (libertà da e libertà di), il Libro bianco di Sacconi “promuove l’autosufficienza di ciascuna persona, di tutte le persone, …”. Non a caso la centralità è la persona, non il diritto che questa persona ha soggettivamente (Einaudi, lezioni del 1944). Per Einaudi il problema della garanzia e della sicurezza è un problema molto più generale che della sola attività di intrapresa. L’approccio liberale presuppone una formula “preziosa”, cioè l’eguaglianza dei punti di partenza (Einaudi, 1949). Solo attraverso la “pubblicizzazione” dell’individuo o individui associati è possibile declinare il welfare state come opportunità e responsabilità, ovvero la rinuncia alla liberazione del bisogno (libertà da). Il riconoscimento della famiglia, dell’impresa profittevole e non, come di tutti i corpi intermedi che concorrono a fare comunità, presuppone che il “mercato” e la “libertà individuale” siano affrancati dai “fallimenti del mercato" (Pareto), cioè capace di autoregolarsi. Einaudi sosteneva l’esatto contrario, cioè che il mercato non può esistere senza altre istituzioni, ancorché assegnasse ai corpi intermedi un ruolo “oggettivamente” importante. Lo stesso Trattato di Lisbona, non ancora in vigore, piega la concorrenza in regola, stralciandola dai principi, i quali fanno riferimento ai bisogni.
La declinazione dei soggetti “protagonisti” del nuovo stato sociale (famiglia, centralità della persona, comunità, sussidiarietà, responsabilità, territorialità e federalismo), prefigura un mutamento sostanziale della prima parte della Costituzione ed in particolare dell’art. 3 che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.
Se proprio si deve “trovare” una linea che attraversa il libro bianco sullo stato sociale è proprio il superamento del diritto di cittadinanza (come del diritto soggettivo), che inevitabilmente condiziona le forme e i modi di usufruire dello stato sociale moderno, fino a stravolgerne il senso. L’esempio è proprio in un titolo del libro bianco che non è un errore, piuttosto un progetto: "universalismo selettivo".
Tratti principali del Libro bianco
La prima parte analizza l’attuale crisi economica e ne denuncia i limiti, ma evita accuratamente di menzionare la colpevole “assenza” del pubblico come soggetto regolatore, lasciando libero il mercato di operare senza nessun contropotere, fosse anche di ultima istanza (fallimenti del mercato). Per quanto assurdo, la crisi parte dai subprime, cioè dal bisogno di casa dei cittadini che dovrebbe essere, in parte, soddisfatto dal pubblico. Indiscutibilmente la crisi economica complicherà l’equilibrio finanziario della spesa sociale, ma dovrebbe essere “normale” in una situazione economica come quella attuale. Invece, il Ministro usa questa “sofferenza” per delineare un ulteriore intervento correttivo.
La stessa denunzia dei (presunti) limiti del modello sociale italiano non coglie il senso profondo della natura dei beni di merito, cioè quella che è l’offerta a creare la domanda. Ma ancor più grave è la “denuncia” della polarizzazione della spesa sociale italiana, in particolare della spesa previdenziale. Da un lato si evita di sottolineare che la spesa sociale italiana è sotto la media europea, dall’altro che la spesa previdenziale italiana è al lordo (tasse) e contiene il TFR, di cui tutto si può dire meno che è spesa previdenziale. Se armonizzassimo la spesa previdenziale italiana a quella europea si osserverebbe che i pensionati finanziano lo stato da un lato, e che i poveri sostengono le pensioni dei ricchi. Inoltre, si contrappone la spesa previdenziale a quella sanitaria, quasi che ci fosse un conflitto.
Sulla spesa sanitaria il Ministro Sacconi riesce a contraddire se stesso: da un lato denuncia l’eccessiva frammentazione del sistema sanitario nazionale, dal’altro spinge sul federalismo. Evidentemente qualche contraddizione c’è. In realtà il ministro, ad essere onesti, utilizza questa apparente contraddizione per sostenere la volontà-necessità di affiancare (sinergicamente) il volontariato alle attività sanitarie. Il termine affiancare ha un significato: elevare a soggetto pubblico il volontariato. Questa è l’unica via per prefigurare un federalismo fiscale sussidiario, dove il cittadino può decidere a chi “consegnare” le proprie imposte. Chi parla di privatizzazione dello stato sociale sbaglia. Il progetto di Sacconi è molto più ambizioso: equiparare pubblico e privato attraverso la pubblicizzazione di quest’ultimo. La menzione del terzo settore a questo punto non è casuale, piuttosto lo sbocco di un progetto “comunitario”. Allo stesso tempo sostiene la sperimentazione di forme associative e assistenziali del tipo di medicina di gruppo, in rete, casa della salute e, alla fine, forme assicurative integrative.
Inoltre, alla famiglia è assegnato un ruolo inedito: di responsabilità “collettiva”. In questo senso è imprudente il “sostegno alle responsabilità familiari”, se non nella misura in cui si vuole abbandonare il ruolo di intermediazione pubblica svolto storicamente dalla pubblica amministrazione, che per altro trova una inquietante conferma nella politica fiscale fatta di tagli, sostenuta con singolare convinzione dal Ministero del Lavoro. Sostituire il welfare state con il welfare society significa ritornare alle società mutualistiche che hanno avuto “diritto” di cittadinanza nelle società preindustriale e di prima industrializzazione. In realtà, con la crescita della complessità del sistema economico e dei bisogni collettivi percepiti come indispensabili, le “cooperative” e le società di “mutuo soccorso” hanno mostrato tutti i loro limiti.
Ma l’apoteosi di Sacconi arriva quando sostiene che “La famiglia è anche una cellula economica fondamentale. Centro di redistribuzione del reddito e delle rendite.”
Il territorio diventa, quindi, l’arena del nuovo “bene-essere”, dove tutti sono chiamati a partecipare per la crescita economica e sociale, dagli enti bilaterali, dal mondo associativo, fino al singolo lavoratore. Sostanzialmente si delinea una società organizzata orizzontalmente, in cui tutti sono protagonisti del cambiamento, cioè si abbandona l’idea della programmazione economica, almeno per le attività soggette a fallimento del mercato.
Sul lavoro il Libro bianco si colloca, seppur indirettamente, all’interno delle proposte di Tito Boeri, in particolare sulla necessità di formare le maestranze. Sostanzialmente il progetto Sacconi agisce dal lato dell’offerta del mercato del lavoro, evitando accuratamente di indagare la domanda. Qualora si realizzasse questa analisi si osserverebbe che la formazione delineata, meglio dire auspicata, è un eccesso di scopo se consideriamo che la figura professionale più richiesta dal sistema delle imprese private è l’operaio generico. Inoltre, i tagli all’università e alla ricerca sembrano indicare una strada: la rinuncia a qualsiasi intervento di modifica della specializzazione produttiva delle imprese. Una rinuncia che pagheremmo duramente nel corso dei prossimi anni, quando le green tecnology, la conoscenza in ambiente ed energia determineranno un nuovo paradigma tecnologico e accumulativo.
Sul lavoro il Libro bianco rovescia il diritto all’intrapresa e il diritto al lavoro, che si esplica nell’alleanza-armonia (del lavoro) con le esigenze di produzione e un compenso (equo) e proporzionato ai risultati di impresa. Non a caso si afferma la necessità di uno statuto dei lavori, cioè “Un corpo di tutele progressive del lavoro costruite per geometrie variabili in funzione di anzianità di servizio e del reale grado di dipendenza economica del lavoratore”. Infatti, si ipotizza per il lavoro il potenziamento delle competenze, al fine di “consentirgli di prevenire e gestire al meglio le criticità nelle transizioni economiche”. Un orizzonte che piega la società dall’orizzonte del diritto positivo, cioè i diritti sono tutelati quando tutti hanno lo stesso diritto, verso quello negativo, cioè al diritto di proprietà naturale (Hume).
Conclusioni
Il quadro che emerge è preoccupante. Il finanziamento indiretto dello stato sociale modifica in profondità la natura stessa dello stato sociale, da pubblico in privato-pubblico. Inoltre, il progetto del governo prefigura una società fondata sulla capacità dei singoli, rimuovendo le teorie liberali sociali ed economiche che almeno sostenevano un intervento pubblico teso ad eliminare i vincoli alla “linea di partenza” per tutti i cittadini (Einaudi).
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