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Scuola, uno su cinque non ce la fa

17/07/2009

Aumentano le bocciature. Ma i numeri della nostra scuola ci dicono che gli "early leavers" erano già il 20,6% del totale: più del doppio della soglia di Lisbona.

Sostiene Mariastella Gelmini che “una scuola che promuove tutti è una scuola che non fa il bene del ragazzo”, e non si capisce né di quale bene né di quale scuola stia parlando. Anche se in Italia non si boccia più come una volta – nel 1969 i bocciati alla maturità erano il 30%, nel 2008 il 2,8% - gli early leavers, cioè gli studenti che abbandonano la scuola prima di conseguire un diploma o una qualifica (e alcuni anche prima di concludere la scuola media), sono ancora il 20,6%. Uno su cinque, dunque. Si tratta di più del doppio di quel 10% fissato dall’Unione Europea come soglia per così dire fisiologica di inefficacia del sistema educativo. Va detto comunque che in Europa ci sono paesi che già oggi sono sotto il 5-6% e che, a differenza di quel che avviene da noi, intervengono poi sugli esclusi con dispositivi di seconda opportunità per provare a contenere ulteriormente un risultato che considerano, con più di una ragione, come un serio problema.
Chi sono i nostri early leavers? Dal punto di vista della carriera scolastica sono solitamente ragazzi che avendo accumulato ritardi scolastici di uno o più anni, a causa appunto di ripetenze seguite a bocciature, a un certo punto gettano la spugna. Dal punto di vista sociale, sono in generale figli di genitori con poca istruzione e molti altri problemi. Tant’è che fior di studi, nazionali e internazionali, dicono che la nostra scuola non solo è scadente in termini di risultati di apprendimento (ma si tratta di medie: perché se in molti istituti tecnici e professionali del Mezzogiorno precipitiamo sotto la soglia dell’infimo, nei licei del nord est ci sono livelli più alti di quelli della Finlandia), ma anche che non è precisamente il meglio dal punto di vista sia dell’inclusività che della mobilità sociale. Questo significa che, a fronte di una quota così scandalosamente alta di esclusi, gli studenti che invece resistono nei percorsi dell’istruzione sono titolari di uno speciale salvacondotto? Hanno diritto a una valutazione complice o indulgente? Niente affatto, il loro diritto – perché la verità è decisiva anche nell’educazione - è piuttosto ad una valutazione non discrezionale, e ancorata a precisi parametri scientifici. Se qui si richiamano i numeri – i 155.000 tra i 14 e i 17 anni che nel 2008 risultano non inseriti in nessun percorso formativo: e ben 8 su 100 nelle regioni meridionali – è solo per sottolineare la miseria culturale e politica della campagna per un nuovo rigore scolastico, e della soddisfazione per l’incremento di bocciature, non ammissioni agli esami, promozioni sub condicione. Mentre resta curiosamente sottotraccia, anche nei commenti dell’opinione pubblica e dei media, la riflessione sull’utilità o meno delle bocciature, oltre che per i bocciati e per i promossi, anche per restituire credibilità alla formazione scolastica e assicurare serietà alla valutazione. Nelle parole di Gelmini e in quelle di molti altri, di destra e di sinistra, non affiora mai, del resto, neppure il sospetto che altrove – e magari proprio nei paesi di cui invidiamo i risultati scolastici – si utilizzino dispositivi diversi dal nostro, e forse più efficaci.
Quest’anno- è indubbio – si è bocciato di più. Agli esami di maturità come a quelli di scuola media. Nelle ammissioni agli esami. Negli scrutini di passaggio da una classe all’altra. Spostamenti non enormi rispetto al 2008, ma significativi. Il richiamo al rigore, l’evocazione del merito e della meritocrazia, la regola per cui l’insufficienza in una sola materia e il 5 in condotta bastano a bocciare, hanno tolto il tappo a sentimenti di disagio e impotenza che covavano da tempo. Non è da oggi che appaiono insostenibili certe ignoranze, pigrizie, insolenze degli studenti (e certe conniventi indulgenze delle famiglie), ma oggi si possono mettere da parte le spiegazioni che richiederebbero interventi complessi e ricorrere, finalmente, alle soluzioni più semplici. Si è incoraggiati, anzi, a farlo. Come altro interpretare, se non come un tentativo di influire su scrutini ancora in corso, il lancio da parte dell’ufficio stampa di viale Trastevere dei primi parzialissimi dati che mostravano una flessione delle promozioni? Se si fosse trattato di rendere pubblici i primi risultati elettorali ad urne ancora aperte se ne sarebbe fatto giustamente uno scandalo, ma in questo caso invece tutti zitti, anche da parte dell’opposizione. Comunque sia, a quali risultati porterà il nuovo trend? Se i media tendono per lo più a mettere in primo piano gli insuccessi alla maturità (+0,6% rispetto al 2008 ) e l’incremento delle non ammissioni (+1,4% ), i problemi più seri sono in verità nella scuola media e nei primi anni della secondaria superiore. Non solo perché qui i non ammessi agli esami conclusivi del primo ciclo sono più del doppio rispetto al 2008 (dal 2,1 al 4,4 %) e perché nelle prime classi dei tecnici e dei professionali – il biennio conclusivo dell’obbligo di istruzione – ci sono percentuali di bocciature a due cifre, ma perché è difficile che chi è arrivato alla soglia del diploma si lasci scoraggiare definitivamente, mentre ripetenze e ritardi scolastici possono lasciare segni irrimediabili quando si è ragazzini o nella prima adolescenza. Doversi adattare a compagni di classe più giovani, dover ripetere anche le discipline in cui si erano raggiunti livelli sufficienti, dover cambiare amici e insegnanti produce demotivazioni e mortificazioni che si traducono spesso in pessimi consiglieri. Molti abbandoni precoci, o scelte formative inadatte, trovano qui le loro radici. Del resto è noto (perché è stato analizzato e studiato) che, almeno nell’adolescenza, solo rarissimamente le bocciature e le ripetenze fanno bene. Lo sanno benissimo gli insegnanti che ricevono nelle loro classi i ragazzi bocciati dai colleghi. In nove casi su dieci, sono problemi: non solo di apprendimento, anche di relazione. E gli altri, cioè i promossi, trarranno almeno loro un qualche vantaggio da un incremento delle bocciature? C’è chi sostiene di sì, in base al ragionamento per cui la punizione di chi non merita si tradurrebbe automaticamente in valorizzazione di chi merita. Molte bocciature, insomma, dimostrerebbero di per sé la serietà della formazione scolastica e della valutazione, dunque anche la qualità dei “salvati”. Ma è proprio così o si tratta di una replica fuori tempo di quel che avveniva quando a scuola ci andava un terzo o anche meno di quelli che ci vanno oggi, e dunque il titolo di studi – come una griffe che pochi possono permettersi – traeva valore dal fatto che erano pochi quelli che potevano fregiarsene? E’ questo l’obiettivo della cosiddetta “società della conoscenza” ?
Ciò che non si dice è che la valutazione è seria e può essere presa sul serio sia dai bocciati e dai promossi sia dalla società solo se fa riferimento a standard di sapere (che vuole dire anche saper fare e saper essere) definiti scientificamente, condivisi, pubblici. E se si esercita su prove serie in quanto coerenti con quello che si vuole accertare. Ma è proprio di questo che la valutazione degli apprendimenti che si fa nelle nostre aule scolastiche continua a non disporre. Per motivi diversi nessuno ci ha provato davvero, né a destra né a sinistra, e tanto meno Gelmini. In assenza, la valutazione resta discrezionale, obliqua, non trasparente, incontrollabile (e, da noi, anche fortemente diversificata per aree territoriali). Avremo insomma un po' di bocciati in più, e un’enormità di promossi di cui si continua a non conoscere le effettive competenze. Questi ultimi – promossi veri o fasulli - si sentiranno più capaci, responsabili, impegnati solo perché molti altri sono stati giudicati negativamente? Ed è seria, credibile, autorevole una scuola che affida a una maggiore visibilità della sua inefficacia la misura della sua qualità? E’ un modo curioso di ragionare: trasferito in un altro campo, quello sanitario, sarebbe come dire che una clinica è tanto migliore quanto più numerosi sono i suoi pazienti non guariti. O forse si vuol dire che una clinica è (considerata) tanto migliore quanto più sono pochi (e costosi) i suoi posti-letto?
Al discorso pubblico su bocciature e valutazioni nuoce, fra l’altro, un provincialismo che dopo i tanti incontri e scambi internazionali degli ultimi trent’anni resta pur sempre ostinato. E che ci fa ignorare che il dispositivo della bocciatura/ripetenza non è l’unico possibile, o comunque che può vedere modalità di attuazioni diverse. In ambito europeo, per esempio, esistono al momento almeno tre modelli. Ci sono paesi in cui non si prevedono né bocciature né la ripetizione della classe ma si va comunque avanti, in base a una valutazione pubblica e severa delle competenze effettivamente conseguite, in percorsi diversificati per durata, esiti finali, accessi successivi all’istruzione superiore o al mercato del lavoro. In altri le bocciature sono previste solo alla conclusione di cicli biennali o triennali, perché si tiene conto della varietà di età degli studenti che frequentano la stessa classe , della non uniformità dei tempi di crescita e di maturazione degli adolescenti, dell’opportunità di misurare i risultati seguendo le sequenze dei percorsi formativi (in questo senso andava, come è noto, la riforma Moratti, successivamente travolta anche per questo aspetto). In altri ancora, come tradizionalmente in Italia, bocciature e promozioni sono a cadenza annuale. Poi c’è un quarto modello, quello della scuola finlandese, di maggior successo secondo le indagini Ocse, in cui sono previste bocciature/promozioni annuali, ma di fatto le bocciature sono cadute in disuso, sostituite da una forte flessibilizzazione dei percorsi e delle metodologie didattiche che porta al successo scolastico di pressoché tutti gli studenti. Il caso italiano, che alcuni studiosi definiscono “napoleonico”, è caratterizzato, oltre che dall’inesistenza di criteri oggettivi cui riferire la valutazione, dalla non distinzione a fini valutativi – ereditata da un Decreto Regio del 1924 - tra discipline essenziali e discipline secondarie (tra competenze irrinunciabili e competenze facoltative); dalla rigidità dell’unità classe ; da standard/contenuti cognitivi non esplicitati e non condivisi ma comunque riferiti alla classe e non all’età effettiva degli allievi : che è invece sempre più diversificata a causa degli anticipi dell’età di ingresso nei percorsi scolastici, della presenza crescente di allievi di provenienza straniera, dei ritardi derivanti dalle bocciature/ripetenze e dal tempo perso per i cambi di indirizzo.
Ce ne sarebbe abbastanza per sviluppare analisi, proposte, politiche meditate. Per guardare alla questione della valutazione e del merito in modo laico e capace di accogliere almeno alcune delle indicazioni che vengono da altri sistemi e da altre esperienze. In ogni caso, per tenersi alla larga da ogni sovraeccitazione ideologica in cui si mescolino disordinatamente l’elogio della meritocrazia e la demonizzazione del sessantotto, la nostalgia del tempo andato e la copertura di ogni inerzia professionale. Ma non è questa, sembra, la fase.

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