Home / Archivio / Inchieste / Le grandi imprese italiane / Rai: di tutto, di più (debiti)

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Rai: di tutto, di più (debiti)

15/01/2011

Cinque bilanci consecutivi in rosso, indebitamento crescente, riduzione del patrimonio netto. La Rai va a picco. Perde share, (come Mediaset), e pubblicità (a vantaggio di Mediaset): nel 2000 la pubblicità raccolta dalla Rai era pari a circa il 60% di quella delle reti Mediaset; nove anni più tardi la quota si attestava al 44%

Quest’anno, per il quinto anno consecutivo, la Rai chiuderà il bilancio in perdita: secondo le previsioni pubblicate nelle ultime settimane dai principali organi di stampa, il deficit si aggirerà intorno ai 120 mln di euro, il valore più alto nella storia dell’ente radiotelevisione italiano, e quello cumulato dell’ultimo quinquennio si attesterà a circa 280 mln di euro. Secondo i dati del budget recentemente presentati al consiglio di amministrazione, il risultato dovrebbe tornare positivo nel 2011: si tratta di una previsione del tutto differente da quelle circolate nelle ultime settimane secondo le quali il disavanzo sarebbe addirittura destinato ad ampliarsi.

 

Fino al 2008 la Rai non aveva debiti. Alla fine del 2009 l’indebitamento finanziario netto aveva superato i 150 milioni di euro e al 31 dicembre di quest’anno si attesterà su valori molto superiori; di converso il patrimonio netto, in calo fin dal 2004, è diminuito lo scorso anno ad appena 630 mln e sarà ulteriormente sceso al termine di quest’anno.

 

Complici le esigenze di finanziamento degli investimenti nelle nuove tecnologie digitali, alla fine del prossimo anno i debiti finanziari uguaglieranno il patrimonio netto di bilancio; ove la situazione di difficoltà economica perdurasse ulteriormente, la situazione finanziaria e patrimoniale, già attualmente non florida, diventerà problematica.

 

I suddetti dati economici e finanziari dell’emittente radiotelevisiva pubblica appaiono sorprendenti, tenuto conto che essa può contare su una fonte di reddito importante e certa, il canone di abbonamento, costantemente cresciuti nell’ultimo decennio (in media del 2,6% all’anno).

 

Alla dinamica del canone si contrappone una tendenza calante dei proventi pubblicitari, diminuiti di ben il 22,3% tra il 2000 e il 2009. Il calo della pubblicità può essere messo in relazione con la progressiva riduzione della quota di mercato delle reti Rai, misurata in termini sia di share giornaliero sia di ore di punta serali (cd prime time). Secondo i dati auditel riportati nei bilanci, tra il 2001 e il 2009, la Rai, pur ottenendo costantemente la leadership di mercato, ha perso circa 6,6 punti percentuali di share a vantaggio delle reti televisive minori, la cui quota è pressoché raddoppiata nel volgere di soli 8 anni e sembra destinata ad aumentare ulteriormente con il passaggio al digitale terrestre.

 

 

Il confronto con le reti Mediaset

 

Nell’ultimo decennio, anche il principale concorrente della Rai, il gruppo Mediaset, ha sofferto della concorrenza delle altre reti e il proprio share è diminuito di 3,7 punti percentuali (4 punti nel prime time). Inoltre, secondo i dati riportati nell’ultimo bilancio della Rai, le reti Mediaset starebbero soffrendo pesantemente del passaggio alle frequenze digitali.

 

L’esame dei dati di bilancio del gruppo Mediaset mette però in evidenza un andamento del tutto difforme per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria: tra il 2000 e il 2009, l’introito del comparto televisivo italiano è aumentato del 6,3% malgrado le tre reti abbiano registrato un calo nello share non molto dissimile da quello dell’emittente pubblica.

 

La differenza si è accentuata nel 2009, quando il fatturato pubblicitario della Rai è diminuito di ben il 16,8% a fronte di una flessione contenuta all’8,6% per le reti Mediaset.

 

Secondo i dati relativi ai primi 10 mesi del corrente anno (fonte: Nielsen), la raccolta pubblicitaria sarebbe aumentata per Mediaset del 5% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente a fonte di un aumento contenuto al 3,5% per la Rai.

 

Nel 2000 la pubblicità raccolta dalla Rai era pari a circa il 60% di quella delle reti Mediaset; nove anni più tardi la quota si attestava al 44% (quest’anno è diminuita di un altro punto percentuale). Una semplice simulazione rende evidente l’importanza di tale variazione.

 

Se la ripartizione del mercato pubblicitario fosse rimasta invariata nel decennio, gli introiti della Rai sarebbero risultati complessivamente superiori di 1,4 miliardi di euro e nel 2009 i ricavi sarebbero stati superiori di oltre 220 mln di euro.

 

Se soltanto la quota del 2009 fosse rimasta uguale a quella dell’anno precedente, il gettito pubblicitario di quell’anno sarebbe stato maggiore di oltre 65 mln di euro, un ammontare superiore alla perdita dell’esercizio.

 

In sintesi, dalle evidenze sopra esaminate si possono trarre le seguenti conclusioni:

 

  1. la Rai, come la concorrente Mediaset, soffre, ed è destinata a soffrire ancora di più in futuro della concorrenza delle altre reti televisive;

     

  2. la ripartizione degli introiti pubblicitari non ha seguito l’evoluzione dello share di mercato.

     

 

Quest’ultima evidenza supporta l’ipotesi che negli ultimi anni la Rai abbia seguito politiche di offerta pubblicitaria poco aggressive che sono andate a beneficio della concorrenza.

 

Le nuove linee strategiche

 

Per continuare ad avere un ruolo centrale nel settore televisivo, la Rai ha la necessità di trovare nuovi indirizzi strategici di medio/lungo periodo, capaci di riportare in equilibrio la situazione economica e finanziaria. Al riguardo sono state ventilate diverse ipotesi:

 

  1. un drastico contenimento dei costi operativi relativi sia relativi alle spese del personale sia agli acquisti di beni e servizi;

     

  2. l’aumento del canone;

     

  3. la cessione della proprietà ai privati con l’eliminazione del canone di abbonamento.

     

 

Tutte queste alternative, da sole, appaiono deboli e di non facile praticabilità. La prima, pur indispensabile, ove calibrata al taglio delle spese inutili o poco produttive, è insufficiente a riportare in equilibrio i conti; la seconda, oltre ad essere comunque impopolare, non può superare certi tassi di crescita nell’attuale situazione di crisi economica. La privatizzazione o l’abolizione del canone, appaiono come meri esercizi retorici, periodicamente proposti da alcune forze politiche (Lega, Forza Italia, Futuro e Libertà), senza la reale possibilità di concretizzarsi.

 

Per uscire dall’attuale fase di difficoltà è indispensabile che la Rai definisca nuovi indirizzi strategici, non subalterni alla concorrenza. Atteso l’ulteriore innalzamento del tenore concorrenziale del mercato, la semplice proposizione di una politica più dinamica nell’offerta di spazi pubblicitari, pur imprescindibile, potrebbe risultare insufficiente.

 

Un’ipotesi è la scissione della Rai in tre aziende; nella prima, finanziata esclusivamente dal canone e a controllo pubblico, andrebbero allocati i canali con funzioni pubbliche (di vera informazione, a sostegno delle comunità locali, educativi, di accesso al dibattito politico, ecc); nella seconda andrebbero conferiti i canali commerciali, finanziati dalla pubblicità, in piena e totale concorrenza con le altre emittenti (quest’ultima società potrebbe in un secondo momento essere collocata sul mercato in favore di soggetti privi di conflitti di interesse); nella terza andrebbero conferite le attività di produzione di format televisivi da offrire al mercato delle emittenti televisive, italiane ed estere, tra cui, ovviamente, le altre aziende Rai .

Gli obiettivi dell’operazione di scissione sarebbero i seguenti:

  1. aumento complessivo dei canali di trasmissione (e, presumibilmente, dello share) in coerenza con le nuove tecnologie digitali;
  2. migliore sfruttamento delle risorse professionali esistenti, grazie alle opportunità create dalla specializzazione produttiva e dall’allargamento dell’offerta;
  3. consistente crescita degli introiti pubblicitari;
  4. in prospettiva, la diminuzione del canone.

    A livello di sistema, si avrebbe un aumento del grado di concorrenza del mercato con evidenti benefici per gli utenti e sarebbe più chiara la funzione pubblica della televisione finanziata esclusivamente dal canone.

Le altre puntate dell'inchiesta "Le grandi imprese italiane"qui

La riproduzione di quest'articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti