Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Ora servirebbero banche e imprese pubbliche

02/05/2013

Per uscire dalla crisi non si può puntare solo sulle scelte dei privati e sulla concorrenza. Servirebbero banche e imprese pubbliche che cambino i comportamenti sui mercati

Per rilanciare la crescita dell’economia italiana è necessaria non solo una politica di nuovi incentivi agli investimenti, ma occorre anche contrastare le posizioni oligopolistiche che costituiscono un freno allo sviluppo. In particolare, nei settori del credito, delle assicurazioni e dell’energia esiste una tendenza verso la concentrazione delle imprese che si riducono di numero e in questo modo accrescono il loro potere di mercato. Così le imprese dominanti stabiliscono i prezzi dell’energia, i tassi sui prestiti e le tariffe assicurative applicando un margine sui costi e controllano l’offerta secondo le loro convenienze. Questa situazione fa sì che i cittadini italiani paghino le polizze Rc auto, i mutui, il gas, la benzina e l’elettricità di più che nel resto d’Europa e che le imprese e le famiglie non stiano ricevendo finanziamenti adeguati dal sistema bancario.

L’influenza delle grandi imprese e delle grandi banche private sul funzionamento del mercato è un fenomeno che travalica i confini nazionali. Nel luglio 2012 si è scoperto che per almeno quattro anni le più grandi banche mondiali hanno fissato arbitrariamente e illegalmente il costo del denaro per lucrare sui mutui alle famiglie o sui prestiti alle imprese. Manipolare il tasso di riferimento sui mercati finanziari – il Libor (London interbank offered rate) – significa alterare un mercato da 500 mila miliardi di dollari tra titoli, prestiti, mutui e conti correnti. Persino l’Euribor, nato nel 1999 con caratteristiche “migliori” del Libor (più banche coinvolte e un meccanismo di rilevazione diverso) e a cui si rifanno gran parte dei contratti standard in Italia, è stato oggetto di un’indagine da parte dell’Unione Europea. Se Bruxelles dimostrasse l’esistenza di un cartello, le banche coinvolte dovrebbero pagare multe stratosferiche. L’associazione continentale delle banche europee non ha escluso che sia la Banca Centrale Europea a stabilire direttamente il tasso Euribor, un compito che ufficialmente l’Eurotower non vuole assumersi, ma che di fatto sta già svolgendo. Si tratta di uno sfregio per i sostenitori dell’autoregolamentazione e dell’autonomia delle istituzioni finanziarie.

Un’altra proposta di riforma delle banche europee è stata elaborata da un gruppo di lavoro presieduto dal governatore della Banca Centrale della Finlandia, Erkki Liikanen e riguarda la separazione delle attività commerciali (erogazione di prestiti alle famiglie e alle imprese) dalle attività finanziarie proprie delle banche di investimento. Si tratta di una proposta importante, ma che non sarà sufficiente ad intaccare il potere di mercato delle grandi banche commerciali anche perché esistono intrecci azionari che portano tali banche a essere legate a filo doppio le une alle altre. In questo quadro, i principi fondamentali della concorrenza, come la rivalità e la segretezza delle strategie, vengono clamorosamente a mancare.

L’impossibilità di garantire una reale concorrenza tra le grandi imprese private che operano nell’energia, nel credito e nel settore assicurativo, ci porta a sostenere la necessità di una coesistenza tra banche e imprese private e banche e imprese pubbliche. Queste ultime, nel rispetto del pareggio di bilancio, dovrebbero avere come obiettivi prioritari quelli di spingere verso il basso il prezzo dell’energia, le tariffe assicurative e il costo del denaro, di reinvestire i profitti nella ricerca e nell’innovazione e di garantire il credito alle famiglie e alle imprese in misura ben maggiore di quanto avvenga oggi. Ad esempio, Eni ed Enel, due aziende price leader di cui lo Stato è ancora azionista di maggioranza relativa, potrebbero abbassare i prezzi dell’elettricità, del gas, della benzina e dell’olio combustibile alle famiglie a basso reddito e alle piccole imprese e aumentare le spese in ricerca e gli investimenti nelle nuove tecnologie sul territorio nazionale.

Certamente le imprese e le banche pubbliche devono essere indipendenti dai partiti politici che generano corruzione. In Italia i vertici delle banche pubbliche potrebbero essere nominati dalla Banca d’Italia, che rappresenta un’istituzione autorevole e indipendente, sulla falsariga di quanto accade nella magistratura che è indipendente dal potere politico.

Per concludere, un’azione attiva delle grandi imprese e delle banche pubbliche potrebbe costituire una componente importante all’interno di un piano per rilanciare la crescita dell’economia italiana.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

banche e asili per bambini

Le banche che esistono nel concreto non sono mai a un capo dello spettro che va dal pubblico al privato. La variabile proprietaria non è descrivibile nella semplice alternativa pubblico / privato. Ci sono banche pubbliche governate in modo idoneo e banche private che hanno incentivi troppo business. L'accorciamento nel breve periodo degli obiettivi delle banche private è una questione disfunzionale. La cattura di una banca da parte di poteri che si creano al di sopra una struttura proprietaria poco attenta è un'altra circostanza disfunzionale. Per sopperire a problemi del tipo appena descritto, se tale identificazione del problema venisse condivisa, preferirei in effetti "riarmare" lo schema della banca pubblica, ma ben consapevole delle esperienze da non ripetere. L'alternativa non ha un potenziale miracoloso certo, ma è sempre meglio che assegnare al privato risorse pubbliche in base alla sua necessità (del banchiere in difficoltà o del banchiere che per non cadere in difficoltà adotta una politica gestionale insensibile al profilo di sistema).
Così come non scelgo un asilo per i miei figli per il fatto che sia pubblico o privato (tanto per rimanere sull'attualità), così non sposto la mia preferenza su un modello di governo e di gestione di una banca in base al fatto che la proprietà sia pubblica o privata.

Il DO di petto di Draghi

Il fatto che l'accesso al credito resti 'ancora difficile, ma sembra che si stia verificando un minore restrizione anche in Italia' è noto a tutti gli osservatori.
'Poi, sempre per sostenere il credito, andrebbe valutato, come già fatto in altri paesi, l'intervento di banche pubbliche'' per aumentare l'offerta di credito: anche Draghi gratta la pancia al popolo sovrano auspicando un generico intervento delle banche pubbliche.
Generico: sia perché non indica quali siano i paradigmi da valutare (la 'sana e prudente gestione' delle banche più volte richiamata nelle sue Considerazioni finali?); sia perché non dice a quali Paesi si riferisce; sia infine perché, successivamente, i Vigilantes delle BCN, in fase di ispezioni, accertano le modalità di concessione del credito e il rispetto delle regole di Basilea.
Verrebbe da concludere 'sutor! ne ultra crepidam'... cioè perché, vista l'impotenza della politica monetaria, si scaricano le responsabilità del credit crunch sulle banche pubbliche, salvaguardando quelle private?

Draghi: non ci posso credere

06 Maggio 2013 - 16:31

(ASCA) - Roma, 6 mag - L'accesso al credito per l'economia (imprese e famiglie) ''resta ancora difficile, ma sembra che si stia verificando un minore restrizione anche in Italia.

Poi, sempre per sostenere il credito, andrebbe valutato, come gia' fatto in altri paesi, l'intervento di banche pubbliche'' per aumentare l'offerta di credito.

Cosi' Mario Draghi, presidente della Bce, nella Lectio Magistralis tenuta all'Universita' Luiss dove ha ricevuto la Laurea honoris causa in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali.

Pubblico e privato...

...in economia rimane sempre un tema affascinante che attrae sempre dibattiti che si allargano a temi che tendono a prendere strade diverse ed erratiche, e non solo in Italia, noto Paese ad economia mista.
Secondo me, per decidere si dovrebbero capire almeno due cose: 1) 'quanto Stato e quanto mercato' in ogni settore o segmento dell'economia; 2) chi paga le eventuali perdite.
Nel privato, le perdite dovrebbero essere pagate dal privato; nel pubblico, esse sono sicuramente a carico della fiscalità generale.
Per venire alle banche, in Italia l'esperienza delle banche pubbliche è stata disastrosa: basterebbe calcolare quanto la fiscalità pubblica ne è stata aggravata negli ultimi 2-3 decenni e osservare la proprietà attuale del capitale di comando dei gruppi italiani. E non è finita perché il sistema bancario non è ancora privato, ma misto e con banche pubbliche quotate.
Io penso cmq che private, miste o pubbliche che siano, il paradigma che dovrebbe reggere la conduzione delle banche dovrebbe fondarsi su quanto ho già segnalato in un commento precedente: solo così, esse potrebbero svolgere una funzione di supporto effettivo all'economia.
D'altra parte è noto che le banche sono lo specchio delle imprese, per cui non possono esservi banche sane e debitori malati.

controllo e gestione imprese

concordo pienamente con le indicazioni di Ruffolo e Sylos Labini. Mi sembra peraltro che ci sia in effetti oggi un problema di gestione delle imprese pubbliche, che pure per diversi decenni, a suo tempo, sono state una forma molto efficiente di gestione e hanno contribuito a far fare un grande salto di qualità all'industria e all'economia italiana. Oggi peraltro chi è che gestisce Eni ed Enel e nell'interesse di chi? Bisogna fare delle riflessioni approfondite sul tema. Possono in qualche modo contribuire alla soluzione del problema, tra l'altro, le proposte avanzate da Zanotti e da altri, nonché l'introduzione anche da noi, come in Germania ed ora anche in Francia, di forme di partecipazione diretta dei dipendenti alla gestione delle grandi imprese.

Non ci sono alternative

Non ci sono alternative a un intervento diretto dei soggetti pubblici in alcuni settori economici.
In Italia i privati non sono all'altezza delle sfide lanciate dalle grandi multinazionali straniere anche per un fatto dimensionale.
Qui vige un capitalismo a carattere familiare e le imprese private, in Italia, hanno sempre avuto dimensioni medio-piccole oppure sono state fortemente assistite dallo stato vivendo praticamente di rendita
Ma le piccole imprese, in tempi di globalizzazione, in molti settori, non sono in grado di sostenere la concorrenza delle grandi multinazionali. L'unico soggetto in grado di sostenere tale sfida è lo stato, analogamente, a quanto avveniva negli anni '30 quando la nascita dell'IRI costituì la base per lo sviluppo economico del dopoguerra.
Se lasciamo che la nostra struttura economica sia totalmente affidata alle sole leggi di mercato si rischia di perdere la libertà, nel senso, che come sta già avvenendo, le nostre migliori realtà produttive saranno acquisite da imprese straniere e il nostro paese diverrà una colonia economica di Cina, USA e Germania.
Ovviamente il modello di impresa pubblica va rivisto e aggiornato profondamente aumentandone l'efficienza ed evitando, cosa non facile, che diventi terreno di conquista da parte della casta politica.
Per salvarci dalla crisi, insomma, l'unica via è un'economia mista pubblico-privato.
Affidare, viceversa, tutta la responsabilità dello svolgimento delle attività economiche al meccanismo del profitto porta a un suicidio sociale.

Risposta a Sylos Labini

Di sorpresa in sorpresa: Sylos trascura che le banche (pubbliche o private) dovrebbero finanziare imprese (di qualsiasi dimensione, pubbliche o private) meritevoli di credito nei limiti del loro patrimonio. Trascurare questo semplice paradigma, secondo me significa avviarsi sul sentiero della gestione privatistica di patrimoni pubblici condotta da parte di sè-dicenti esperti di banca e finanza che hanno condotto il sistema bancario del nostro Paese agli attuali livelli.

alcuni dati

prezzi in Italia

http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/02/oligopolio_1.pdf

truffa della benzina

http://www.repubblica.it/cronaca/2013/04/05/news/truffa_benzina-55970029/

scandalo del libor

http://eventiquattro.ilsole24ore.com/eventi-e-altro/banche-e-assicurazioni/notizie/2013/03/20/freddie-mac-ricorre-contro-le-banch.aspx

risposta a Biffis

La sorpresa di Biffis è sorprendente se pensiamo che il sistema bancario privato non sta affatto sostenendo la ripresa dell'economia e non finanzia le piccole e medie imprese in modo adeguato. Sul tema dell'energia segnalo che ci sono indagini sul fatto che il prezzo della benzina è manipolato dalle grandi compagnie petrolifere, che nel caso dell'elettricità il prezzo non scende come dovrebbe accadere con una domanda che è crollata, mentre i cittadini italiani pagano polizze Rc auto tra le più alte in Europa.

Allora banche e imprese pubbliche che non abbiano come obiettivi fondamentali la realizzazione di profitti di breve periodo, la distribuzione di dividendi agli azionisti e l'aumento delle retribuzioni dei managers, potrebbero avere un ruolo molto importante per rilanciare la crescita dell'economia italiana. In particolare, le banche e le imprese pubbliche potrebbero rompere i patti di spartizione e di controllo del mercato attuati dalle grandi imprese e banche private garantendo in questo modo una vera concorrenza tra operatori di diversa natura che si muovono con logiche diverse.

Impresa sociale: tra pubblico e privato

Credo che ormai la dicotomia pubblico-privato debba essere integrata da una terza via: l'impresa a gestione privata ma con la mission dell'interesse pubblico.
In Italia abbiamo due strumenti: il prima è quello della cooperazione e cooperazione sociale (l. 381/91), il secondo, più recente e ancora troppo poco sviluppato e conosciuto, quello dell'IMPRESA SOCIALE (legge 155/2006). Tra le caratteristiche salienti di questa impresa: avere una struttura democratica; avere una gestione economico-finanziaria efficente, destinare utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio, e pertanto non distribuirli, neanche indirettamente; coinvolgere lavoratori e destinatari delle attività nella gestione; oltre come già detto alla mission dell'interesse generale.
Con piccoli e opportuni cambiamenti legislativi (riguardo l'oggetto sociale) questa forma di impresa giuridica potrebbe essere applicata dagli enti pubblici nella creazione di partecipate in campi quali: rifiuti, energia, banche, assicurazioni, ecc...
Un'impresa sociale, anche in forma di Spa, permetterebbe quindi da un lato una gestione economicamente efficente ma dall'altro eviterebbe tutti quei rischi tipici di un'impresa for-profit in quanto il suo obiettivo sociale sarebbe finalizzato all'interesse generale.

Pubbliche o private purché efficienti

Anch'io sono meravigliato che G. Rufflolo aderisca all'idea, sottesa, che le imprese pubbliche siano più efficienti di quelle private: le sue esperienze dovrebbero averlo condotto a ben altre conclusioni. L'esempio dell'inefficienza delle banche pubbliche italiane può essere esemplificata dalla quantità di accorpamenti avvenuti negli anni successivi alla Legge Amato: banche e istituti di credito speciale dissestati fatte confluire in banche ritenute meno dissestate, in un continuo ricomporsi di un puzzle i cui risultati odierni sono sotto gli occhi di tutti.
Non credo sia la natura publica o privata di una banca a sancirne l'efficienza, cioè la produzione di profitti che confluiscono a patrimonio: solo banche sane e patrimonializzate possono aiutare il Paese; quelle dissestate aggravano soltanto la pressione fiscale e consentono gestioni privatistiche di patrimoni pubblici.

La proprietà delle imprese

Il tema della proprietà pubblica delle banche e delle grandi imprese strategiche è quanto mai complesso. In Italia non bisogna dimenticare che l'ondata a favore delle privatizzazioni è stata alimentata più che dall'ideologia neo-liberista, dal cattivo esempio fornito. Eppure questo non è stato sempre il caso (sono certo che specie G. Ruffolo ricorderà il vecchio libro di Posner e Woolf su "L'impresa pubblica nell'esperineza italiana").
Il problema è a quelli vincoli gestionali è possibile pensare alla nazionalizzazione di certe imprese e come evitare le degenerazioni del passato? Proprietà pubblica vs proprietà privata non risolve questo problema in modo automatico.
Ritengo però (come ho detto altre volte) che ci sia un'altro problema, a mio avviso più rilevante, che riguarda la proprietà delle imprese e che l'attuale dibattito sulla disuguaglianza ignora. Intendo riferirmi ai diritti dei lavoratori di partecipare alla proprietà ed alla gestione delle imprese.
In Italia l'unica forma di proprietà dei lavoratori è quella cooperativa, ma sono possibili altre forme; inoltre che fine hanno fatto le diverse proproste in materia sintetizzate da P. Ichino alcuni anni fa?
Senza affrontare il tema della democrazia economica è difficile (a mio avviso impossibile) risolvere la questione della disuguaglianza che da un lato crea sottoconsumo e dall'altro libera capitali impegnati a gonfiare bolle speculative: una miscela esplosiva!

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS