Home / Dossier / Ricchi e poveri / Prezzi e salari, cosa succede col nuovo modello

Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito

Prezzi e salari, cosa succede col nuovo modello

03/04/2009

L'inflazione attesa e quella reale, l'impatto dei prezzi petroliferi, l'incognita della contrattazione decentrata. Una simulazione degli effetti dell'accordo del 22 gennaio

La tenuta del salario reale è una delle grandi preoccupazioni sindacali di questi ultimi tempi. In questo saggio analizziamo brevemente la dinamica dei salari reali nell'ultimo quindicennio, per poi passare a valutare gli effetti possibili del nuovo impianto introdotto con l'accordo del 22 gennaio, ricorrendo a un modello dinamico del salario, nel quale sono incorporate le condizioni del nuovo accordo e previsti i possibili scenari alternativi di evoluzione delle variabili-chiave. In tutti e dieci gli scenari ipotizzati la variazione del salario reale risulta negativa, tranne che in uno degli scenari, nel quale risulta pari a zero.
Il Patto del '93
A seguito dell’accordo del 23 luglio 1993, il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) ha fatto riferimento al TIP (tasso di inflazione programmato) anziché all’inflazione effettivamente attesa. Se questo meccanismo ha contribuito a spegnere la spirale degli anni ’80 tra inflazione attesa e salario, ha però anche messo in forse, in diversi sotto-periodi, la salvaguardia del livello del salario reale a causa di comportamenti non virtuosi – rispetto a quelli ipotizzati – di due parti sociali sottoscrittrici dell’Accordo, imprese e governo. In effetti, le retribuzioni contrattate nel settore privato dell’economia non sono state sempre in grado di salvaguardare il potere d’acquisto: nei quadrienni 1994-1998 e 2000-2004 la perdita reale appare alquanto consistente. Il recupero è stato operato dalle retribuzioni di fatto, ma tale crescita non ha riguardato tutti i lavoratori ed è dovuta essenzialmente al ruolo compensativo svolto dallo Stato nei confronti dei lavoratori con carichi familiari verso la fine degli anni 90. Un ulteriore elemento che ha ridotto la dinamica dei salari reali è nella differenza tra l'inflazione “percepita” e quella “effettiva”: una diatriba che ha trovato finalmente una composizione nel concetto di inflazione riferita alla frequenza degli acquisti.
Ove si impiegasse un deflatore dei redditi più appropriato al paniere dei consumi dei salari medio-bassi, non stupirebbe trovare anziché una sostanziale tenuta (comunque, non un aumento) dei salari reali nell’ultimo quindicennio, una loro marcata riduzione, corrispondente alla percezione comune. Ciò dovrebbe richiedere un ripensamento dei meccanismi disegnati a tutela del potere d’acquisto dei salari.
L'accordo del 22 gennaio
L'accordo quadro del 22 gennaio 2009 introduce due sostanziali novità: la sostituzione del tasso di inflazione programmato con il tasso di inflazione atteso, e un «elemento di garanzia retributiva» per i dipendenti non coperti dalla contrattazione decentrata. Ma presenta anche altre caratteristiche che influiscono negativamente sulla possibilità di tenuta dei salari reali: l’esclusione dal paniere dell’inflazione dell’indice dei prezzi dei beni energetici importati, il non automatico recupero del gap tra inflazione attesa e inflazione effettiva, la non chiarezza sul modo con cui il salario contrattato a livello decentrato possa essere messo al riparo dall’inflazione e infine
la condizione secondo cui l’elemento di garanzia retributiva non scatterebbe in presenza di incentivi erogati unilateralmente dalle imprese. In particolare, questa condizione scoraggerebbe la diffusione della contrattazione decentrata (già di per sé poco presente), e il coinvolgimento del sindacato nella costruzione di obiettivi comuni e di un clima più cooperativo.
I principali aspetti dell'intesa sono:
a) la triennalizzazione dei CCNL, riguardante la parte sia economica che normativa, rispetto alla situazione vigente di quadriennalità per la parte normativa, e biennalità per la parte economica;
b) la sostituzione del tasso di inflazione effettivamente atteso al tasso di inflazione programmato;
c) l’esclusione dalla stima del tasso di inflazione atteso della variazione dei prezzi dei beni energetici importati, che nel paniere dei beni e servizi mediamente consumati pesano l’8,2%. Il governo del legame (inverso) tra salario reale e prezzi di questa componente del paniere viene lasciato ai meccanismi di mercato, nella falsa presunzione che i movimenti dei prezzi dei prodotti energetici siano uguali a quelli del resto del paniere di beni di consumo e che punte di aumento siano temporanee e destinate ad essere seguite da simmetriche riduzioni. Soluzioni migliori potrebbero scaturire da un effettivo approccio trilaterale, che coinvolga sindacati datoriali, sindacati dei lavoratori e Governo, come autorità di politica economica capace di interventi compensativi dell’inflazione importata;
d) il saldo tra inflazione attesa e inflazione effettiva, che potrà essere positivo o negativo per i lavoratori, viene liquidato tra le parti al termine della vigenza di ciascun contratto nazionale, con uno spostamento in avanti di un anno rispetto alla situazione attuale; per di più, tale saldo non è automatico ma soggetto a negoziazione;
e) il valore economico del punto presenta aspetti controversi, in quanto le Linee Guida agganciano espressamente la copertura del salario all’inflazione facendo riferimento ai minimi tabellari impiegati in media dalle imprese, contro la pratica vigente secondo cui la copertura è calcolata rispetto al valore parametrale medio della scala retributiva contrattuale;
f) sul fronte della contrattazione decentrata le novità sono due. Una positiva, consistente nell’aver previsto l’entrata in funzione di un ‘elemento di garanzia retributiva’ per i dipendenti non coperti da una contrattazione di secondo livello, elemento determinato a livello di CCNL con una tecnica di calcolo però molto retrospettiva. Una negativa, connessa alla clausola secondo cui l’elemento di garanzia retributiva non scatta in presenza di incentivi erogati unilateralmente dalle imprese, il che scoraggerà la diffusione della contrattazione decentrata (già di per sé poco presente), e il coinvolgimento del sindacato nella costruzione di obiettivi comuni e di un clima cooperativo;
g) le intese non coinvolgono l’impegno del Governo nella difesa del salario reale attraverso la restituzione del fiscal drag, fenomeno che ha contribuito non poco alla limatura del salario reale in alcuni anni dell’ultimo quindicennio;
h) la riproposizione sic et simpliciter della seconda parte dell’Accordo di luglio del 1993 relativa ai contenuti della contrattazione decentrata non appare convincente, alla luce dei risultati deludenti sul fronte della produttività e della competitività delle imprese italiane.
Tutte queste condizioni sono state incorporate in un modello dinamico del salario, che è stato usato
successivamente per simulare i risultati di una serie di scenari. Pur facendo ricorso ad un ampio spettro delle possibili evoluzioni alternative delle variabili e di alcuni parametri, i risultati indicano sempre una variazione annuale del salario reale negativa, che oscilla tra 0 a -2%. Tra questi scenari, quello che riteniamo più plausibile prevederebbe una perdita del salario reale dello 0,83%: per fare solo due esempi, 373euro all'anno per un salario di 15.000 euro, 745 euro per un salario di 30.000.
Un Patto sociale per la produttività
Nel saggio si ragiona anche sull’idea che se la stabilità dei prezzi fosse elevata a bene pubblico, ossia a obiettivo condiviso dei tre soggetti della concertazione, la politica economica potrebbe svolgere un ruolo attivo e positivo nel processo di salvaguardia dei salari reali, riducendo la conflittualità tra le parti sociali.
Si ragiona altresì attorno al fatto che la riproposizione sic et simpliciter della seconda parte dell’Accordo di luglio del 1993 relativa ai contenuti della contrattazione decentrata non appare convincente, alla luce dei risultati deludenti sul fronte della produttività e della competitività delle imprese italiane, e si avanza l’idea che ciò che servirebbe è un ‘Patto sociale per la produttività e la crescita’ che faccia premio sulla complementarità tra innovazione tecnologica, innovazione organizzativa e sviluppo delle competenze, ovverosia sulla triangolazione tra maggiori investimenti in ICT e maggiori investimenti intangibili nel capitale organizzativo e nello sviluppo delle competenze (cognitive, team-working e relazionali, oltre che tecniche) dei dipendenti in cambio di una moderata crescita del salario reale.

Nel Pdf allegato, il testo completo del paper

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti