La misura si discosta molto dall'idea di reddito come strumento volto a valorizzare l'autodeterminazione dell'individuo e sembra l'ennesima pezza temporanea al problema della povertà
Il 22 luglio scorso è stato presentato dal Ministro del Lavoro Poletti il «Piano nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale» che, secondo quanto ribadito dalle dichiarazioni del Governo, dovrebbe essere finanziato nella prossima legge di stabilità.
Dalle informazioni reperibili fino ad ora, questo piano nazionale prevederebbe l’introduzione di una misura di welfare chiamata RIA – Reddito d’Inclusione Attiva, un assegno familiare per i nuclei aventi un ISEE inferiore a circa 3.000 euro, non beneficiari di altri trattamenti previdenziali o assistenziali rilevanti o comunque inferiori ad una determinata soglia. In cambio chi riceve il sussidio dovrebbe impegnarsi ad accettare di partecipare a percorsi formativi. La misura costerebbe 1,5 miliardi. “Quanto al finanziamento dei servizi per l'inclusione attiva, i territori potranno beneficiare di risorse del Fondo Sociale Europeo, e in particolare del PON Inclusione che il Governo ha presentato a Bruxelles e che la Commissione Europea ha approvato, per un ammontare di 1,2 miliardi nei prossimi sette anni.”1
Dalle poche informazioni disponibili è tuttavia possibile fare alcune considerazioni in relazione alle vicende ed il dibattito pubblico degli ultimi mesi.
Iniziamo col dire che l’importo del RIA dovrebbe essere più basso di quello del reddito minimo, circa 400 euro mensili erogati al nucleo familiare. In secondo luogo le eventuali risorse messe a disposizione sono assolutamente insufficienti per sconfiggere la povertà nel nostro paese, in quanto l’analisi presentata dall’ISTAT alle audizioni in Senato, sulle proposte di legge sul reddito minimo, stimava i costi annui per tali misure a circa 14,9 miliardi di euro (proposta di legge del del M5S) e 23,5 miliardi di euro (proposta di legge di Sel). All’obiezione più volte riportata della mancanza delle risorse si ribadisce che se si fa un paragone tra le proposte di reddito e la somma dei 5 miliardi di euro spesi in incentivi per le assunzioni (i cui effetti sull'occupazione sono ancora incerti e instabili nel lungo periodo, specie senza investimenti) ed i 9,5 miliardi di euro spesi per il famoso “bonus Irpef degli 80 euro”, si ottiene una cifra (pari a 14, 5 miliardi) assolutamente compatibile con il costo di una delle misure di reddito minimo. Per non parlare di possibili soluzioni redistributive di cui si è già discusso.
Il RIA, a livello quantitativo e di impatto ricorderebbe molto di più il SIA - Sostegno per l'inclusione attiva , provvedimento approvato dal Governo Letta sempre all’interno della Legge di Stabilità e che si è rivelata una misura assolutamente insufficiente, a causa delle scarse risorse (120 mln di euro), che non sono bastati nemmeno a coprire tutte le domande presentate.
In realtà questa proposta sembrerebbe a prima vista un compromesso molto al ribasso tra la proposta REIS – Reddito Inclusione Sociale e le due proposte di legge del M5S e di Sel , che sono state supportate anche dalla campagna promossa da Libera sul Reddito di dignità. La proposta REIS è una proposta di reddito di inclusione sociale nata dall’Alleanza contro la povertà in Italia, un cartello di soggetti aventi come promotori le Acli e la Caritas e si rivolge soltanto ai nuclei familiari al di sotto della soglia di povertà assoluta.
Una delle differenze più importanti tra il reddito minimo ed il REIS riguarda i percorsi d’inclusione sociale, che nel REIS sono ispirati ai principi del welfare generativo: “si tratta di trasformare l’aiuto ricevuto con il REIS in ore di impegno che l’interessato offre in attività utili per la comunità e per se stesso. (…) Le attività possono essere svolte con le associazioni di volontariato, con i soggetti del Terzo Settore e con gli enti pubblici. (…) anche le forme possono risultare le più varie, spaziando dall’impegno orario nel volontariato o negli enti pubblici alla partecipazione a percorsi formativi e ad altre forme individuate dalla creatività locale.”2 .
Questi “principi del welfare generativo” sembrerebbero essere in linea con il nuovo protocollo d’intesa firmato da Anci e Ministero del Lavoro, approvato qualche mese fa, che prevede attività di lavoro volontario per coloro che percepiscono ammortizzatori sociali. Per questo sembrerebbe che la proposta REIS, anziché essere compatibile con sistema di welfare universale, sia molto più compatibile con un sistema di welfare al limite del coercitivo, ovvero legato ad un’erogazione del sostegno purché si sia disponibili a svolgere dei lavori di pubblica utilità, lavori che in realtà dovrebbero essere salariati.
Verrebbe dunque da chiedersi se anche questa nuova proposta RIA, che fa parte del «Piano nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale» e che dovrebbe essere finanziato attraverso la Legge di Stabilità, sarà in linea con la proposta REIS e preveda in maniera esplicita forme di lavoro volontario come contropartita all’erogazione del reddito, come è già stato proposto in diversi comuni. L’altra faccia del taglio agli enti pubblici locali.
Per quanto si possa considerare positivo un possibile stanziamento in Legge di Stabilità per una misura contro la povertà, è evidente che una prospettiva del genere, per come si sta configurando, si distanzierebbe molto dalle proposte di legge sul reddito minimo e reddito di cittadinanza del M5S e Sel, risultando l’ennesima misura temporanea, d’emergenza che non risolverebbe il problema della povertà nel nostro paese3. In particolare questa misura si discosterebbe notevolmente dall’idea di reddito come strumento erogato su base individuale, volto a valorizzare l’autoderminazione dell’individuo e a tutelarlo dal ricatto di dover accettare qualsiasi lavoro a qualsiasi condizione. Per una maggiore analisi si aspetta di leggere la proposta definitiva e la relativa previsione di spesa.
1Comunicato del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, 16 luglio 2015.
2 Proposta Reddito d’Inclusione Sociale http://www.redditoinclusione.it/ , p.52 .
3 Secondo l’Istat nel 2014 il 5,7% delle famiglie italiane era in una condizione di povertà assoluta, per quanto riguarda la povertà relativa coinvolge il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti.
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