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Il Def e le fonti mancanti della crescita

23/04/2014

Il Def 2014 spinge al rialzo le stime di crescita per il 2017 e 2018. Anche se, come certificano le tabelle del documento, consumi delle famiglie e spesa pubblica restano al palo

Il documento programmatico da un lato fotografa una paese che faticherà assai a crescere negli anni a venire, che al 2018 non avrà recuperato la perdita di 9 punti percentuali di reddito accumulati dall’inizio della crisi, il 2008, e quindi si allontanerà ancor di più dall’Europa continentale che crescerà ben sopra l’1,5%, cioè la crescita media prevista per l’Eurozona. Il Def 2014 prevede una crescita dello 0,8% nel 2014, quando solo a dicembre 2013 era stata fissata dal governo Letta all’1,1%, ma già allora le istituzioni internazionali prevedevano tale scenario dello 0,8%, ed oggi lo hanno abbassato allo 0,6%. Il Def 2014 quindi rivede al ribasso le stime di quattro mesi orsono, ma non quanto altri organismi internazionali fanno, ultimo la settimana scorsa il Fondo Monetario Internazionale. Il Def 2014 rivede al ribasso anche le stime per il 2015 e 2016 (1,3% e 1,6% contro il 2% del governo Letta), mentre si spinge ottimisticamente all’1,8% e 1,9% per il 2017 e 2018.

Le componenti della domanda che sosterrebbero la crescita sarebbero gli investimenti privati che viaggiano a tassi di crescita crescenti dal 2% del 2014 al quasi 4% nel 2018 e le esportazioni che si mantengono sempre sopra il 4% annuo, che pareggiano però con le importazioni per cui il saldo commerciale rimane pressoché invariato nel tempo attestandosi su una percentuale positiva dell’1,5% circa del Pil, mentre per l’Eurozona si prevede un 2,5% ed un oltre il 6% per la Germania sempre più mercantilista. I consumi delle famiglie faticano invece a tenersi vicino all’1% di crescita se non alla fine del periodo, nel 2018, mentre la spesa pubblica (1) contribuisce quasi nulla alla crescita, “azzoppata” presumiamo dalla spending review che a regime nel 2016 deve realizzare risparmi di 32 miliardi. Peraltro con un avanzo primario della finanza pubblica che per compensare la quota degli interessi (in media sul 5% del Pil) arriva appunto al 5% del Pil nel 2018, e che si mantiene sopra il 4% nel 2016-2017, sopra il 3% nel 2015, e sopra il 2,5% nel 2014, sarebbe ben strano che lo strumento keynesiano per eccellenza potesse spingere il reddito verso l’alto. D’altronde, le regole del “rigore ad ogni costo” son ferree ed assai poco ammorbidite dai viaggi di Renzi prima in Germania e poi al Consiglio Europeo: il pareggio di bilancio strutturale viene quasi raggiunto nel 2015 (-0,1% del Pil), assicurato negli anni successivi sino al 2018, mentre per il 2014 siamo ancora sotto di oltre mezzo punto percentuale, anche perché il deficit sul Pil non diminuisce così tanto quanto raccomanda la Commissione per ridurre il debito che infatti cresce alla soglia del 135% nel 2014 per attestarsi poi al 120% nel 2018. Si intravvede così un primo rinvio del raggiungimento dell’obiettivo di medio termine imposto dal Fiscal Compact, ed anche ricordiamolo dall’articolo 81 della nostra Costituzione che impone il bilancio in pareggio (corretto dal ciclo) già per il 2014. Tuttavia è un soft postponement: il defict/Pil dal -3% del 2013 andrà allo +0,3% nel 2016, quindi una riduzione di 3,3 punti percentuali che, con 1,6 miliardi per 1/10 di punto, fa 52,8 miliardi annui a regime, oppure se calcolati sull’avanzo primario che passa dal 2,2% del 2013 al 5% del 2018 (+2,8) si hanno risparmi a regime di 44,8 miliardi. Ecco che siamo in un modo o nell’altro ai 45-50 miliardi annui di cui si afferma molti “vaneggiano”, ma che il Def 2014 certifica a regime dal 2018, necessari per rientrare al debito/Pil del 60% al 2035 al ritmo di 1/20 all’anno. La Spending Review contabilizza 32 miliardi di risparmi a regime, ma non tutti certo a riduzione del debito. Anzi non è chiaro quanti e se ne rimarranno a tal fine, una volta impiegata una quota consistente per le coperture previste dalla Legge di Stabilità 2014-2016 e dal Def 2014. Quindi da dove saranno tratte le risorse per il consolidamento fiscale previsto dal Fiscal Compact?

 

(1) Sul ruolo della spesa pubblica nel Def 2014, si veda l’intervento critico di Fassina (2014).

 

Questo testo sintetizza l’intervento svolto all’incontro “Il Documento di Economia e Finanza 2014-2017. Analisi e proposte” tenuto presso la Camera dei Deputati l'11 aprile 2014. Leggi qui il documento integrale:

 

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Commenti

germania macro mal governata

una mia ipotesi diversa è che non sia tanto mal governata a livello macro, ma governata secondo interessi piu' tedeschi che europei, esempio sforare il limite del def/pil per vari anni è prova di mal governo macro o di politica economica interna che perseguiva obiettivi di posizionamento industriale ?

Dati e Qualità

Di fronte a cotanta abbondanza di dati, una breve considerazione di carattere qualitativo.
La Germania mercantilista è evidenza del fatto che il suo sistema economico è mal governato a livello macroeconomico (anche se è ben gestito a livello micro): un sistema economico è efficace non se produce tanto (e, per far questo, esportare molto di più di quanto non si importi è fatto positivo), bensì se ha un'elevata disponibilità di beni (e, per aver questo, esportare molto di più di quanto non si importi è fatto negativo)!

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