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27/07/2009

"Per una sinistra pensante", di Salvatore Biasco: dopo il declino dell'egemonia liberista, come recuperare tutto il terreno perduto in Europa e in Italia?

Mentre si avvicina il tempo per il Congresso del Partito democratico, cominciano timidamente a delinearsi, confusi nel confronto tra gli apparati che si fronteggiano per la leadership, elementi di confronto programmatico. Ne è testimonianza il recente libro di Salvatore Biasco, “Per una sinistra pensante”, edito da Marsilio nella collana dei libri di Reset. L'economista delinea una riflessione che mette a nudo diversi snodi di debolezza che caratterizzano la posizione politica del centro-sinistra italiano, e del suo principale partito. Biasco parte innanzitutto dalla analisi dei limiti che sono emersi nel corso degli ultimi decenni per effetto di un appiattimento della sinistra italiana nell'orizzonte esclusivo della cultura liberale, registrando per questa via una subalternità culturale agli schemi dominanti di matrice anglosassone.
Biasco non intende negare l'utilità di alcune misure liberali, capaci di stimolare l'economia italiana in direzione dello sviluppo, ma sottolinea che il riferimento esclusivo a questo armamentario culturale priva la sinistra della capacità di parlare a settori e componenti rilevanti della società italiana, oltretutto in una fase di crisi, come quella attuale, che rende evidente l'impossibilità di tracciare una via di uscita dalla recessione ricorrendo alle parole d'ordine del liberalismo e del liberismo.
Emergono fatti nuovi dei quali bisogna tenere conto. Tramonta l'idea che i bisogni sociali possano essere risolti esclusivamente su base individuale ricorrendo ai mercati finanziari. Si allarga il concetto di bene pubblico. Viene sempre meno la fiducia nella capacità autoregolatoria del mercato.
L'epicentro della crisi si registra proprio negli Stati Uniti, che hanno rappresentato, negli ultimi due decenni, il modello di riferimento per una versione oltranzista del liberismo, pur se, con un singolare gioco di specchi, all'interno dell'economia americana agivano elementi di dirigismo liberista che sono stati alla base dell'effetto moltiplicatore della crisi su scala internazionale. Torna una domanda di intervento pubblico, e non solo in direzione di una regolazione per temperare l'azione dei soggetti privati, ma anche verso un diretto ruolo di gestione dell'economia, non solo nella finanza ma anche in componenti strategiche dell'industria stessa. Si radica la consapevolezza che le decisioni di politica economica dei governi, per avere reale efficacia, devono essere inseriti in un contesto e in un orizzonte sovranazionale.
Insomma, secondo Salvatore Biasco, si è rotto uno schema di egemonia culturale che ha condizionato la cultura politica non solo in Italia ma in tutto l'Occidente.
Certo, per reinterpretare una direzione di marcia diversa, serve un “passo lungo” che ancora manca alla cultura politica della sinistra, attenta anch'essa ai profili tellurici di breve termine, senza capacità di gettare uno sguardo profondo sulle trasformazioni sociali che sono in corso.
Per recuperare un respiro meno stretto dentro le gabbie del politicismo quotidiano e delle parrocchie nazionali, Biasco propone di rilanciare intanto una agenda istituzionale europea, mettendo al centro della sua proposta la necessità di equilibrare il governo monetario, ed i connessi vincoli di bilancio, con una Agenzia di spesa europea, capace di indirizzare scelte di politica economica che non possono essere lasciate alla discrezionale interpretazione dei singoli governi nazionali europei, così come accade ancora oggi con l'Agenda di Lisbona.
In secondo luogo Biasco lancia i suoi strali contro la genericità delle proposte politiche del centro-sinistra, incapaci di parlare ad una riorganizzazione sociale profonda del paese. Cinque milioni di lavoratori indipendenti, un milione di soci, quattro milioni di loro familiari, quattro milioni di apprendisti e tre-quattro milioni di professionisti sono stati lasciati privi di un orizzonte diverso da quello proposto dal centro-destra italiano, in una operazione di rimozione politica che costituisce certamente una delle ragioni dell'arroccamento elettorale del Partito Democratico nelle sole aree di tradizionale insediamento, entro le cui mura difenda a fatica le proprie posizioni.
Diventa allora necessario promuovere una nuova cultura politica capace al tempo stesso di non smarrire il senso di una direzione di marcia unitaria, ma adeguata al tempo stesso a mobilitare energie e professionalità specifiche, che richiedono spazio e partecipazione che il Partito democratico, e nemmeno i suoi due genitori (Democratici di Sinistra e Popolari) non è riuscito ad intercettare.
Biasco sottolinea che serve, in una politica che continua a perdere legittimazione sociale, un approccio di approfondimento per specifici dossier, offrendo ad una società italiana che si è sfrangiata in componenti molecolari percorsi di riaggregazione capaci di inquadrare i bisogni specifici, espressi dalle organizzazioni diffuse, entro uno scenario di interesse generale: è quello che Biasco chiama il corporativismo progressista.
Serve quindi una nuova sintesi politica, capace di guardare avanti ai bisogni delle generazioni future. Andare verso tale approdo comporterebbe costruire un rapporto nuovo con i ceti intellettuali e con i lavoratori della conoscenza, che rappresentano un elemento dinamico indispensabile per uscire fuori dalle secche dell'attuale politicismo ed autoreferenzialità dei gruppi dirigenti.
Questo terreno evidenzia invece un gravissimo punto di debolezza del Partito Democratico, che non è assolutamente riuscito a costruire ponti con i luoghi e con i soggetti di elaborazione culturale, segnando anzi un arretramento rispetto alle discontinue consapevolezze che aveva espresso nei passati decenni il Partito Comunista Italiano, che comunque aveva cercato di innestare nel corpo della sua discussione politica esperienze e culture che hanno animato l'esperienza della Sinistra Indipendente.
Ora, pur nel fiorire di Fondazioni e think thank, manca assolutamente una capacità di fare rete tra le competenze che vogliono mettersi in gioco, ed il confronto tra i gruppi dirigenti appare lo stanco ripetersi di una liturgia sempre più lontana dalle pulsioni della società italiana e dalla aspirazioni dei cittadini che pure votano per il centro-sinistra italiano.

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Commenti

Basta parlare di se stessi

Recentemente sono comparsi numerosi libri che parlano della crisi della sinistra italiana, più attenti a sottolineare i punti di debolezza e gli errori commessi che a chiedersi come mai il 45% degli italiani continui a votare per partiti che fanno riferimento all'area del centro-sinistra. Esisteranno ben dei punti di forza sui quali fare leva ! Non è solo un disastro questa sinistra italiana !! Soprattutto tutte le analisi che ho avuto modo di leggere presentano due gravi lacune:
a) non partono mai da un esame del fenomeno Berlusconi, commettendo implicitamente lo stesso errore commesso per il fascismo, che fu ricondotto o ad una anomalia (ad una malattia morale) o ad un sistema funzionale al capitalismo, senza capirne le basi sociali e i meccanismi di ricerca del consenso. Poniamoci questa domanda: come mai oltre il 50% degli italiani vota per Berlusconi ? Sono tutti ignoranti, non pagano le tasse, sono intontiti dalla televisione. Sono queste le approfondite analisi della sinistra. Così è difficile andare avanti !
b) non esiste una chiara consapevolezza della gravità della situazione italiana sotto il profilo istituzionale. E' in atto un attacco frontale allo stato unitario, nei suoi valori fondanti e nelle sue istituzioni. Ed allora che senso ha " fare i pierini" nei confronti del PD, che è l'unica forza nel breve-medio periodo che può realisticamente contrastare il potere della destra ? Dobbiamo ricercare gli elementi che uniscono e non quelli che dividono e ciò è possibile solo se si fanno proposte concrete e realistiche. Cosa significa una nuova cultura politica ? E' troppo vago e generico per essere utile a qualche cosa.

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