Sono passati pochi giorni da quanto l’Istat ha certificato che siamo rientrati in recessione tecnica, dopo esserne usciti per un solo trimestre alla fine del 2013. Ora sempre l’Istat (1) ci informa che siamo vicini alla soglia della deflazione.
Nel mese di luglio 2014 i prezzi al consumo per l’intera collettività diminuiscono dello 0,1% rispetto a giugno 2014, e su base annua l’inflazione passa dallo 0,3% di giugno allo 0,1% di luglio rispetto allo stesso mese dello scorso anno. L’«inflazione di fondo» quella al netto dei soli beni energetici si porta allo 0,3% annuo contro lo 0,5% della rilevazione precedente di giugno. La deflazione colpisce in particolare i beni prodotti (-0,6% su base annua, dal -0,3% di giugno), mentre i servizi rallentano la loro crescita (+0,7% contro il +0,8% di giugno), e ciò amplia la differenza tra i due macro-settori. I beni di consumo ad acquisto di maggiore frequenza sono comunque quelli che segnano una maggior tendenza al ribasso, -0,3% su base annua.
Vi sono certo effetti stagionali che determinano questi dati, ma la tendenza verso la riduzione dell’inflazione e poi verso la deflazione sta accompagnando l’Italia negli anni della crisi.
L’inflazione era al 3% nel 2012, ed al 2,8% nel 2011. Più indietro, nel primo anno della crisi, il 2008, eravamo al 3,3%, discesa poi con la crisi nel 2009 e risalita con la ripresa nel 2010 e 2011. Ma nel luglio 2013 era tornata all’1,2% annuo, e da allora ha quindi perso 1,1 punti percentuali, in un anno sino ad oggi. Il peggioramento è quindi forte nell’ultimo anno: i dati mensili evidenziano una progressiva e preoccupante convergenza verso lo 0% (graf.1).
Graf.1 – Inflazione, prezzi al consumo per l’intera collettività (fonte: Istat, Prezzi al consumo, luglio 2014: http://www.istat.it/it/archivio/130236)
Colpiscono i dati regionali e macro-regionali. Il Nord-Ovest è in deflazione (-0,1%) mentre abbiamo inflazione zero nel Nord-Est ed in Centro Italia. Le regioni dove si è affermata la deflazione sono quelle ad economia forte ed industriale: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, a cui si aggiungono Toscana, Lazio e Puglia (quasi tutte tra -0,2 e -0,3%); solo l’Emilia Romagna mostra un dato nella media (0.1%) tra le grandi regioni industriali (graf.2).
Graf.2 – Inflazione, prezzi al consumo per l’intera collettività, per regione e ripartizione geografica (fonte: Istat, Prezzi al consumo, luglio 2014: http://www.istat.it/it/archivio/130236)
Questi dati mostrano, se ancor ci fosse bisogno, la gravità della crisi in cui versa il paese. Bloccata la domanda interna, i consumi delle famiglie in frenata per effetto anche della crisi e delle politiche restrittive, gli investimenti privati e pubblici in forte contrazione da anni, causa i tagli alla spesa pubblica e le aspettative sempre peggiori per le imprese, solo la domanda estera netta ha mostrato sin qui qualche dinamismo, ma anche essa segna il passo come i dati Istat dell’ultimo trimestre mostrano (-0,2% il suo contributo netto alla crescita del Pil) (http://www.istat.it/it/archivio/130059).
Così l’economia italiana dello 0% (http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/I-pesci-da-pigliare-25752), crescita zero del reddito reale e crescita zero dei prezzi, con tendenza e previsioni ad andare sotto lo “zero” a fine 2014. Quando l’impresa non vende perché la domanda ristagna, riduce i prezzi per conquistarsi una fetta di quella stagnante domanda, sottraendola agli altri: “È la concorrenza, bellezza!”, ma oltre ad un certo limite il rischio è la chiusura.
Ma questi dati pongono tre altri seri problemi all’economia italiana.
Il primo è quello delle aspettative deflazionistiche. Con dinamiche dei prezzi sempre meno positive da anni, siamo ora giunti a dinamiche negative. Chi ha in programma di sostenere spese per consumi e beni durevoli si aspettava sino ad ora prezzi con aumenti sempre più deboli; ora si può legittimamente attendere prezzi addirittura in diminuzione. Una ragione in più per dilazionare nel tempo le decisioni di acquisto: “perché acquistare oggi se mi attendo per domani prezzi più bassi? Più saggio aspettare!”, così ragiona il singolo acquirente. Mettete assieme tanti singoli acquirenti, e la domanda di mercato si contrare per tutti, con effetti immediati sui fatturati delle imprese. La deflazione porta con sé il rischio di ulteriore deflazione, via recessione e depressione.
Il secondo è a livello macro sui conti pubblici. Dobbiamo soddisfare i vincoli europei, deficit e debito su Pil, da controllare il primo e ridurre il secondo. Con un’economia reale che non cresce ed un Pil nominale che neppure cresce per effetto dell’inflazione, ogni obiettivo intermedio viene messo a rischio. Non solo il rapporto deficit su Pil risente della crescita nulla del Pil, che peraltro riduce le entrate dello Stato e quindi innalza il deficit a parità di Pil, ma rende impossibile ogni operazione di consolidamento fiscale sul debito per il rientro dall’elevato rapporto debito/Pil (ora sopra il 135%, e nel 2035 da portare al 60% con misure draconiane). Con inflazione in diminuzione, o addirittura la deflazione, il debito diventa più gravoso per tutti i debitori, che potevano trarre vantaggio da un’inflazione che non c’è più. Ed ogni operazione di riduzione del debito, via avanzi primari nei conti pubblici, peggiora la situazione: drenando domanda dal mercato, abbassa il Pil. Il debito non si ripaga con la deflazione, lo si peggiora.
A ciò si aggiunge il terzo problema su scala europea. La BCE ha una missione da compiere: tenere l’inflazione sotto controllo. Il suo target inflazionistico è del 2%. Era il 3% il tasso di inflazione dell’Eurozona nel 2008. Crollata con la crisi, si è poi ripresa sino al 2% nel 2012. Da allora l’inflazione si è ridotta, sino ad arrivare allo 0,5% annuo del 2014. La BCE non sta svolgendo il suo compito. Chiede agli Stati periferici di svolgere i loro compiti a casa, chiede addirittura che le riforme strutturali siano governate dalla tecnocrazia europea e che gli Stati nazionali cedano sovranità alle istituzioni europee. Draghi annuncia che interverrà per riportare l’inflazione al target 2%, ma non lo sta facendo.
Lo scenario internazionale è oggi più complesso e complicato, le tensioni geopolitiche peggiorano assai il quadro di breve periodo, ed in Europa stiamo andando verso una deflazione generale. Finlandia, Spagna, Grecia, Olanda, lo erano già alla fine del 2013, altri paesi si aggiungono nel 2014, tra cui l’Italia (http://rwer.wordpress.com/2014/04/05/deflation-has-arrived-in-at-least-five-eurozone-countries-including-finland-and-the-netherlands/). Anche i paesi dell’Europa continentale non stanno bene, la Francia anzitutto, ma ora in Germania frenano gli ordini per le imprese ed anche il Pil subisce un arresto (-0,2% a luglio 2014), rallenta la crescita annuale ed anche l’inflazione si abbassa a minimi storici. Lo spettro di “recessione + deflazione” attraversa tutta l’Europa, ad iniziare dalla sua economia più forte.
I recenti dati dell’Eurostat (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-14082014-BP/EN/2-14082014-BP-EN.PDF), al luglio 2014, mostrano che la lista dei paesi con deflazione o inflazione zero si allunga: Bulgaria, Grecia, Portogallo, Spagna, Slovacchia, Estonia, Italia, Polonia, ma in molti altri paesi (14 su 27) rallenta significativamente la crescita dei prezzi, e nella Eurozona passa da 0,5% a 0,4% su base annua (Graf.3 e 4).
Graf.3 – Andamento dell’inflazione annuale, singoli paesi dell’Unione Europea, luglio 2014: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-14082014-BP/EN/2-14082014-BP-EN.PDF
Graf.4 – Andamento dell’inflazione annuale, zona Euro e Unione Europea, luglio 2014: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_PUBLIC/2-14082014-BP/EN/2-14082014-BP-EN.PDF
Ma la politica economica non appare curarsene troppo; la richiesta di riforme strutturali si accompagna sempre a quella di flessibilizzare il lavoro e le sue retribuzioni verso il basso. L’opposto di quello che servirebbe. Le retribuzioni governano i prezzi, assieme alla produttività, e la loro stagnazione contribuisce alla stagnazione dei prezzi e quindi alla deflazione.
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