L'American Economic Association chiede trasparenza ai suoi membri, per evitare conflitti d'interesse. Ma il problema del rapporto tra potere e sapere va al di là dei codici etici
Il 23 maggio l’American Economic Association[1] ha inviato a tutti i suoi membri una lettera in cui spiega la sua nuova linea della trasparenza: chiunque sottometta uno scritto a valutazione tra pari con finalità di pubblicazione per una delle sue riviste deve sottoscrivere una lettera in cui dichiara i potenziali conflitti di interesse.
Il punto era stato sollevato nell’opinione pubblica dal documentario Inside Jobs di Charles Ferguson, dove i conflitti di interesse di alcuni importanti “consiglieri del principe” vengono messi in luce tra l’imbarazzo degli economisti intervistati. Per alcuni si tratta solo dell’ultima pagina di una generalizzata campagna di accusa agli economisti, iniziata con la famosa domanda della regina d’Inghilterra dopo la crisi finanziaria. Ma che il problema esista lo conferma anche il dibattito francese dove simili passi sono stati intrapresi da importanti istituzioni tra cui l’Ofce[2], nonché il fatto che questa volta lo stimolo venga direttamente dall’interno della professione.
In effetti lo spunto è stata una lettera sottoscritta da parecchi membri all’Aea per chiedere l’adozione di un codice etico. La lettera si basava sui risultati di un famoso studio di alcuni economisti della eterodossa UMASS-Amherst che metteva in luce l’assenza di trasparenza di alcuni rilevanti economisti intervenuti in importanti dibattiti in corso negli Stati Uniti[3].
Lo spirito della lettera è ampiamente condivisibile e con questo passo l’economia si avvicina agli standard di altre discipline. Si tratta di un episodio del tutto minore, ma solleva due considerazioni di carattere generale, molto importanti e non sufficientemente discussi.
Innanzitutto, bisogna sottolineare ancora una volta lo strumento che viene chiamato in causa. Il mito della disclosure sembra essere davvero la panacea. Viene proposta sistematicamente e in qualsiasi ambito, in linea con l’idea che il rimedio sufficiente ai problemi sia dare agli individui tutta l’informazione disponibile. In principio è ovvio che nessuno si oppone alla trasparenza, ma declinata in questi termini la domanda è retorica. La vera domanda è: ci si può aspettare qualche risultato significativo? La risposta è negativa per due motivi. Il primo, banale, è che esiste information overload: tra le risorse limitate ci sono il tempo e le capacità di processare informazione. Non se ne esce con la specializzazione, perché sposta di un gradino la domanda dell’attendibilità della fonte originaria, diventando una questione di controllare il controllore. Non mi si tiri fuori la questione di reputazione, per favore. In Italia abbiamo i casi eclatanti di cantonate a nove colonne sulla crisi finanziaria senza conseguenze, ma più in generale la sistematicità degli errori commessi e la tendenza a fidarsi degli esperti è davvero così grande che comincio a sospettare nella malafede di chi non le prende in considerazione.
In secondo luogo, il processo di pubblicazione è un processo limitato all’ottenimento di reputazione in ambito accademico. La pubblicazione scientifica è nella stragrande maggioranza dei casi estremamente specifica nell’oggetto, spesso da interpretarsi nel contesto di un dibattito interno alla comunità degli esperti, talvolta addirittura ristretta agli strumenti con cui si conduce l’analisi. Di conseguenza, non è nella fase di “costruzione” della conoscenza tecnica che risiede il “conflitto di interesse”, laddove esso esista.
E questo ci porta al secondo punto, molto più generale. Una buona parte dei problemi di questi anni e della crisi del 2007 e di quella attuale risiede nel modo in cui si è affrontata la costruzione di mercati finanziari a livello internazionale. Nella loro (de)regolamentazione e nel modo in cui è stata condotta la vigilanza. Non sono le riforme in generale, sono quelle riforme in particolare. È un dato di fatto che molti ascoltati economisti entrino ed escano dalle porte di governi e istituzioni finanziarie pubbliche e private con una facilità da fare impallidire la vulgata del marxismo-leninismo più gretto. All’interno di questo processo le sciocchezze cospirative o i serissimi conflitti di interesse contano rispettivamente nulla e poco. Conta invece un processo di cultivation, dove il modo di vedere le cose viene a essere influenzato dalla condivisione di determinati sistemi di relazioni o determinate problematiche. E conta il processo di messa in agenda: i problemi che hanno la priorità sono inevitabilmente influenzati dagli ambienti medesimi.
Scrive R. Rajam nel suo Fault Lines che esiste una sola differenza tra gli studenti con PhD o master in economia e finanza che sono finiti a lavorare nelle grandi banche d’affari e tutti gli altri. I primi erano i migliori. La domanda a mio avviso è quindi come diavolo sia stato possibile che in questi anni nel sistema finanziario si generassero soldi sufficienti ad assumere i migliori per metterli a creare titoli tossici e si pagassero consulenze alle migliori teste che pubblicano sulle principali riviste del settore. Se ci poniamo quella domanda forse il nodo da affrontare diventa diverso dai codici etici e dalla trasparenza. Lascio al lettore decidere quanto progresso sia stato fatto.
[1] Si tratta della più importante società di economisti a livello mondiale, sotto il cui nome si pubblica la più prestigiosa rivista di economia (American Economic Review) e organizzatrice del più importante “job market”: l’incontro annuale tra università e centri di ricerca da una parte e dall’altra i giovani, per lo più freschi di dottorato, che cercano lavoro.
[2]http://www.ofce.sciences-po.fr/pdf-articles/actu/cpresse12-03-28.pdf. Per una revisione del dibattito francese segnalo anche l’ultimo numero della review settimanale dei blog di economia di Bruegel, all’indirizzo http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/795-ethical-economists/.
[3] Il paper si trova qui: http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_201-250/WP239.pdf. Questo il testo della lettera http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/other_publication_types/AEA_letter_Jan3b.pdf.
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui