L’alternativa per Syriza è semplice: abbandonare l’euro, o la resa totale, rinunciando ad ogni pretesa di compromesso. Sperare di trovare una via di mezzo non è realistico
Le notizie incrociate che vengono da Bruxelles ed Atene non sono buone. Nonostante le dichiarazioni di facciata, le istituzioni europee si stanno preparando per la possibile uscita della Grecia dall’area euro, un fatto dato per più che probabile dall’industria finanziaria. Intanto Tsipras si barcamena come può, tra mancanza di liquidità, pagamenti in scadenza ed un partito in fibrillazione.
Quel che dobbiamo cercare di capire è il perché di questo showdown. Era chiaro fin dall’inizio che il nuovo governo di Syriza non avesse nessuna vera chance di rompere il ciclo dell’austerity, ma era forse lecito aspettarsi un poco più di flessibilità da parte delle istituzioni europee. Al contrario, tutti gli spazi di mediazione sono stati chiusi, prima da Berlino, poi da Francoforte, infine da Bruxelles. L’impressione è che si stia provando a spingere la Grecia verso l’uscita.
Perché? La risposta va cercata non solo e non tanto nella volontà di alcuni stati membri (tipo la Germania) e forse neanche nella rigidità ideologica di alcuni decision-makers.
Il motivo è piuttosto la rigidità istituzionale dell’Europa. La costruzione economico-politica su cui si basa l’euro è per molti versi simile a quella del Golden Standard: una moneta unica (come gli scambi ultra-fissi del GS) in cui l’equilibrio dei conti – e la credibilità dei governi e delle istituzioni monetarie – è la garanzia indispensabile per il funzionamento del sistema.
In un mondo del genere è quasi inevitabile che le crisi – e qualsiasi genere di squilibrio – vengano risolte dal lato dell’offerta: svalutazione interna (austerity più “riforme”) per guadagnare competitività, e scarico delle tensioni economiche sulla società: sul lavoro, ovviamente, ma in parte anche sul capitale “perdente”. Le alternative sono difficilmente praticabili. Una politica fiscale espansiva a livello nazionale non è concepibile perché la perdita di sovranità monetaria dei singoli stati rende il debito potenzialmente insostenibile. Una politica fiscale “federale”, così come una politica monetaria tradizionalmente “monetarista”, ha il difetto di scaricare su altri paesi il debito dei paesi in difficoltà e non è dunque gestibile in termini geopolitici.
Tale sistema economico prevede però, come ai tempi del Gold Standard, una totale insulazione dalle pressione democratiche. Non a caso le regole di bilancio erano la spina dorsale del Trattato di Maastricht, non a caso il six pack e il two pack, oltre i controlli preventivi sui bilanci pubblici, riducono ulteriormente la sovranità dei parlamenti nazionali.
L’Europa – e le sue regole – sono argomenti non contendibili nello spazio politico tradizionale, una cosa accettata da sempre dalle destre e sinistre cosiddette “di governo”. Il livello nazionale deve essere subordinato a quello comunitario, è l’unica maniera per mantenere la credibilità di questa UE e di evitare spinte centrifughe. La vittoria di Syriza ha rotto questa convenzione non scritta e rappresenta un potenziale vulnus per la compattezza della UE. Non va dimenticato che il Gold Standard si ruppe anche e soprattutto per l’emergere della democrazia e per le pressioni insostenibili contro l’ordine economico liberale. Ecco allora che mantenere l’ordine politico e punire “disciplinarmente” chi lo mette in discussione diviene più importante del preservare intatta l’area euro. In quest’ottica, il peccato maggiore di Tsipras non è tanto chiedere un allentamento dell’austerity, quanto rivendicare il proprio mandato elettorale come paritario con le regole UE.
L’alternativa, per Syriza, è quindi molto semplice: abbandonare l’Euro; o la resa totale, rinunciando ad ogni pretesa di riforma o compromesso che, data la natura della UE, diventa automaticamente eversiva. Sperare di trovare una via di mezzo, sperare di ottenere qualsiasi concessione, anche di facciata, dalla UE, non è realistico.
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