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Grecia, se la politica resta prigioniera della finanza

28/04/2010

Le proporzioni della crisi greca sono modeste in rapporto all'economia europea. Ma i tempi della finanza non coincidono con quelli della politica: in attesa delle elezioni tedesche, si è aperta una finestra speculativa "perfetta" per rovinare un paese e contagiare gli altri. Mentre l'Europa non riesce a liberarsi dall'ideologia che ha portato alla grande recessione

Si può guardare alla crisi finanziaria che investe in questi giorni la Grecia da almeno tre punti di vista diversi.

1. Un’evidente ignoranza delle (modeste) dimensioni del problema. La Grecia ha un Prodotto interno lordo (Pil) di 235 miliardi di euro nel 2009, che vale meno del 2% del totale dell’Unione europea e il 2,5% dell’area euro. Ha meno dell’1 per cento della produzione manifatturiera dell’Unione e un Pil procapite di 21 mila euro l’anno, contro 29 mila in Germania. Il debito pubblico totale è intorno ai 250 miliardi di euro, che lo porta al 115% del Pil, la stessa quota dell’Italia nel 2009. Il deficit pubblico si è impennato e nel 2010 potrebbe arrivare al 15% del Pil. Atene (e Roma) sono però in buona compagnia: l’ultimo World economic outlook del Fondo monetario mostra che l’insieme dei paesi avanzati (Usa inclusi) ha nel 2010 un rapporto deficit/Pil del 9% (contro poco più dell’1% prima della crisi del 2008) e un rapporto debito/Pil che è salito rapidamente al 100%. Gli effetti della crisi hanno fatto saltare ovunque i conti pubblici.

Il problema specifico della Grecia sta nell’assenza di risparmio privato interno che possa finanziare il debito pubblico. Quasi tutto il debito pubblico è detenuto dall’estero, circa 200 miliardi di euro, nelle mani soprattutto di investitori di Germania, Francia, Svizzera, Austria. Gli operatori privati hanno invece un sostanziale pareggio tra attività e passività con l’estero (intorno ai 112 miliardi di euro). Viceversa, l’Italia ha un debito pubblico verso l’estero di 800 miliardi di euro (quattro volte la Grecia), che rappresenta però circa la metà del debito pubblico totale, il resto è detenuto da italiani.

Dei 200 miliardi di euro di debito estero della Grecia, a breve (il 19 maggio prossimo) vengono a scadenza 9 miliardi di euro. Le dimensioni assolute della crisi risultano quindi modeste; rapportato all’economia italiana, è come se un comune come Torino non potesse pagare i debiti. Rapportato alle dimensioni dei mercati finanziari, i 9 miliardi di euro di debito in scadenza per Atene sono equivalenti a quanto le borse europee finanziano le imprese per emissioni di nuovi titoli in dieci giorni (considerando la media del febbraio 2010), e rappresentano poco più dell’1% dei movimenti di capitale in entrata nell’area euro del 2008 (dati dal Global financial stability report del Fondo monetario, aprile 2010). In ogni caso, l’Unione europea e il Fondo monetario hanno preparato un piano di finanziamenti agevolati di 45 miliardi di euro che potrebbe risolvere le difficoltà di Atene.

2. Una spettacolare asimmetria tra ciclo politico e ciclo economico

Il problema è che i tempi della finanza non coincidono con quelli della politica. L’Unione europea e l’eurozona non si sono date strutture per affrontare crisi di questo tipo e, senza un rapido sistema di decisione politica, la crisi greca è montata progressivamente nella distrazione dei politici: quando precipita, ci si trova alla vigilia delle elezioni regionali tedesche, che impongono al governo di Berlino una certa rigidità (più nella forma che nella sostanza) e – soprattutto – il rinvio della decisione sul finanziamento europeo al 10 maggio, dopo le elezioni. Si apre così una finestra speculativa “perfetta”, alimentata da un susseguirsi di dichiarazioni allarmiste e di vendite dei titoli greci sui mercati che alimentano in un circolo vizioso le aspettative di crisi finanziaria per Atene e per l’euro. Le voci discordi, i silenzi e i rinvii delle autorità politiche aggravano la spirale e martedi scorso Standard&Poor classifica i titoli di debito pubblico greco come “spazzatura”. Soltanto Paul Krugman, dalle colonne del New York Times, risponde con una durissima critica alla mancanza di credibilità delle agenzie di rating.

Proprio mentre Goldman Sachs è sotto inchiesta negli Stati uniti per la speculazione al ribasso sui mutui immobiliari che ha contribuito al crollo della finanza Usa, speculare contro i paesi “fragili” sul piano finanziario diventa una ghiotta occasione per nuovi profitti speculativi che possano risollevare un po’ i bilanci delle banche provate dalla crisi. La finanza inizia a guadagnare chiedendo tassi d’interesse più alti - per comprare i titoli di stato decennaili di Atene si chiede ora un rendimento di 7 punti percentuali più alto dei Bot tedeschi (due mesi fa era di quattro punti) -, scommette sul deprezzamento del valore dei titoli pubblici e addirittura sull’insolvibilità del governo di Atene, una replica della crisi argentina di qualche anno fa. A farne le spese – se non ci sarà un risveglio della politica - sono la Grecia oggi, domani Portogallo, Spagna e Irlanda, dopodomani l’Italia.

3. Uno strano braccio di ferro tra mercati finanziari e potere politico

Tutto questo si può leggere come un braccio di ferro tra i mercati finanziari e un potere politico frammentato tra Bruxelles, Francoforte, Washington, Berlino e poche altre capitali europee – non può non colpire l’assoluto silenzio di Roma. Mentre negli Usa il presidente Obama lancia la sua campagna per regolare e ridimensionare la finanza, l’Unione europea e l’eurozona – a un anno e mezzo dallo scoppio della crisi finanziaria – non parlano ancora di riforme per controllare il sistema finanziario. Colpita dalla crisi, ma salvata dai governi – ricordiamoci le nazionalizzazioni massicce delle banche di Gran Bretagna, Germania, Irlanda, Islanda e molti altri paesi, che sono alla radice dell’aumento dei deficit pubblici – la finanza ora addenta la mano pubblica che l’aveva sottratta al fallimento.

Il problema è che i governi – spesso nelle varianti sia di centro-destra che di centro-sinistra -, i politici, i responsabili delle autorità di controllo sono in molti casi gli stessi che avevano cavalcato la liberalizzazione della finanza e consentito la speculazione. Continuano a credere che sia bene lasciare i mercati di finanza e monete senza vincoli e tasse, sanno che i consigli di ammistrazione accolgono volentieri ex ministri e banchieri centrali e, in molti casi, provengono essi stessi da esperienze nelle banche d’investimento internazionali. La politica, insomma - nonostante il conto pesantissimo pagato alla crisi – sembra incapace di pensare ad assetti diversi dei rapporti tra bene comune e interessi privati, finanza ed economia reale, capitale e lavoro. Sembra ancora prigioniera della visione del mondo neoliberista e, a quanto pare, non se ne sono liberati nemmeno gli elettori dei paesi europei: il 6 maggio in Gran Bretagna a raccogliere più voti potrebbero essere i conservatori di David Cameron che promettono di ridurre subito l’intervento dello stato nell’economia.

Altri aspetti della crisi greca erano già stati analizzati mesi fa su sbilanciamoci.info in un articolo di Laura Bisio (Crisi del debito: oggi Atene, domani Roma?) e di Alberto Bagnai (Anche l'Europa ha i suoi stati subprime). Lezioni ulteriori di grande importanza riguardano i rapporti tra dinamiche dell’economia reale e squilibri finanziari, e l’ovvia questione di chi pagherà i costi della crisi. Per Atene, prima ci sono state le perdite di capacità produttiva, competitività e posti di lavoro, fino ad arrivare a essere il paese Ue che ha la quota più bassa di occupazione industriale. Ora arrivano i tagli per i dipendenti pubblici, i salari, i servizi, nell’impossibile tentativo di pareggiare i conti pubblici e di placare la speculazione creando povertà nel paese. Dall’esito della crisi di Atene si vedrà molto del futuro dell’Europa, e di quello che aspetta l’Italia.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
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Commenti

"Grecia, se la politica resta prigioniera della finanza" di Mario Pianta

Caro Pianta, ho letto il tuo articolo del 28/4 "Grecia, se la politica resta prigioniera della finanza".
Apprezzo lo sforzo di mettere a fuoco gli elementi che determinano l'anarchia del mercato finanziario.
Vorrei appuntarmi su uno dei maggiori: il ruolo delle Agenzie di rating che preparano il boccone che sarà poi digerito dalla speculazione.
Ho messo sul sito di GoPetition una proposta "Request to G20 for regulating the financial market". So già che le petizioni non risolvono i problemi... Tuttavia tra un mese si riunisce a Toronto il Summit del G20, cioè i venti Governi che si sono dati come compito quello di impedire che l'economia mondiale possa finire un'altra volta fagocitata da una crisi finanziaria seguita dalla recessione mondiale. C’è giusto il tempo sufficiente a far conoscere una petizione, che ti prego di far circolare.
http://www.gopetition.com/petitions/request-to-g20-for-regulating-the-financial-market.html

La trappola però c'è...

...scusa il tono forse un po' piccato.

Il fatto è che il problema della "trappola dell'emergenza" esiste. In effetti sono 52 anni che gli economisti dicono che la moneta unica europea non è una buona idea. Lo scrivo in una cosa che spero Roberta ritenga accettabile.

La trappola consiste nel fatto che le rigidità imposte dalla moneta unica creano squilibri nel settore reale (mercato del lavoro), ma si manifestano come crisi finanziarie. Nel momento dell'emergenza quello che si vede è il debito, e così è facile prendere in giro gli elettori. La finanza in qualche modo viene a valle di squilibri più profondi, ma drammatizzando più o meno ad arte il redde rationem si riesce sempre a evitare che questi vengano a galla. Per questo reputo profondamente reazionario, più del solito, non mettere le cose in prospettiva storica, errore che (lo vedo benissimo) tu non fai, ma nel quale mi pare che incappino in molto.

Volevo dirlo in 17000 caratteri, ho provato a dirlo in 9999, speriamo bene...

A.

Non sono in trappola

Caro Alberto, mi spiace averti urtato, non era nelle mie intenzioni.
Quanto al tuo invito a riflettere con calma posso però assicurati che le cose che ho detto sono ben meditate. E' da quasi vent'anni che penso che la moneta unica non sia stata una buona idea per le economie dei paesi europei e per la stessa idea europea, che è invece grande e nobile idea e che avrebbe meritato di meglio.

La trappola dell'emergenza

Caro Tommaso,

premesso che posso essere d'accordo con te sulla soluzione, e mi sembra di averlo detto, non mi va tantissimo di essere intrappolato nel ruolo dell'accademico che discetta di "temi alti e fondamentali" mentre la situazione precipita, e questo non per suscettibilità personale, ma perché credo che sia importante capire certi meccanismi in atto.

La drammatizzazione della crisi è una cosa che fa comodo [1] a chi la sta creando ad arte per trarne profitto, cioè i mercati finanziari attraverso le agenzie di rating, e [2] a chi vuole distogliere l'attenzione dalle cause dei problemi, cioè i politici che hanno messo l'Europa in questa situazione. Non mi sembra che né io né te apparteniamo a queste due categorie, quindi possiamo permetterci di riflettere con calma. Ti rinvio a un tema dominante della poetica di Edgar Allan Poe: nel momento del maggiore parossismo, i suoi eroi si salvano sempre mantenendo la lucidità. E questa crisi finanziaria non è il Maelstrom.

Aggiungo un punto di metodo: a chi vuole essere di sinistra conviene essere molto rigoroso, perché occorre dolorosamente ammettere che se il pensiero "di sinistra" ha perso rilevanza e dignità accademica non è solo per una congiura dei "poteri forti".

In questo caso, poi, occorrerebbe riflettere con rigore sulle cause, visto che sui rimedi siamo d'accordo, e scopriremmo delle cose interessanti. Ma questo, appunto, è un solo un post, e per una riflessione più articolata chiederò ospitalità in un luogo più adatto.

Lo spazio del post mi permette tuttavia di farti notare che l'uscita della Grecia determinerebbe una serie di problemi, per il semplice motivo che la Grecia NON è l'unico paese al quale NON conviene stare nell'euro, e quindi sarebbero in molti a chiedersi perché restare dentro. Ecco: quello sì che è un "effetto domino" possibile. E i possibili candidati a questo "domino" sono quelli che hanno avuto i differenziali di inflazione più alti con la Germania, ovviamente. Come dici tu, sarebbero solo i "meritevoli" a restare dentro... ma a cosa gli servirebbe?

Siamo al dunque?

Certo, Alberto, poni giusti e fondamentali problemi : se tutto può essere affidato al mercato ; con quali criteri si stabilisce qual'è un mercato che funziona ; le ragioni del crollo del sistema di Bretton Woods e cosa ci possono dire adesso...
Tutti temi "alti" e fondamentali. Ma ormai la situazione sembra precipitare e il problema è come affrontarla minimizzando disastri e sofferenze (abbiamo già tre morti in Grecia : tre morti per l'euro !!!).
Mi limito qui (è un post) a dire due cose :
1 - Questa crisi non è un "aspetto della crisi globale" : no, ce la siamo creata noi (europei) e noi ce la dobbiamo risolvere.
2 - Credo che la strategia migliore per affrontarla sia una strategia "soft" : non "resistenza ad oltranza" invocando "lacrime e sangue". Così nel caso della Grecia non prestiti e aiuti (a strangolarsi), ma un incoraggiamento benevolo ad uscire dall'euro (non è un disonore), a tornare ad una moneta propria ed a lasciarla liberamente fluttuare, a ridenominare il debito in questa moneta (il default non è necessario). Rassicurandola magari anche che potrà rientrare (bisognerebbe per questo cambiare le regole di Maastricht).
Poi far capire che questa "strategia" può essere estesa ad altri paesi che fossero attaccati dalla "speculazione" : con ciò attacchi ingiustificati potrebbero forse essere scoraggiati.
Insomma una "eutanasia" dell'euro : sopravviverà quel che merita di sopravvivere (se lo merita).

Un passo avanti...

La storia non mi era del tutto ignota, naturalmente, ma sono convinto anch'io dell'utilità di ricordarla ai più giovani (beati loro).

Traggo la sintesi.

La sintesi è che la risposta di Tommaso alla mia domanda se esista un motivo particolare perché in un mondo in cui tutti i prezzi devono essere flessibili solo quello della moneta nazionale in termini di moneta estera debba essere rigido è un sonoro: no.

Un punto metodologico è che (per motivi di spazio?) Tommaso non ci spiega in base a quali criteri seleziona i mercati che funzionano e quelli che non funzionano. Come si distingue il mercato buono da quello cattivo?

Qui inserisco un considerazione accessoria: bisognerebbe capire perché a sinistra ci sono tanti sostenitori del mercato, e se chi sostiene "il mercato" (inteso come capacità del sistema economico di raggiungere spontaneamente un equilibrio) possa essere considerato di sinistra. Personalmente ritengo che il discrimine fra destra e sinistra sia proprio questo, ma non allarghiamo il discorso... rischieremmo di capire come mai in molte circostanze l'Economist è "a sinistra" dell'Unità!

Un terzo punto è che per completare l'analisi storica bisognerebbe ricordare come mai si arrivò al 1971, perché le asimmetrie e le forze in opera allora sono quelle che in definitiva hanno portato anche alla crisi attuale.

In effetti non c'era solo la possibilità che ci pensassero LE banche centrali, Tommaso, questo non era quello che pensava Keynes, e nemmeno quello che pensava Triffin, sicuramente lo ricordi. Come e perché è stato costruito il sistema monetario attuale? Galbraith è simpatico, non lo nego, ma la traccia che le sue analisi para-sociologiche lasciano è (meritatamente) schiuma sull'acqua. Alla fine lui è (naturalizzato) americano, e come tutti gli americani non vede quello che non gli conviene vedere.

Sottolineo che non stiamo allargando troppo il discorso, perché come nota giustamente Mario stiamo parlando della Grecia a causa della crisi globale, della quale la Grecia è un epifenomeno. Oggi l'unica cosa "di sinistra" che si può dire su quello che sta succedendo è, secondo me, ribadire che è indispensabile attivare une riflessione costruttiva sulla riforma del sistema monetario internazionale.

Magari fra una riforma universitaria e l'altra troveremo il tempo di occuparci anche di questo...

P.S.: certo, i governatori delle banche centrali non sono dei tecnici, sono dei politici. La moneta non è un termostato, l'idea che possa essere gestita da una specie di idraulico, oltre che inquietante per chi ha contatto con certi artigiani nostrani, è anche intrinsecamente errata, come dimostra il fatto che i nostri governi "tecnici" sono stati governi politici, e come (basta guardare come hanno tagliato la spesa per l'università!). Ma la "colpa" di quanto sta accadendo in Grecia non è dei poveri governatori, perché un sistema insostenibile non può essere gestito in modo sostenibile. Un idraulico sul Titanic non avrebbe potuto fare molto (dopo la collisione), e nemmeno il comandante. La colpa è di chi ha disegnato questo sistema e ha "democraticamente" costretto i cittadini europei ad avallarlo.

Il "metro di valore" e chi lo stabilisce

In estrema sintesi la possiamo mettere così.
Fino al 1971 (regime di Bretton Woods) la moneta aveva un "metro di valore" assoluto, costituito dall'oro : una lira valeva 0,00142 grammi d'oro e 35 dollari un oncia d'oro.
Dopo il 1971 il "metro di valore" non poteva essere che relativo. L'unico concretamente disponibile, a cui si fece immediatamente e pragmaticamente ricorso, era il cambio : cioè il valore di una moneta era il suo valore rispetto ad un altra moneta.
A questo punto esistevano due possibilità per fissare questo metro di valore : o lo stabiliva un'Autorità (Governo o Banca Centrale) e abbiamo il regime di cambi fissi, o ci si affidava al mercato che lo stabiliva giorno per giorno - e abbiamo il regime di cambi flessibili.
Non sono un "ultrà" del mercato, tutt'altro : penso anzi che oggi il mondo sia pieno (e specie a sinistra, guarda un po'!) di accesi sostenitori di mercati fasulli o inesistenti (pensiamo all'energia o al trasporto ferroviario per esempio). Ma in questo caso (la moneta) il mercato c'è e funziona : quindi ritengo che la seconda opzione (mercato e cambi flessibili) sia senz'altro preferibile.
In Europa da circa trent'anni le Banche Centrali ed i loro Governatori fanno la politica economica, specie in Italia : i politici sono quasi sempre al traino, più o meno inconsapevoli.
A proposito dei Governatori delle Banche Centrali diceva Galbraith "...tale compito attira gente di modestissimo talento, protetta, in una professione eminentemente imperfetta, dal mistero che si ritiene avvolga le questioni dell'economia in genere e della moneta in particolare. Questa inadeguatezza è ulteriormente protetta dal fatto che non sono quasi mai i responsabili a pagare i costi dei fallimenti...nella gestione monetaria, come in genere in quella economica, il fallimento è una strategia personale spesso più remunerativa del successo..." (J.K.Galbraith, "La moneta", Monadori 1976, pg.355).
E infatti ci hanno cacciati in questo guaio ed ora dall'alto impongono "inevitabili" sacrifici ad un piccolo paese, ai suoi sindacati, ai pensionati.
Ma, mi direte, la moneta unica è un progetto "politico", non ha senso prendersela con i Governatori delle Banche Centrali che sono solo dei "tecnici". Non credo sia stato così, ma mi fermo qui.
Però in coclusione ritengo fermamente che sia meglio che il valore del cambio sia stabilito dal mercato.

Flexibility

...e in effetti: non è strano, e quindi un po' sospetto, che in un mondo che fa della flessibilità la sua bandiera, l'unica rigidità debba essere quella del cambio? Cosa distingue il prezzo di una moneta in termini di un altra dal prezzo di altri beni e servizi, qual è la sua differenza ontologica tale da richiederne la fissità, in un mondo nel quale tutto il resto (quello che mangiamo, beviamo, respiriamo, leggiamo, ecc.) e quanto costa deve essere "flessibilmente" determinato dal mercato?

Se il mercato è così bravo, determini anche il prezzo della moneta: in fondo, se i fondamentali sono tali da garantire un andamento stabile del cambio, il mercato convergerà verso quel livello, e se invece non sono tali, chi vorrà opporsi ai mercati? Domine, quis sustinebit?

Ma se invece il mercato non è così bravo, allora parliamone...

Crisi precedenti e cambi flessibili

Il quesito posto da Bagnai mi sembra centrato : che vuol dire convergenza? Convergenza nei tassi di inflazione? E il rispetto delle regole di Maastricht l'avrebbe assicurata?
Fuori centro mi sembra invece la citazione degli esempi delle precedenti crisi finanziarie fatta dal Prof. Pianta. Mi sembra che dimostrino proprio il contrario. Nei paesi asiatici nel '98 e in Russia, in Brasile e in Argentina negli anni successivi il copione è stato assai simile. Tutti questi paesi si erano dati una regola di cambio fisso (col dollaro in genere) : tutti gli effetti negativi citati da Pianta (fuga di capitali, panico sui mercati, depressione) si sono manifestati mentre questi paesi tentavano disperatamente e inutilmente di "tenere" la regola di cambio. Quandi l'hanno abbandonata e sono passati a cambi flessibili, la situazione è rapidamente migliorata.
La lezione è stata, credo, efficace. Nessuno di questi paesi pensa e penserà mai di tornare ad un cambio fisso.
La nuova moneta, nata il 15 agosto del 1971 dalle ceneri di Bretton Woods, si basa sui cambi flessibili. Cambi flessibili che funzionano e bene. Sono il progresso in materia di moneta.

da sempre una morale seria, per ora la grecia

Gent.mo Prof. Dott. Mario Pianta,
bell’articolo e dotto, molto tecnico, forse è meglio dire accademico (world economic outlook).
L’impronta della cattedra ne informa di sé i vari passi e li rende pregievoli.
Quel che difetta, nell’ottica di chi non è uso di frequenza del mondo cattedratico, è la ricerca delle cause prime “imponenti” poi il necessario “soccorso” al disastro per ora solo ellenico.
Manca inoltre un’escussione, sintetica quanto basta, dei rimedi possibili e ciò affinché gli europei non debbano assistere impotenti allo “svanire” dei loro risparmi per cause “terze”, altre dagli investimenti per il futuro loro e dei loro figli.
In definitiva difetta una stretta analisi “morale” della situazione pregressa da porre alla base di una, a questa successiva, rigorosa analisi politica.
Oggi per molti, ben lo sa il mondo accademico, è invalso l’uso del vivere nel lusso ben al di sopra dei “frutti” della loro opera. Quel che si afferma è: qualcuno pagherà. Non importa certo chi e non importa certo come! (Ici, tassa patrimoniale sulla casa, in specie la prima!).
È un esatto ri-verificarsi di quei corsi e ricorsi storici enunciati a suo tempo dal Vico. Si esplicita ogni giorno di più il ritorno alle prassi feudali del “polveratico” d’altri tempi. Si afferma, ormai neppure tanto velatamente: Io debbo, gli altri paghino pure.
Chi scrive viene dal contado ove vigeva la legge non scritta ma molto praticata: “Vivi di quel che produci” e molti, in aggiunta, erano soggetti alla regola: “lavora per due e mangia per uno!”.
Un mondo, quello del contado, altro dall’odierno mondo “nobile” nelle sue varie accezioni, un mondo, questo nobile, in cui fan premio e diritto: l’appartenenza e la combriccola.
Tornando alla Grecia, ma anche all’Italia, pongo qualche domanda: come sono stati possibili questi debiti enormi? In quale periodo sono stati generati? Dove sono finiti quei soldi? Come fu mai possibile, essendo arcinoti: e prassi dilapidatorie e debiti accumulati, che le nazioni mediterranee dell’Europa fossero accolte nell’Euro? Quale era il fine mai detto dell’operazione? Quale, nel consesso europeo, il destino di queste nazioni?
Nello specifico italiano (dopodomani lei dice) come si concilia la situazione economica a rischio, col continuo generarsi di debiti locali dalle dimensioni da bilancio statale?
È invalso il dire: “Non sono moralista”, ma è sicuramente immorale (delittuoso?) pretendere che altri paghino i miei debiti per i miei lussi!!! Ed è altrettanto immorale tacere quando prassi perniciose avviano la nazione verso l’orrido del baratro!!!
L’articolo dice: “Creando povertà nel paese”! Ma su cosa si fonda l’attuale ricchezza degli attuali non poveri?
Quello che lei non cita è l’effetto dirompente (uno Tsunami economico?) dell’entrata nel mercato globale di potenze operaie ed intellettuali delle dimensioni della Cina, dell’India, del Brasile! Potenze prive di ogni, qualsivoglia protezione sociale che non sia la polizia politica ed il laogai!
Quello che lei non cita è la situazione cubana, quello si un paese costretto dalla dittatura a vivere dei suoi soli mezzi e per questo tornato alla carestia dell’agricoltura contadina dei secoli scorsi: quella fondata sul bue, unico “motore” del contado d’allora!
Quando le soluzioni politiche sono “crocifissione” del proprio popolo!
È acclarato che il “venir meno” di una proficua morale sociale condivisa da tutti opera un vulnus alla democrazia, ne corrode le istituzioni ed avvia il “paese” alla dittatura, con risultati conclusivi orripilanti, purtroppo ancora oggi prassi presso troppi popoli (anche fosse uno solo sarebbe uno di troppo, ma così non è)!
Amenità
Bene.sommo@gmail.com

Convergenza?

Caro Mario,

qui invece non ti seguo. Che vuol dire "non c'è stata convergenza"? Perché avrebbe dovuto esserci? Inutile che ci giriamo in tondo: come ho avuto modo di dirti in una comunicazione privata, se l'area euro non è una zona monetaria ottimale, l'area euro non è una zona monetaria ottimale. Punto e a capo. Questo significa che tensioni, crisi, necessità di aggiustamenti a base di mobilità dei fattori di produzione e di flessibilità delle loro remunerazioni saranno SEMPRE all'ordine del giorno.

Ricordo ai nostri lettori che i fattori di produzione sono due, capitale e lavoro, e che uno dei due ha più mezzi per difendersi dell'altro.

Visto che leggiamo la stampa estera, ricordiamoci che uno degli ultimi Economist dava come fatto assodato e scontato quello che in effetti è un fatto assodato e scontato (anche se gli economisti non devono dirlo), cioè che QUESTA Europa è stata costruita a beneficio di uno dei suoi partecipanti. Indovinate chi? (suggerimento: non la Grecia).

Alberto

la Grecia (e gli altri)

Grazie per i commenti.

Sulle dimensioni delle difficoltà greche, Maureen Dowd sull'Herald Tribune de 29 aprile ricordava che i profitti di Goldman Sachs nel 2009 sono stati 13 miliardi di dollari, superiori ai 9 miliardi di euro che servono ora alla Grecia. I bonus del presidente di Goldman sono stati di 9 milioni di dollari.

Non credo che l'uscita dall'euro della Grecia risolverebbe i problemi. Come hanno mostrato le crisi finanziarie degli anni '80 e '90 in America latina e Asia, una moneta autonoma e debole non porterebbe a una svalutazione "fisiologica" che aiuti la competitività del paese facendo crescere l'export, ma a un attacco speculativo contro la moneta stessa (oltre che contro i titoli di debito pubblico), una massiccia fuga di capitali dal paese, un precipitare della valuta e effetti drammatici di crisi finanziaria e depressione dell'economia reale. L'Argentina insegna.
Il problema è che nell'integrazione europea la Grecia ha perso capacità produttiva (a favore dell'export tedesco) e non c'è stata alcuna convergenza nell'economia reale in termini di investimenti, produttività, export, etc.

Questo è lo stesso problema che caratterizza Portogallo, Spagna e Italia (e altre periferie europee) ed è, a mio avviso, la radice della vulnerabilità alla speculazione finanziaria. Possiamo aspettarci altre offensive della finanza contro questi paesi.

Grecia, qual è il problema

D'accordo, le dimensioni finanziarie del problema sono modeste ed affrontabili. Ma il problema vero non è tanto il defict pubblico o il debito, il problema è che l'euro oggi per la Grecia è una moneta "straniera" e sopravvalutata : e la vita con una moneta sopravvalutata è una vita grama e alla fine insostenibile. La Grecia deve svalutare e quindi uscire dall'euro, tornare ad una sua moneta che fluttui del tutto liberamente e ridenominare il suo debito in questa nuova moneta (il che è assai meglio del default per i Greci ed anche per i detentori stranieri del debito). Così, alleggerita nel debito e con la bilancia commerciale in rapido miglioramento, la Grecia non avrebbe bisogno di anni di lacrime e sangue. Non stracciatevi le vesti, prego : se ci pensate un momento è quanto ha fatto in buona sostanza lo scorso anno l'Inghilterra, che non ha il "privilegio" di appartenere all'eurozona, silenziosamente e senza che nessuno avesse nulla da ridire.

In economia le dimensioni contano

Caro Mario,

molto di corsa, un grazie di cuore per il punto 1. Cerchiamo intanto di tornare al buon senso. Ieri una radio mi ha chiesto un parere su questa triste storia. Si preoccupavano del fatto che le banche italiane sono esposte per 5 miliardi con la Grecia (avrò capito bene?). Mi è venuto da rispondere che è meno dello 0.5% del Pil italiano (cioè probabilmente meno di quello che certe banche raccolgono attraverso voci misteriose dei nostri estratti conto, tipo "spese generali"!).

Alberto

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