Tre volte su quattro la BCE sull’economia dell’eurozona ha sbagliato le previsioni. Il governo italiano prevedeva per il 2012 una crescita dello 0,6% e oggi siamo a un calo superiore al 2%. Dietro ai numeri, a essere sbagliato è il modo di pensare l’economia
A fine anno è inevitabile fare consuntivi e previsioni. Confrontare quello che ci si aspettava accadesse e quello che in realtà è successo. E scrutare quello che potrà succedere nei prossimi mesi. Quando si tratta di economia, delle valutazioni su come andrà la crescita, si tratta di una cosa molto seria, perché da queste valutazioni dipendono le scelte d’investimento delle imprese, le politiche dei governi, le possibilità di trovare lavoro per le persone. Non a caso ci sono molte centinaia di persone nei paesi avanzati che si occupano di fare previsioni economiche. Un compito tanto più delicato quanto più incerti sono i tempi.
Vediamo allora che cosa avevano previsto – e che cosa è successo davvero – nell’economia italiana ed europea, ancora segnata dalla crisi. Nel 2012 – i dati definitivi non sono ovviamente ancora disponibili – il Pil italiano viene stimato, secondo le ultime valutazioni, in calo del 2,4% dal governo (nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012 – settembre 2012), in calo del 2,3% dall’Istat (prospettive per l’economia italiana, novembre 2012), in calo del 2,3% dalla Commissione europea (autumn forecast), in calo del 2,3% dal Fondo monetario internazionale (World Economic Outlook – ottobre 2012 - Projections).
Vediamo le stime di un anno fa: a fine 2011 le stime erano di una crescita dello 0,6% per il governo (Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2011 – settembre 2011), di un aumento dello 0,1 % per la Commissione europea (previsioni di autunno), di un calo dello 0,3% dal Fondo monetario internazionale (World Economic Outlook – settembre 2011 - Projections).
È evidente l’ottimismo strumentale sbandierato da Mario Monti, ma il suo governo non è stato l’unico a sbagliare i conti sulla crescita del paese. In Germania, dove il Pil 2012 dovrebbe avere una crescita inferiore all’1%, la Bundesbank prevedeva a giugno 2011 una crescita dell’1,8%. Lo stesso vale per il 2013, dove ora a Francoforte ci si aspetta una crescita dello 0,5%, mentre un anno fa l’ottimismo portava a prevedere l’1,8%.
Facciamo i conti sugli anni 2009-2011, su cui abbiamo i dati definitivi, e confrontiamoli con le stime che la Bundesbank ha fatto a giugno e dicembre di ogni anno, pubblicate nei suoi comunicati stampa. Nelle 13 stime effettuate tra dicembre 2008 e dicembre 2011 relative ai tre anni, per 10 volte le stime sono state lontane dai risultati più di 0,4 punti percentuali, e soltanto tre volte la stima è stata sostanzialmente azzeccata (0,3 punti percentuali di scarto, o meno); tra queste comprendiamo anche la stima effettuata a dicembre sull’anno quasi concluso: molto difficile sbagliare a quel punto, ma a Francoforte ci sono riusciti (nel 2010). In che direzione si sbaglia? Nel 2009 si sottovalutava la gravità della recessione, dopo si sottovalutava la crescita tedesca (ai danni del resto d’Europa).
Veniamo all’eurozona nel suo insieme, con le previsioni macroeconomiche dello staff della Banca Centrale Europea (Bce), rese note dal presidente nelle periodiche conferenze stampa. A Francoforte fanno previsioni ogni tre mesi (marzo, giugno, settembre, dicembre) e, per stare sul sicuro, offrono una forbice tra stima minima e stima massima. Prendiamola alla lontana – prima dell’era Draghi – consideriamo le previsioni sugli anni 2004-2011 effettuate dal giugno 2004. Su un totale di 61 stime, 46 si sono rivelate non corrette – il dato a consuntivo è al di fuori della forbice tra il massimo e il minimo previsto – e solo 15 giuste: tre volte su quattro le previsioni dello staff di Francoforte sbagliano. Teniamo conto che la forbice delle stime può essere molto ampia, ad esempio due anni fa, a dicembre 2010, le previsioni fatte per il 2012 erano al minimo una crescita dello 0,6% e al massimo una crescita del 2,8%. Anche senza il dato definitivo per il 2012, già sappiamo che erano completamente fuori bersaglio: l’eurozona quest’anno ha una caduta del Pil, ma soltanto a settembre scorso la stima “ottimistica” della Bce è scesa sotto lo zero.
In che direzione sbaglia la Bce? C’è un errore sistematico: in tempi “buoni”, tra 2005 e 2007, prima della crisi del 2008, la forbice prevista restava al di sotto dei dati definitivi: troppo pessimismo. Poi la Bce non vede arrivare la crisi finanziaria del 2008 e la grave recessione del 2009 (il Pil cadde del 4,4% nell’eurozona, un anno prima la Bce prevedeva una forbice tra 0 e -1%). Il pessimismo si trasferisce sul 2010 proprio quando l’Europa (grazie all’aumento di spesa pubblica) registra una “ripresina” e tutte le previsioni – anche quella di dicembre – relative a quell’anno sottostimano la crescita del 2% che si è poi effettivamente verificata. L’immagine si rovescia negli anni della crisi del debito pubblico, il 2011 e il 2012, quando a Francoforte domina l’ottimismo sui buoni risultati che si possono attendere dalle politiche di austerità; ancora un anno fa la forbice prevista dalla Bce per il 2012 era tra lo -0,4% e l’1%; la caduta del Pil dell’eurozona sarà probabilmente peggiore. E per l’anno prossimo? La Bce oggi offre per il 2013 una forbice tra -0,9% e 0,3%, un moderato pessimismo, che potrebbe rivelarsi un nuovo abbaglio.
Era inevitabile sbagliare così tanto come hanno fatto a Francoforte? Vediamo le previsioni sull’eurozona di altre organizzazioni internazionali. L’Ocse – che pubblica previsioni a giugno e dicembre – relativamente agli anni tra 2010 e 2012 sbaglia (distanza oltre 0,4 punti percentuali) le stime fatte un anno prima e si avvicina ai dati effettivi nella stima del mese di dicembre sull’anno in corso; anch’essa sottovaluta la “ripresina” del 2010 e non vede la recessione di 2011 e 2012. Per il 2012 oggi la previsione è di una caduta dello 0,4%. Per il 2013 si prevede un lieve calo dello 0,1%.
L’unico osservatore con previsioni in prevalenza precise è il Fondo monetario internazionale. Se consideriamo le stime fatte a ottobre e ad aprile dal 2009 a oggi, relative agli anni 2009-2012, troviamo un 80% di previsioni azzeccate (scarto di 0,3 punti percentuali o meno). Per il 2012 ora si prevede un calo dello 0,4%, azzeccato a partire da gennaio 2012, ma per tutto il 2011 anche a Washington le previsioni erano di un roseo ottimismo e non riuscivano ad anticipare la recessione. Per il 2013? Il Fondo qui è più ottimista dell’Ocse, nella stima pubblicata a ottobre si prevede un +0,2%, molto ridimensionato rispetto alle previsioni più vecchie.
Che lezioni trarre da questi numeri? La crisi ha mostrato quanto fossero errate le premesse e le relazioni che sono al centro della teoria economica dominante. È questa visione distorta che ha portato a politiche economiche che si sono rivelate disastrose. Ma quelle stesse premesse e relazioni sono incorporate nei modelli usati dalle grandi organizzazioni che pubblicano previsioni economiche.
L’ideologia acceca i politici quanto i previsori. L’evidenza più recente è stata la sottostima degli effetti negativi che le politiche di austerità imposte dall’Europa hanno avuto sulla domanda e sul reddito. Alla Bce come alla Bundesbank, all’Ocse come nel governo Monti, ci si aspettava che i tagli del 2011 e 2012 nei paesi della “periferia” europea avessero effetti modesti. Così non è stato e la recessione ha investito quest’anno l’insieme dell’eurozona. Questa volta a dimostrarlo sono anche gli studi del Fondo monetario (tra questi What Determines Government Spending Multipliers? di Giancarlo Corsetti, Andre Meier e Gernot Müller, ma anche le analisi del World Economic Outlook di ottobre 2012) che hanno mostrato come i tagli di spesa pubblica abbiano effetti di riduzione del reddito superiori a quelli previsti dai modelli dominanti.
Ma, fuori da Bce, Ocse e governi, ci sono migliaia di economisti europei che non hanno mai creduto ai dogmi del mercato e alle virtù dell’austerità, e hanno argomentato la necessità di cambiare politiche. L’analisi più recente è l’Euromemorandum 2013 – lanciato la scorsa settimana con l’adesione di quasi 400 economisti.
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