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Draghi salva le zombie banks

06/03/2015

Crack 2.0/Il quantitative easing è considerato la panacea dei mali europei, ma in realtà non risolve nulla

Questo mese la Bce darà il via al tanto atteso programma di quantitative easing (QE), che prevede acquisti di titoli – in buona parte pubblici ma non solo – per 60 miliardi di euro al mese. Complessivamente, il piano prevede acquisti per 1 trilione di euro circa fino a settembre 2016 e comunque fino a quando l’inflazione non tornerà a livelli ritenuti coerenti con gli obiettivi della Bce. La notizia è stata accolta con entusiasmo da molti commentatori, secondo cui il QE rappresenterebbe l’“arma nucleare” – troppo a lungo rinviata – capace di rimettere in moto l’economia del continente. Come ha scritto di recente Eugenio Scalfari, il QE farà “tirare un respiro di sollievo” a tutta l’Europa e “può sbloccare il credit crunch che ancora affligge molti paesi dell’eurozona”. Purtroppo l’esperienza di quei paesi che in questi anni hanno fatto ricorso a dosi massicce di “alleggerimento quantitativo” – principalmente Stati Uniti, Regno Unito e Giappone – non parrebbe giustificare tale ottimismo, e anzi farebbe presagire che il programma non avrà alcun impatto significativo sull’economia reale. Nonostante i paesi succitati abbiano immesso sul mercato fiumi di liquidità ben più consistenti di quelli previsti dalla Bce, infatti, solo una piccolissima parte di quella liquidità è “sgocciolata” nell’economia reale, e di quella minima parte il grosso è finito nelle tasche di chi ne aveva meno bisogno. Il motivo è semplice: il QE consiste nell’iniettare liquidità nelle banche, nella speranza che quella liquidità si traduca poi in credito per le famiglie e per le imprese; ma in un contesto in cui la domanda e la crescita ristagnano – e dunque le prospettive di guadagno offerte dall’economia reale sono misere – da un lato le banche sono riluttanti a investire e a concedere prestiti, a prescindere dalle flebo delle banche centrali, e dall’altro le famiglie e le imprese sono poco inclini ad indebitarsi. E infatti l’esperienza statunitense dimostra che a beneficiare del rilassamento delle condizioni di credito sono state soprattutto famiglie e imprese che già godevano di un ottimo credit rating presso le banche, piuttosto che le famiglie di reddito medio-basso più colpite dalla crisi. In questo senso, il quantitative easing appare decisamente debole come strumento di sostegno alla domanda aggregata. D’altronde basta guardare alla storia recente: è dall’inizio della crisi che la Bce continua a immettere liquidità a palate nelle banche, senza che questo abbia apportato alcun beneficio per la maggior parte delle famiglie e delle imprese del continente, come sappiamo bene. Questo perché, come insegnava Keynes, in una situazione in cui il problema principale è la stagnazione della domanda, le politiche monetarie – per quanto espansive – non sono sufficienti a rimettere in moto l’economia; servono politiche fiscali altrettanto espansive, che immettano denaro direttamente nell’economia reale. Se guardiamo agli Stati Uniti, per esempio, vediamo che l’elemento cruciale per la ripresa economica non è stata la politica monetaria ma la politica fiscale, ovvero la spesa pubblica. Laddove l’Europa, a partire dal 2010, si è imbarcata in una politica suicida di restrizione fiscale estrema, gli Usa hanno continuato a mantenere un livello di deficit cumulativamente ben due volte superiore a quello europeo, ed equivalente ad un deficit maggiore a quello dell’area euro in media di 5 punti di Pil all’anno, dal 2009 ad oggi. È in questo che risiede, in buona parte, il “segreto” della ripresa statunitense. Ben diverso è il piano concepito da Draghi, che si inserisce nella stessa logica delle politiche fallimentari pervicacemente perseguite in questi anni: politiche monetarie espansive, riforme strutturali e politiche fiscali restrittive. Viene da chiedersi: ma allora a cosa serve allora il quantitative easing, almeno nella sua variante europea? Secondo Ashoka Mody, analista dell’istituto Bruegel, si tratterebbe dell’ennesimo salvataggio a favore delle banche dell’eurozona. Come spiega Mody, l’espansione del bilancio della Bce dal 2008 in poi ha avuto unicamente lo scopo di tenere a galla molti istituti finanziari che erano di fatto insolventi o quasi. Ecco come: prima della crisi le banche dei paesi del “centro” (in particolare Francia e Germania) hanno accumulato un’enorme esposizione nei confronti delle banche della periferia. A partire dal 2011, poi, le banche del centro hanno cominciato a chiedere indietro i loro soldi, ma molte banche della periferia erano sull’orlo del fallimento e non erano assolutamente in grado di onorare i loro debiti (se fossero crollate avrebbe trascinato giù con sé molte banche del centro). A quel punto è intervenuta la Bce: attraverso il sistema Target2, che regola i pagamenti tra le varie banche centrali dell’eurozona, le banche centrali dei paesi del centro hanno prestato alle banche centrali dei paesi della periferia i fondi necessari per tenere in vita le loro banche private, affinché queste potessero rimborsare i debiti che avevano nei confronti delle banche private dei paesi del centro. Di fatto, si è trattato di un vero e proprio bailout (del valore di circa 2 trilioni di euro) a favore delle banche del centro e in particolare della Germania. Negli ultimi anni le banche della periferia hanno iniziato pian piano ad appianare i loro debiti nei confronti della Bce ma molte di esse continuano a presentare seri problemi di viabilità e di solvibilità e a necessitare del sostegno della Bce. Questo lo scopo principale del quantitative easing, secondo Mody: continuare a tenere in piedi le zombie banks dell’eurozona, migliorandone un po’ lo stato patrimoniale, visto che i titoli pubblici che hanno in pancia aumenterebbero di valore. Se è corretta l’analisi di Mody, si tratterebbe dell’ennesimo episodio in cui gli interessi dell’oligarchia finanziaria vengono anteposti a quelli dei cittadini, a conferma del fatto che le politiche monetarie sono sempre più rivolte ai mercati finanziari che all’economia reale. In questo senso è impossibile non cogliere un nesso tra la mossa di Draghi e la recente decisione della Federal Reserve di portare a termine il suo programma di quantitative easing. Come scrive l’economista Christian Marazzi: “Questo dimostra che i mercati finanziari possono continuare a funzionare a una sola condizione, e cioè che lo stato intervenga, e continui a intervenire attivamente in loro sostegno con misure di politica monetaria non convenzionale”. Se l’impatto del quantitative easing sull’economia reale è molto modesto, infatti, diverso è il caso del suo impatto sui mercati finanziari: aumentando la domanda di titoli e asset (sia pubblici che privati), il QE contribuisce ad aumentarne il valore (e di conseguenza il patrimonio di chi li possiede, che poi sono gli stessi che operano con maggiore dimestichezza sui mercati finanziari). E infatti il valore dei principali indici di borsa statunitensi è oggi molto vicino – se non addirittura significativamente superiore – a quello del picco pre-crisi, sintomo di una nuova bolla in corso. Un fatto che ha ricadute molto negative anche sui livelli di disuguaglianza.

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Commenti

E' Draghi il primo responsabile

E' Draghi il primo responsabile del perdurare della depressione economica italiana. In sostanza, il Consiglio direttivo della BCE, costituito da 24 membri, in gran parte governatori delle banche centrali dell’Eurozona, cioè da funzionari pubblici pagati lautamente dalla collettività europea, per ubbidire al veto della egemone Germania, ha disatteso il suo statuto (art. 2) e ha mancato e sta mancando entrambi gli obiettivi, sia quello principale di tenere l’inflazione poco sotto il 2%, sia quello subordinato (fu deciso che fosse tale per imposizione della Germania) di sostenere una “crescita equilibrata” e la “piena occupazione”.

1. Gli unici acquisti di titoli pubblici li ha fatti finora Trichet, per quattro volte, nel 2010 e 2011, acquistando “titoli pubblici greci, irlandesi [e portoghesi] nel 2010, poi i titoli di Stato italiani e spagnoli nell’agosto del 2011” (cfr. articolo del Corriere allegato nel post linkato in fondo).

Proposta sulla sterilizzazione sulle cedole dei titoli di Stato italiani acquistati dalla BCE tramite il SMP
di Antonio Forte
http://antonioforte.xoom.it/propostainteressiSMPAntonioForte.pdf

Nel 2010, acquisti di titoli di Stato greci, irlandesi e portoghesi; da agosto 2011 a gennaio 2012, di titoli italiani e spagnoli.
Paese Valore nominale Valore di libro Maturità
(mld) (mld) (anni)
Irlanda 14,2 13,6 4,6
Grecia 33,9 30.8 3,6
Spagna 44,3 43,7 4,1
Italia 102,8 99,0 4,5
Portogallo 22,8 21,6 3,9
Totale 218,0 208,7 4,3
http://antonioforte.xoom.it/propostainteressiSMPAntonioForte.pdf

2. Il QE è tardivo e insufficiente, a) tant’è vero che Draghi ha detto che potrà continuare se occorrerà; b) l’ex governatore della Banca di Cipro ed ex membro del Consiglio direttivo della BCE, Athanasios Orphanides, ha criticato gli aspetti qualitativo e quantitativo del QE (prima che venisse varato): secondo lui, dato il ritardo, servirebbero almeno 2.000 mld (cfr. intervista a Repubblica, ibidem); e c) altri pensano che servano 3.000 mld (ma in altro modo, v. proposta Prodi-Quadrio Curzio degli EuroUnionBond, garantiti da collaterali).

3) Non sposta debito dal Tesoro alla BCE, ma dalle banche alla BCE.

4) L’aumento della quantità monetaria solo per la teoria monetarista fa aumentare l’inflazione; per quella keynesiana è solo l’aumento del reddito disponibile e della domanda aggregata che è in grado di farlo, per cui gran parte dei commentatori sono scettici sull’efficacia del QE come misura capace non soltanto di portarci fuori dalla crisi, ma di aumentare l’inflazione; va integrata con un’adeguata politica fiscale (taglio di tasse e, soprattutto dato il moltiplicatore, aumento di spesa pubblica), ma questo deve essere opera degli Stati e, soprattutto, dell’UE, che impone le sue regole stupide.

5) Infine – e soprattutto – la BCE sta disattendendo da tempo entrambi i suoi obiettivi statutari (art. 2): sia quello principale della stabilità dei prezzi (tasso d’inflazione “sotto, ma vicino, al 2%”), e ciò discrimina doppiamente i Piigs (tra cui l’Italia), o perché Paesi debitori o/e perché in recessione o stagnazione, rispetto ai Paesi creditori (Germania e satelliti), sia quello secondario (fu deciso che fosse tale per imposizione della Germania), che Draghi (e l’UE) non ha mai menzionato in ben 4 anni da quando è presidente!, di sostenere una “crescita economica equilibrata” e la “piena occupazione”, cfr. Statuto BCE e art. 3 TFUE, ibidem)), con gravi conseguenze sulla vita e il benessere dei popoli europei al cui servizio teoricamente essa opera.

“Allegato alla Petizione al Parlamento europeo: la Bce non rispetta il suo statuto”
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2821720.html

Oggi manca una politica fiscale, perchè prendersela con Draghi?

Sono d'accordo: le politiche monetarie non sono sufficienti per far crescere l'occupazione.
Per questo servirebbero politiche fiscali espansive.
Ma proprio Minsky ci ha insegnato che le politiche monetarie espansive sono necessarie affinché la stagnazione non si trasformi in una tragedia.
E allora perchè prendersela con Draghi che fa quello che deve?
Non sarebbe invece il caso di prendere di mira i balbettii dei governi nazionali e la bufala del piano Juncker?
E lanciare con forza una campagna per un "new deal" europeo, meglio ancora se orientato alla riconversione ecologica della
economia europea.

eccesso di zelo

D'accordo su quasi tutto, ma non bisogna farsi tradire dall' eccesso di zelo. "si tratterebbe dell’ennesimo episodio in cui gli interessi dell’oligarchia finanziaria vengono anteposti a quelli dei cittadini". Siamo sicuri che il fallimento delle banche (compresa quella presso la quale hanno depositato i loro sudati risparmi) sia nell'intersse dei cittadini?

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