Anche in Cina assistiamo alla crescita ipertrofica di una finanza fine a se stessa e a un eccesso di liquidità dirottato da consumi e investimenti verso fini meramente speculativi
Circa 3.000 miliardi di dollari in tre settimane, il doppio del PIL italiano. E' questa la perdita registrata nelle Borse cinesi negli ultimi giorni. Sulle 2.800 imprese quotate a Shanghai e Shenzen, 1.300 – il 45% del totale – hanno bloccato le contrattazioni o sono state sospese dai listini.1
Un crollo del 30% rispetto al picco massimo dello scorso 12 giugno, e più in generale dopo un periodo quasi ininterrotto di crescita durato anni, e che nell'ultimo periodo si era trasformato in una vera e propria esplosione. Al 6 luglio l'indice di Shenzen segnava comunque un +36% dall'inizio del 2015, anche se un mese prima il guadagno era stato del 122% in sei mesi e del 150% in un anno. In altre parole, da un lato è presto per definirla una vera e propria crisi finanziaria, ma dall'altro non si può parlare di una semplice correzione dei corsi azionari.2
Di fatto, gran parte delle quotazioni azionarie erano al di fuori di qualsiasi fondamentale economico. Uno dei principali indicatori finanziari è il rapporto P/E (Price / Earnings). Semplificando, il rapporto tra la quotazione di un titolo e gli utili che genera. Si stima solitamente che un valore “corretto” del P/E sia intorno a 15 (chiaramente il dato dipende da diversi fattori). A fine giugno il valore medio a Wall Street era 21,2, quello sulle Borse cinesi un incredibile 85.
Negli ultimi giorni lo Stato ha messo in piedi una serie di iniziative per arginare il crollo e per evitare il diffondersi di una crisi di panico: dalla costituzione di un fondo per fornire liquidità al mercato all'acquisto diretto di azioni delle grandi imprese fino al taglio dei tassi di riferimento e ad altre ancora. Misure che ad oggi non sembrano avere dato i risultati sperati.
Proprio la necessità di arginare il panico che sembra diffondersi in particolare tra i piccoli investitori sembra oggi l'obiettivo principale delle autorità. La Cina ha intrapreso una profonda trasformazione della propria economia, cercando di passare dall'essere la “fabbrica del mondo” con una produzione prevalentemente orientata all'export, a un sistema maggiormente rivolto ai consumi e alla domanda interna. Una trasformazione che ha subito una forte accelerazione dopo lo scoppio della bolla dei subprime, quando le esportazioni hanno subito un brusco rallentamento a seguito della crisi delle principali potenze occidentali.
Questo si è tradotto in enormi investimenti in infrastrutture, nell'aumento degli stipendi medi e del potere d'acquisto, ma anche nello sviluppo di una finanza con canali spesso paralleli a quella ufficiale. Un sistema finanziario ombra o parallelo, fatto di prestiti personali, di società più o meno informali dai trust ai fondi strutturati e dei più diversi canali. Una situazione tollerata dalle autorità, nella speranza che tali meccanismi potessero sostenere la crescita tramite una domanda interna fondata sull'indebitamento.3
Uno dei maggiori problemi è che sempre più persone sono ricorse a tali strumenti non per finanziare i propri consumi o l'acquisto della casa, ma per acquistare azioni e titoli finanziari, attratte dagli incredibili aumenti degli indici di Borsa degli ultimi mesi. Secondo il New York Times 4, ci sono 112 milioni di conti aperti alla Borsa di Shanghai e 142 a quella di Shenzen. Circa 20 milioni di nuove posizioni sono state aperte nella primavera del 2015, in buona parte piccoli risparmiatori totalmente a digiuno di finanza che si sono lanciati in questa apparente corsa all'oro, molto spesso attingendo non solo ai propri risparmi ma anche indebitandosi per poterlo fare. La scintilla che ha scatenato l'attuale crollo potrebbe essere legata alla decisione di rendere più costoso l'indebitamento per l'acquisto di azioni, una decisione presa proprio per il timore di essere in presenza di una bolla finanziaria e che sembra per lo meno essere stata presa troppo tardi.
Ancora, molti proprietari di imprese hanno finanziato gli investimenti e l'espansione della propria azienda chiedendo prestiti alle banche e dando come garanzia le proprie azioni. Contratti che spesso prevedono di fornire ulteriori garanzie se il valore dell'azione scende sotto un livello pericolosamente vicino a quello attuale.
I maggiori timori non sono ora probabilmente legati alla bolla in sé, ma alle potenziali ricadute sull'economia. Da un lato i risparmi di milioni di persone sono oggi andati in fumo, dall'altro il rischio è la potenziale perdita di fiducia in un governo che forse per la prima volta, potrebbe mostrarsi impotente di fronte al Moloch finanziario. Un doppio colpo che potrebbe avere pesanti ricadute sulla propensione al consumo dei cinesi, e quindi sulla domanda aggregata che dovrebbe sostenere la crescita economica.
Questo a maggior ragione in un periodo di rallentamento della crescita per il numero di case costruite negli ultimi anni e che rimangono vuote, per le difficoltà di molte imprese orientate a un'esportazione che continua a rimanere fiacca, visti i perduranti problemi dell'economia occidentale. Problemi interni che potrebbero farsi sentire anche da noi: parliamo del Paese con la maggiore crescita di importazioni dalla Germania e da altri Paesi europei, e del maggiore acquirente di materie prime. Diversi analisti legano il recente crollo delle Borse cinesi al calo dell'8,4% in due giorni dei futures sul rame alla Borsa di Londra, mentre ci si domanda quali saranno le possibili ripercussioni sulle quotazioni del petrolio, già sotto i valori storici.
Una situazione nel complesso difficile da leggere, e completamente differente da quelle che abbiamo recentemente vissuto in Occidente. Sembrano però riaffacciarsi alcuni dati di fondo: la crescita ipertrofica di una finanza fine a sé stessa, il suo scollamento dall'economia, un eccesso di liquidità dirottato da consumi e investimenti produttivi verso fini meramente speculativi. L'ennesima crisi non dovuta a una mancanza di soldi ma a un eccesso di soldi. Una finanza che per mantenere i tassi di crescita e di profitto attesi – e costantemente superiori alla crescita del PIL – ha unicamente due possibilità. La prima è l'estrazione di valore da ogni attività umana, a un ritmo crescente; una possibilità che si scontra con limiti produttivi, ambientali e fisici. La seconda possibilità è la creazione di gigantesche bolle sul nulla. E la lezione che la storia ci ha mostrato molte, troppe volte, è che semplicemente le bolle, prima o poi, scoppiano.
1 China Files, “Asia – Giù le borse, la Cina preoccupa più della Grecia", 8 luglio 2015.
2 Financial Times, “Chinese groups rush to suspend shares amid steep market falls”, 8 luglio 2015.
3 Zero Hedge, “China races to rescue stocks as margin mania unwind wreaks havoc”, 1° luglio 2015.
4 The New York Times, “China’s Market Rout Is a Double Threat”, 5 luglio 2015.
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