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Così è fallito il QE di Mario Draghi

19/11/2015

Draghi e gli altri dell’establishment europeo continuano a confidare nella capacità delle politiche monetarie di stimolare l’economia da sé, senza scomodare l’odiato settore pubblico. Ma i dati smentiscono categoricamente questa ipotesi. Quel che serve all'eurozona è un’espansione fiscale che rilanci la domanda

A più di otto mesi dall’avvio del programma di quantitative easing della BCE, Mario Draghi e i vari leader nazionali non paiono avere dubbi: «Il programma è stato un successo». Ma tutto questo entusiasmo è giustificato? Guardiamo i numeri. Partiamo dal tasso d’inflazione. Com’è noto, il mandato della BCE prevede un solo obiettivo – il mantenimento del tasso d’inflazione ad un livello vicino al 2 per cento – ed è dunque normale giudicare l’operato della banca centrale innanzitutto in base a questo parametro, anche perché uno degli obiettivi dichiarati del QE è proprio quello di far riavvicinare l’inflazione all’obiettivo del 2 per cento. Bene, da questo punto di vista i dati parlano chiaro: ad ottobre l’inflazione è tornata negativa (-0,1 per cento, manco a farlo apposta esattamente lo stesso livello registrato a marzo di quest’anno, quando la BCE ha avviato il suo programma di acquisto titoli).

Ma sarebbe un errore attaccarsi allo “zero virgola”. La situazione è ben più grave, infatti: la verità è che è il tasso d’inflazione medio dell’eurozona, senza considerare gli enormi differenziali di inflazione tra paesi, è inferiore all’obiettivo dichiarato del 2 per cento dalla fine del 2012 e inferiore all’1,5 per cento – sotto il quale possiamo parlare de facto di deflazione – dall’inizio del 2013. In altre parole, da quasi tre anni.

Se prendiamo il tasso di crescita del PIL dell’area euro, i risultati sono ancora più impietosi: come possiamo vedere nella seguente immagine, esso inizia nuovamente a contrarsi – ponendo così fine alla modestissima risalita iniziata nel 2014 – proprio qualche mese dopo l’avvio, nel marzo del 2015, del programma di quantitative easing della BCE.

Questi dati sarebbero sufficienti per dichiarare il QE un colossale fallimento, e per chiosare qui con un bel “dimissioni e tutti a casa”. Ma cerchiamo di capire perché il QE “all’europea” si è rivelato un tale fallimento. A monte c’è senz’altro il rifiuto – assurdo e ingiustificabile – di sfruttare quello che è probabilmente il principale beneficio del quantitative easing – l’abbassamento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato – per realizzare politiche fiscale espansive, come hanno fatto gli Stati Uniti in seguito alla crisi finanziaria (e come viene ormai invocato anche da esponenti di spicco del mainstream economico).

Draghi e gli altri dell’establishment europeo, infatti, continuano a confidare nella capacità delle politiche monetarie di stimolare l’economia da sé – ossia senza scomodare l’odiato settore pubblico –, attraverso l’aumento dell’accesso al credito (in virtù del miglioramento dello stato patrimoniale delle banche e dell’abbassamento dei tassi di interesse) e la svalutazione del tasso di cambio, al fine di agevolare le esportazioni. Ma i dati – e non solo quelli “macro” sopraelencati – smentiscono categoricamente questa ipotesi.

Prendiamo il credito bancario. Anche se in lieve ripresa – e accettando la discutibile premessa secondo cui la ripresa dell’economia dipende necessariamente dalla ripresa del credito – esso continua a viaggiare ben al di sotto dei livelli necessari. Come possiamo vedere nella seguente immagine, tratta da un recente report della BCE, il grosso dell’incremento della massa monetaria (M3) dell’eurozona nell’ultimo anno e mezzo è imputabile soprattutto al credito verso il settore pubblico (tranche blu) – il debito pubblico dell’eurozona, infatti, continua inesorabilmente a crescere, sia in termini assoluti che in relazione al PIL –, non al credito verso il settore il settore privato (tranche arancione).

Secondo un recente sondaggio realizzato da Commerzbank, infatti, il quantitative easing non ha contribuito pressoché per nulla ad aumentare il credito all’economia (famiglie e imprese). L’85 per cento delle banche consultate ha dichiarato di non aver incrementato i prestiti in seguito all’avvio del programma di QE, nonostante l’aumento della liquidità, e la quasi totalità di esse ha descritto l’impatto del QE come nullo.

Questo conferma quello che la teoria post-keynesiana va dicendo da tempo: ossia che le banche non sono intermediarie tra i risparmiatori e i mutuatari, cioè non prestano i depositi dei risparmiatori, né tanto meno “moltiplicano” le riserve fornite loro dalla banca centrale. Al contrario, sono i prestiti a creare la moneta, e i principali fattori che le banche prendono in considerazione prima di effettuare un prestito sono i propri potenziali profitti e la capacità di rimborso del mutuatario. Questo è il motivo per cui in un contesto in cui la domanda e la crescita ristagnano – e dunque le prospettive di guadagno offerte dall’economia reale sono misere – da un lato le banche sono riluttanti a investire e a concedere prestiti, a prescindere dalle flebo delle banche centrali, e dall’altro le famiglie e le imprese sono poco inclini a indebitarsi.

Soprattutto se consideriamo che il tasso d’interesse sui prestiti alle famiglie e alle imprese (rappresentato dalle due linee blu nella seguente immagine, dove il riquadro a sinistra rappresenta il tasso per le imprese e quello a destra il tasso per le famiglie) continua ad essere relativamente alto – poco superiore al 2 per cento, a fronte di tassi d’inflazione vicini allo zero o addirittura negativi in vari paesi dell’eurozona – nonostante il costo del denaro – il tasso d’interesse del denaro prestato alle banche stesse dalla BCE – sia ai minimi storici (0,05 per cento, praticamente zero).

Sintomo e allo stesso tempo concausa del calo dei prestiti, e più in generale della crisi in corso, è la crescita vertiginosa delle sofferenze bancarie, ossia dei crediti bancari la cui riscossione non è certa. Secondo un recente studio pubblicato su VoxEU.org, le banche del continente avevano in pancia, a fine 2014, crediti di difficile riscossione (non-performing loans) pari all’incredibile somma di circa 1,2 trilioni di euro, pari al 9 per cento del PIL dell’UE e più del doppio del livello del 2009. I paesi maggiormente interessati dal fenomeno sono l’Italia, la Grecia, il Portogallo e Cipro.

Trattasi di un dato estremamente preoccupante sia per la stabilità finanziaria dell’Europa che per le prospettive di ripresa del continente poiché, come si legge nello studio, «un alto livello di crediti di difficile riscossione tende a… ridurre la crescita del PIL ed aumentare la disoccupazione». È evidente che questa è una conseguenza diretta delle misure di austerità perseguite negli ultimi anni, che non hanno fatto che acuire la recessione nei paesi della periferia, peggiorando i bilanci delle famiglie e delle imprese (che fanno sempre più fatica a ripagare i debiti contratti con le banche) e di conseguenza i bilanci delle banche stesse. Di fronte a una situazione di questo tipo, le politiche di quantitative easing rappresentano poco più di una toppa (e anzi secondo alcuni studi avrebbero addirittura impattato negativamente sulla redditività delle banche, a causa della riduzione dei tassi d’interesse).

Questo spiega in parte la moria silenziosa delle banche europee a cui abbiamo assistito dal 2008 in poi. Nel recente Report on financial structures della BCE si evince che a fine 2014 vi erano 5.614 istituzioni creditizie nell’eurozona, a fronte dei 6.054 di fine 2013 e di ben 6.774 della fine del 2008. In altre parole, sono più di 1.000 gli istituti che sono scomparsi dall’inizio della crisi.

In conclusione, risulta evidente che ci troviamo in presenza di un sistema finanziario al contempo più concentrato (e dunque più too big to fail) ma anche più fragile, e di conseguenza sempre meno in grado di sostenere l’economia reale. In un contesto di questo tipo, sperare di “invogliare” le banche a prestare di più attraverso il quantitative easing è una pia illusione.

E che dire del secondo canale attraverso cui dovrebbe agire il QE della BCE, la svalutazione del tasso di cambio con l’obiettivo di agevolare le esportazioni? L’eurozona già presenta un surplus delle partite correnti del 3,7 per cento, il più grande del mondo in termini assoluti, e si prevede che rimarrà a tali livelli nel corso dei prossimi anni. Un possibile nuovo round di allentamento monetario da parte della BCE potrebbe farlo aumentare ulteriormente. Questa politica non è sostenibile nel medio-lungo termine per una serie di motivi. Primo, perché si nutre proprio della carenza di domanda interna e dell’alto tasso di disoccupazione causato dalla persistente crisi europea. Secondo, perché necessita che ci siano altri paesi o regioni disposti ad accumulare ampi deficit delle partite correnti. Tradizionalmente sono stati gli USA a interpretare il ruolo di “consumatore di ultima istanza” del mondo, ma non è realistico aspettarsi che essi continuino ad assorbire allo stesso tempo le eccedenze produttive di due giganti come Cina ed Europa (a tal proposito si veda il durissimo j’accuse del Wall Street Journal contro le politiche neomercantiliste dell’eurozona).

Per concludere, l’eurozona non ha bisogno di un’ulteriore dose di quantitative easing. Ha bisogno di un’espansione fiscale che immetta denaro direttamente nell’economia e rilanci la domanda, bypassando un settore finanziario sempre più a pezzi.

Articolo pubblicato da eunews.it

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Commenti

Replica ad Antonio Zanotti

@Antonio Zanotti
1. L’avevo capito, ma la mia puntualizzazione è strumentale al triplice scopo di a) fissare un punto che è ignoto ad almeno il 99% degli Europei, inclusi docenti di Economia: gli obiettivi-obblighi statutari della BCE; b) evidenziare che qualunque discussione che concerne la BCE è monca, viziata in partenza se ignora o oblitera la cogenza di quegli obblighi; e c) la strada maestra per criticare o contrastare efficacemente la politica monetaria della BCE è quella della legge, nel caso di specie i trattati UE e lo Statuto della BCE che ne mutua le regole.
2. Se leggi attentamente, il riferimento all’inflazione è brevissimo e propedeutico alla – molto più lunga - sottolineatura dello scopo sottostante del Consiglio direttivo della BCE, volta a rafforzare il mio assunto espresso al punto 1).
3. Come ha osservato Thomas, i dati confermano l’efficacia delle parole di Draghi. E’ quasi superfluo aggiungere che la loro efficacia è dipesa dal fatto che i mercati hanno creduto a Draghi sulla parola.
4. Sono d’accordo: ci fu un abuso delle politiche keynesiane, cioè non fu fatto ciò che prescrive la regola: che “in recessione è necessaria un’espansione fiscale (favorendo i redditi più bassi, ad alta propensione al consumo); in tempi di vacche grasse, il contrario”.

Replica a Zanotti

Caro Antonio, che la BCE sia riuscita a stroncare la speculazione sul debito pubblico è ovvio, ma quello sembra avere poco o nulla a che fare col QE (l'oggetto del mio articolo). Basta dare uno sguardo veloce allo spread per rendersi conto che questo è stabilmente in declino dal 2012, da ben prima che si parlasse di QE, il cui annuncio non sembra aver avuto alcun impatto apprezzabile sul suddetto (anzi, questo è leggermente aumentato da quando è stato implementato il QE, anche a causa della crisi greca, senz'altro).

http://www.tradingeconomics.com/italy/government-bond-yield

Una replica a Vincesko

Seguo l'ordine delle sue osservazioni.
1) Il mio richiamo a guardare a quanto la BCE sta facendo, prescindendo dagli statuti, era una definizone del campo di gioco, senza alcun intento di assoluzione (questo sì sarebbe stato bizzarro, per non dir di peggio!)
2) Stimolare l'inflazione. Ho espressamente detto che il QE sotto questo aspetto è fallito, per cui non capisco la sua osservazione.
3) Le parole hanno un peso, ma pensare che l'affermazione di Draghi sarebbe stata sufficiente a stroncare le speculazioni contro il nostro debito pubblico, come dice lei, mi pare un atto di fede. Se le parole non sono seguite dai fatti, in questo caso il QE, allora scadono nella retorica.
4) Troppo difficile da spiegare in poche righe.
Quello che mi irrita è come una sinistra a corto di idee non trovi di meglio che trasformare Keynes in un novello Che Guevara (a quando le T-shirt?) e il keynesismo come l'economia del paese dei balocchi dove ad una crisi di debito si risponde ... aumentando i debiti!
Le politiche keynesiane non scomparvero alla fine degli anni '970 perchè sconfitte da quelle neoliberiste, ma semplicemente perchè erano implose!
Discutere della crisi confrontando queste due politiche entrambe sconfitte dalla storia, mi pare anacronistico.
Io resto legato all'idea che se non sia il coraggio di affrontare la questione della redistribuzione dei diritti di proprietà (non solo quindi del reddito) allora continueremo ancora a lungo in questa altalena.

Replica a Thomas

Caro Thomas, infatti sia la BCE che l’UE non rispettano i trattati UE (peraltro, analogamente alla FED - maximum employment -, anche la BCE, raggiunto il primo obiettivo - la stabilità dei prezzi -, com'è da 3 anni, deve concorrere a raggiungere l'obiettivo quantitativo della "piena occupazione", cfr. art. 3 del trattato). Io lo scrivo da anni e l’anno scorso, non potendo denunciare personalmente la BCE alla Corte di Giustizia Europea, ho presentato una petizione al Parlamento europeo, che la sta esaminando (vedi più sotto). Ti suggerisco, se non lo hai ancora fatto, di leggere questo articolo di un esperto molto più autorevole di me che la pensa allo stesso modo, e il mio commento che vi trovi in calce, che ho intitolato “Articolo ottimo, ma manchevole del corollario più logico”.

Bce, Ue di Daniele Ciravegna
Sono Ue e Bce a non rispettare i trattati europei
04/08/2015
Il modello d’Europa definito dai trattati europei appare assai migliore rispetto all’effettiva gestione che alla comunità europea stanno dando gli organismi investiti del governo dell’Ue
http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Sono-Ue-e-Bce-a-non-rispettare-i-trattati-europei-30952

Risposta a Vincesko

Caro Vincesko, hai ragione: avrei dovuto scrivere, come ho fatto nella versione inglese, "l'unico obiettivo misurabile...". Comunque si tratta di questioni di lana caprina; converrai con me che il secondo obiettivo è talmente vago che è difficile giudicare l'operato della BCE in base ad esso. Anche perché allora dovremmo sostenere che è l'Unione nel suo complesso che, paradossalmente, sta disattendo "gli obiettivi dell'Unione"...

Obiettivi BCE (errare è umano, perseverare diabolico)

Citazione: “Com’è noto, il mandato della BCE prevede un solo obiettivo – il mantenimento del tasso d’inflazione ad un livello vicino al 2 per cento –“.

Caro Thomas, errare è umano, perseverare diabolico.
Come ormai dovrebbe essere noto, il mandato della BCE prevede 2 (due) obiettivi, come recita già dal titolo l’articolo 2 del suo statuto:

Statuto BCE
Articolo 2
Obiettivi
Conformemente agli articoli 127, paragrafo 1 e 282, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, esso sostiene le politiche economiche generali dell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un'efficace allocazione delle risorse, e rispettando i principi di cui all'articolo 119 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Allegato alla Petizione al Parlamento europeo: la Bce non rispetta il suo statuto
http://vincesko.blogspot.it/2015/03/allegato-alla-petizione-al-parlamento.html oppure
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2821720.html

Chi non conosce lo statuto della BCE (elenco in divenire)
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2825230.html oppure
http://vincesko.blogspot.it/2015/03/chi-non-conosce-lo-statuto-della-bce.html

PS:
Aggiornamento alla Petizione al Parlamento Europeo: La BCE non rispetta il suo statuto (6/11/2015)

Cari firmatari e lettori della petizione,
pubblico molto volentieri il testo della lettera che ho ricevuto oggi dalla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo:

Bruxelles, 26.10.2015
Egregio Signore,
desidero comunicarLe che la Commissione per le petizioni ha esaminato la Sua petizione e l'ha dichiarata ricevibile in base al regolamento del Parlamento europeo, dal momento che le questioni sollevate rientrano nell'ambito di attività dell'Unione europea.
La Commissione ha quindi avviato l'esame della petizione e ha deciso di chiedere alla Banca centrale europea di svolgere un'indagine preliminare sui vari aspetti del problema. La commissione per le petizioni proseguirà l'esame non appena le saranno pervenute le informazioni necessarie.
Sarà mia cura tenerLa al corrente di ogni ulteriore seguito dato alla Sua petizione.
Voglia gradire i miei più distinti saluti,

Cecilia Wikstrom
Presidente della
Commissione per le petizioni

PPS:
La BCE a trazione tedesca le spara grosse
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2829649.html oppure
http://vincesko.blogspot.it/2015/03/la-bce-trazione-tedesca-le-spara-grosse.html

Rapporto di cambio Lira/Euro a 1936,27

@Pierluigi Sorti
Citazione: “Un quadro dove, in particolare, il nostro paese vede crescere la propria vulnerabilità, già radicalmente minata da un meccanismo di conversione della lira con l’euro (1998) di cui il blog www.lira-euro.it (ne sono il titolare) si sforza da tempo di denunciare la smisurata e radicale iniquità”.

Non è del tutto chiaro, ma temo sia un classico esempio di DISINFORMAZIONE.

RAPPORTO DI CAMBIO LIRA/EURO A 1936,27. Non mi pare tu (come milioni di altri Italiani, dal condottiero SB in giù, poi persino lui ha capito che era una sesquipedale sciocchezza) abbia le idee molto chiare sul tema da te sollevato. L’elemento da cui partire è il rapporto di cambio Marco/Lira. Al momento di determinare il tasso di cambio, il Marco tedesco oscillava tra 900 e 1.000 Lire. Per favorire le esportazioni italiane, aumentandone la competitività (e, simmetricamente, sfavorire le importazioni), l’impegno del governo italiano ed in particolare del ministro del Tesoro di allora, Ciampi, fu di negoziare un rapporto lira/marco il più vicino possibile a 1.000 (una sorta di svalutazione competitiva preventiva), mentre la Germania, per i motivi opposti, lo voleva il più vicino possibile a 900. Ciampi, dopo un tira e molla, ottenne, con l’appoggio del potente governatore della Bundesbank, Hans Tietmeyer, suo amico, che forse anche per quello si è poi meritato la più alta onorificenza italiana dal presidente Ciampi, un tasso di cambio intorno a 990, che di conseguenza determinò un rapporto Lira/Euro di 1.936,27. Quando tornò in Italia, gli incontentabili industriali, anziché complimentarsi con lui, lo criticarono perché il cambio L/€ era troppo basso. Altro discorso è l’aumento dei prezzi interni.

BCE, inflazione, speculazione ed espansione fiscale

@Antonio Zanotti
Prima citazione: “Al di là dei compiti istituzionali della BCE”.
Affermazione bizzarra. I compiti della BCE sono fissati dai trattati e dal suo statuto che ne mutua le regole, quindi hanno la stessa cogenza di TUTTE le regole dell’UE. Da tempo, la BCE sta disattendendo entrambi i suoi obiettivi statutari.

Seconda citazione: “stimolare l’inflazione”.
Tutte le evidenze (vedi da ultimo il caso Giappone) dimostrano che il QE è inefficace ad accrescere l’inflazione. Quindi se ne deduce che lo "scopo" effettivo del Consiglio direttivo della BCE sia stato un altro. Io credo sia stato quello di fare fumo per coprire le sue gravi inadempienze statutarie: quando doveva farlo, sia perché l'inflazione EUZ era scesa gradualmente e sensibilmente sotto target, sia nel pieno dell’incendio da spread, non l’ha fatto colpevolmente perché la Germania non ha voluto; l’ha fatto, quasi per inerzia, con 3-4 anni di ritardo rispetto alle altre banche centrali e alle necessità.

Terza citazione: “stroncare la speculazione contro il debito pubblico di alcuni paesi”.
Falso. Nel senso, che, a stretto rigore, a stroncare la speculazione aveva già provveduto il “whatever it takes”, che – come dire? - era fare la metà del suo dovere: l’interesse dell’Eurozona e non soltanto di Germania e satelliti.

Quarta citazione: “Quanto all'alternativa sostenuta da Fazi (espansione fiscale per immettere denaro nell'economia) mi pare sia l'ennesima proposta di dare una risposta congiunturale ad una crisi strutturale: non so quanto lontana possa portare”.
Affermazione ideologicamente strampalata. Eppure - se si smettono gli occhiali ideologici - è semplice come fare 2+2: in recessione è necessaria un’espansione fiscale (favorendo i redditi più bassi, ad alta propensione al consumo); in tempi di vacche grasse, il contrario. Da anni, la stragrande maggioranza dei Paesi EUZ è o in stagnazione o in recessione o, come l’Italia, in depressione.

La smisurata e radicale iniquità del meccanismo di conversione della lira con l’euro

L’analisi sul Qe di “Sbilanciamoci” ha un merito che va oltre i suoi ben argomentati punti di criticità della politica creditizia complessiva praticata dalla Bce.

Le verità inerenti al dilemma inflazione/deflazione ed agli effimeri benefici connessi al debito pubblico dei paesi dell’euro zona (ma non ai rispettivi apparati produttivi), emergono chiaramente dal consuntivo statistico delle tendenze storiche dei fenomeni monetari, con grandi risvolti economici.

Il risultato evidenziato dell’accresciuto aumento dei debiti pubblici e delle sofferenze degli istituti di credito di tutta la zona euro, oltre all’accentuato numero degli istituti costretti a cessare la loro attività, sono il chiaro indice della inconsistenza delle dichiarazioni ufficiali della stessa Bce, generalmente improntate ad indiscutibile ottimismo.

Un quadro dove, in particolare, il nostro paese vede crescere la propria vulnerabilità, già radicalmente minata da un meccanismo di conversione della lira con l’euro (1998) di cui il blog www.lira-euro.it (ne sono il titolare) si sforza da tempo di denunciare la smisurata e radicale iniquità.

I risultati delle politiche di QE

Al di là dei compiti istituzionali della BCE, il QE aveva due finalità:
1) stimolare l'inflazione;
2) stroncare la speculazione contro il debito pubblico di alcuni paesi.
Il primo obiettivo è stato mancato (su questo ha ragione Fazi); il secondo è stato centrato (e su questo Fazi sorvola).
Quanto all'alternativa sostenuta da Fazi (espansione fiscale per immettere denaro nell'economia) mi pare sia l'ennesima proposta di dare una risposta congiunturale ad una crisi strutturale: non so quanto lontana possa portare.
In ogni caso sarebbe bene che Fazi fosse più preciso sulle forma di espansione della fiscalità (un discorso è l'aliquoita marginale Irpef, un altro una forte patromonaile o la Tobin Tax: gli effetti sono molto diversi).

Solo il lavoro crea ricchezza

Finalmente entriamo nel cuore del problema di questa infinita crisi finanziaria là dove nell'articolo si afferma che "sono i prestiti a creare la moneta". Vuol dire che se io intendo fare un investimento ed ottengo da una banca commerciale un prestito dando le dovute garanzie immobiliari, dovrò mettere in bilancio questa entrata e in uscita il denaro che dovrò guadagnare con il mio lavoro per ripagare il finanziamento. Inteso che se già campavo di rendita non ne avrei avuto bisogno. La banca commerciale che mi avrà prestato i soldi, dato che non può ricorrere per l'ennesima volta al meccanismo della riserva frazionaria, a sua volta metterà nel suo bilancio l'uscita costituita dal prestito concessomi e in entrata il denaro QE fornito dalla BCE. Quest'ultima dovrebbe compiere la stessa operazione di bilancio, ma tra le sue entrate cosa ci mette di fatto?
Nulla. Solo il suo potere di stampare moneta e la speranza che io riesca a mantenere gli impegni presi spaccandomi la schiena dalla mattina alla sera.
Poi avremo capito anche perché la Banca Centrale dell'Inghilterra (al Regno Unito fanno capo gran parte dei paradisi fiscali di questo mondo), insieme a quelle di Danimarca e Svezia, cioè di paesi che non da ieri fanno parte dell'UE e che non hanno mai adottato l'euro come propria moneta, sono proprietarie di quote della BCE. Se non ricordo male circa il 40% del PIL dell'Inghilterra è fatto di finanza...

Potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni.

ottimo articolo e va approfondito. Penso che il Qe di Draghi che era non sufficiente lo si sapeva ma quando è stato presentato con grande enfasi non vi è stata attenzione al riguardo.

Se i consumi debbono essere rilanciati come si dice e il potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni diminuisce continuamente almeno rispetto alle capacità di spesa verso la spesa alimentare è chiaro che l'equilibrio economico non lo si ha e se continua anche con l'aumento raffinato del prelievo fiscali staremo sempre peggio.

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