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Se con il clima torna la società civile globale

26/10/2009

Le mobilitazioni contro i cambiamenti climatici stiano ridando fiato ed energia alle reti globali di attivisti. Dopo Seattle e dopo la grande crisi, è l'ambiente il nuovo catalizzatore?

Il 24 ottobre 2009 si è tenuta la giornata internazionale per l'azione sul clima. L'iniziativa, lanciata dalla rete 350 (www.350.org), ha coinvolto oltre 180 paesi con più di 5 mila manifestazioni di piccole, medie e grandi dimensioni. Singoli cittadini, gruppi organizzati e piccoli movimenti locali hanno aderito ad una call globale per la mobilitazione di massa contro le conseguenze a lungo termine dei cambiamenti climatici. Lo stesso giorno, la New Economics Foundation di Londra ha inaugurato il Festival dell'Interdipendenza (http://thebiggerpicture2009.org), dove numerosi economisti ed intellettuali provenienti da tutta Europa si sono confrontati sulla possibilità di costruire un modello di sviluppo economico diverso da quello attuale fondato sulla crescita economica. La settimana prima, l'iniziativa internazionale Stand Up and Take Action, aveva già coinvolto molti gruppi in giro per il mondo, concentrandosi sul legame che esiste tra povertà crescente e riscaldamento globale (http://standagainstpoverty.org). Movimenti per la decrescita, l'autogestione del territorio e l'economia solidale pullulano in gran parte del mondo, dalle periferie delle metropoli europee alle capitali del 'sud globale'.

Sta finalmente rinascendo un movimento globale? Negli ultimi anni, la società civile globale, che aveva scosso il mondo dopo Seattle fino a diventare la nuova super potenza mondiale alla vigilia della guerra in Iraq, era entrata in una fase letargica sempre più profonda. Paradossalmente, questo processo di regressione accadeva proprio quando la storia cominciava a dimostrare la validità delle proposte avanzate dai tanti movimenti altermondialisti. Gli effetti distorsivi del libero commercio erano stati ampiamente previsti dalle organizzazioni di cooperazione internazionale, molto prima di entrare nella retorica ufficiale di molte amministrazioni statali, a partire da quella di Obama. La crisi economica ha poi confermato l'instabilità strutturale del nostro sistema economico globale, rivelando tutte le debolezze che il pensiero altermondialista aveva identificato da almeno un decennio. Ciononostante, l'avverarsi della profezia si manifestava parallelamente alla crisi del settore civico internazionale.

 

 

Oggi sembra che le mobilitazioni contro i cambiamenti climatici stiano ridando fiato ed energia alle reti globali di attivisti. La crisi climatica, infatti, sta diventando il catalizzatore delle tante ingiustizie che affliggono il mondo. Per le organizzazioni locali che difendono i diritti del territorio, il riscaldamento globale rischia di vanificare i risultati di molte battaglie. I movimenti indigeni che hanno duramente lottato per le proprie prerogative si sentono ora minacciati da cambiamenti sistemici che minacciano profondamente le loro comunità. I movimenti contadini vivono sulla propria pelle le conseguenze delle frequenti siccità, seguite da inondazioni che distruggono i raccolti. Povertà, ingiustizie e instabilità economiche si legano vicendevolmente nella crisi ambientale.

La questione climatica è infatti una tempesta perfetta, che fa convergere ed esaspera le crisi molteplici che attraversano il mondo, da quella economica a quella alimentare, da quella energetica a quella sociale. In questo senso, la lotta ai cambiamenti climatici può facilmente aggregare gruppi tradizionalmente diversi, cittadini del 'nord' e del 'sud' globale, movimenti sociali e organizzazioni non-governative, organizzazioni ambientaliste e sindacati. Secondo Paul Hawken, autore del libro Moltitudine Inarrestabile, stiamo assistendo alla formazione del più vasto movimento civico al mondo. Ovviamente, questa rete di attivisti ha cominciato ad operare soprattutto a livello locale, in molti casi attraverso pratiche concrete nei territori di riferimento. Gradualmente poi è cominciata ad emergere una rete globale che sta riattivando i contatti sopiti del movimento altermondialista. Dal punto di vista della mobilitazione, la conferenza di Copenhagen di Dicembre potrebbe segnare il battesimo di una nuova fase dell'attivismo globale. Si può soltanto speculare sull'evoluzione di questo fenomeno, che per il momento resta ancora in una fase embrionale. La speranza è che si riesca a recuperare le energie e le speranze create dalla stagione di attivismo globale dei primi anni del nuovo millennio per incanalarle verso un'azione collettiva e coordinata. D'altronde la sfida climatica rappresenta un'opportunità storica per rivoluzionare il nostro modello di sviluppo e tutte le ingiustizie da esso create.

 

 

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Commenti

precisazioni

Il modello economico dominante è solo uno strumento per il mantenimento di alcuni poteri, lungi dall'essere qualcosa di valido scientificamente, anzi valido tout court. Ovvio che esista una questione ambientale, esistono delle risorse, noi le consumiamo, prima o poi finiranno. Detto questo non intendevo mettere in dubbio i provvedimenti da prendere, però a mio avviso basterebbe mangiare carne rossa una volta alla settimana (al massimo); almeno per fare qualcosa di concreto all'interno di questo sistema. Di certo non si risolve nulla mangiando solo polli. Non si risolve nemmeno investendo in energie alternative e basta. Non so se lei ha presente (mi perdoni il riferimento forse improprio) la scena finale de "i tre giorni del condor", ecco; penso che esista una dicotomia tra stile di vita e pensiero. Magari la percentuale degli scettici scenderà allo zero, ma come la mettiamo quando non potremmò fare una doccia con acqua calda? Chiedo scusa per la disorganicità dell'intervento (in sé e rispetto al mio precedente), ma a mio avviso (che le assicuro è molto più modesto del suo) ci sono troppe questioni interrelate ed in parte esterne da non poter trattare il problema coeteris paribus (come fanno i neoclassici, tra l'altro).

A proposito dei dubbi

Ormai sono rimasti davvero in pochi a dubitare dell'esistenza di un legame tra azioni umane e cambiamenti climatici in corso. Per fortuna, ci ha pensato l'IPCC a fugare i pochi (pochissimi) dubbi che restavano. Anche i cosiddetti ambientalisti scettici, come il danese Byorn Lomborg del Copenhagen Consensus, non negano che i cambiamenti climatici siano dovuti all'azione dell'uomo (almeno nella forma e nell'intensità attuale), ma sostengono che gli effetti del riscaldamento globale sono sovrastimati e comunque che il modo migliore per rispondere a questa sfida non è ridurre le emissioni ma investire nell'adattamento difensivo. Secondo loro, per esempio, è meglio spendere un miliardo di dollari per aiutare i paesi del sud globale a difendersi dall'innalzamento degli oceani, con sistemi di dighe, piuttosto che cercare di arrestare i cambiamenti in corso attraverso un investimento nella riconversione del nostro assetto industriale. Queste sono posizioni legittime, ma secondo il mio modesto parere (e quello di persone molto più influenti di me) assolutamente errate e pericolose. Perché si concentrano sui sintomi e non sulle cause, come se gettare dell'acqua ossigenata sulle piaghe servisse a curare l'infezione che ne è all'origine. E l'infezione in questo caso si chiama 'modello economico' di riferimento. Questa forma di scetticismo è rischiosa anche perché fa facilmente presa sulle persone. Un sondaggio PEW di fine settembre rivela infatti che solo il 57% degli americani crede ora nei riscaldamenti climatici, mentre l'anno scorso ci si attestava ben oltre il 70%. C'è quindi molto lavoro da fare da parte della società civile globale, le cui reti stanno comunque crescendo in molti paesi del mondo. Non solo nel nord, ma anche e soprattutto nel sud globale, dove vivono coloro che pagheranno il prezzo più caro.

dubbi

Credo sia assodato che il mondo occidentale non potrà sostenere per sempre questi stili di vita. Men che meno il mondo occidentale più altre realtà. Detto questo, però, starei attento con la questione del riscaldamento climatico; anche se il 99% degli esperti pensa che questo sia colpa dell'uomo, non esiste nessuna prova certa di una correlazione diretta tra azione umana e surriscaldamento, anzi sembra accertato che l'effetto serra in na certa misura sia indipendente dall'uomo (e questo da molto ma molto tempo). Inoltre, giusto per fare un po' di banale dietrologia, un punto di svolta(anche se non certamente l'inizio) nella questione ambientale fu la conferenza di Rio che fu praticamente voluta da gruppi petroliferi abbastanza importanti. Non vorrei che questa dell'ambiente sia un'altra convenzione del modello di sviluppo economico dal quale si cerca di sfuggire, o al quale si cerca un'alternativa.

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