Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Bce, troppo poco e troppo tardi

08/11/2013

Il taglio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea è la conseguenza del fallimento delle politiche di Francoforte. Perché anche una politica monetaria espansiva ha ben pochi effetti se unita a una politica fiscale restrittiva, come il caso dell’Europa ben spiega

Applausi per Draghi dopo il taglio ai tassi di interesse, portati da 0,5% a 0,25%. Le Borse sono salite, lo spread sceso, l’euro si è un po’ deprezzato verso dollaro e yen. Tutto bene, dunque? Non proprio. In realtà la mossa della Ecb è la spia di un problema ben più grave, anzi, è la conseguenza del fallimento sostanziale delle politiche di Francoforte. Come ben sappiamo, la Ecb è responsabile solamente della stabilità dei prezzi (e del sistema finanziario) e non si occupa di altre variabili macroeconomiche. Come la maggior parte delle altre banche centrali decide un livello di inflazione – inflation targeting – e usa gli strumenti a sua disposizione, liquidità e tassi di interesse, per ottenere un certo livello dei prezzi. Cosa però in cui ha ultimamente clamorosamente fallito, visto che l’inflazione programmata a livello europeo è del 2%, ma gli ultimi dati parlano dello 0.7%, con paesi come la Spagna che sono ormai in deflazione e l’Italia che si sta avviando sulla stessa strada, contribuendo a peggiorare la dinamica del debito.

Questo è il risultato di forze convergenti e correlate. Quasi tutte le altre grandi economie mondiali agiscono attivamente sul mercato della moneta: gli Stati Uniti con i quantitative easing hanno invaso di dollari il mercato mondiale. La Cina continua a manipolare il valore dello yuan per sopperire artificialmente all’eccesso di capacità produttiva, esportando merci e disoccupazione vero il resto del mondo. Anche la Banca del Giappone, con la Abenomics, ha preso un piglio decisamente interventista, svalutando fortemente lo yen per rilanciare l’industria nipponica. Davanti a tutto questo, la Ecb è rimasta sostanzialmente passiva, lasciando che l’Euro si apprezzasse contro tutte le principali valute, mettendo ulteriormente sotto pressione l’economia del Vecchio Continente. Per mesi non si è fatto assolutamente nulla, negando in fieri l’esistenza del problema. In fondo praticamente tutti i paesi europei stanno registrando surplus nella bilancia dei pagamenti, quindi il valore dell’Euro è equilibrato. Niente di più sbagliato: nei paesi mediterranei il surplus è soprattutto il risultato della depressione della domanda interna che ha portato ad un calo delle importazioni, ed infatti la produzione industriale in Italia è tuttora in discesa, altro che volano delle esportazioni. Eppure, nonostante questo, molti ed autorevoli membri della Bce – soprattutto, i tedeschi – si sono opposti al taglio di interessi sia in quest’ultima tornata, che in quella precedente.

Il problema, come sempre, è la disparità economica nell’area euro. L’euro è troppo forte per i Pigs, ed anche per la Francia – il livello critico del cambio dollaro/euro è stimato attorno a 1,24 per Parigii e 1,17 per Roma – mentre è entro livelli di controllo per la Germania – che andrebbe sotto pressione solamente attorno a 1,80ii. Nuovamente, l’Europa e le sue istituzioni non lavorano per il bene comune, ma ogni paese ha in mente solo i propri ristretti interessi, con Bundesbank e governo tedesco ancora ossessionati dall’inflazione e pronti ad opporsi ad ogni manovra inflattiva anche in una situazione di prezzi stagnanti e disoccupazione rampante.

Questo dovrebbe suggerirci che andrebbero ridiscussi sia il mandato della Ecb sia la sua governance, in cui alcuni black block del monetarismo tengono in ostaggio un intero continente. Allo stesso tempo, però, bisognerebbe ridiscutere anche il sistema complessivo delle politiche economiche. Pensare ora che un taglio di 0.25 punti possa rimettere in sesto l’economia reale è fuorviante e l’effetto sarà al più marginale. Gli strumenti in mano alle Banche centrali sono utili ma non sufficienti per risolvere la crisi. La grande liquidità data dalla Ecb alle banche nell’ultimo biennio non si è trasformata in un aumento del credito al settore non finanziario, anzi, tuttora in calo. Questo vuol dire che la moneta circola meno, contribuendo alla deflazione ormai vicina. Come mai? Da una parte c’è un problema di fondo nel sistema di incentivi e di monitoring delle banche che sono restie a finanziare l’industria, non sapendo valutare correttamente il rischio. Dall’altro, però, c’è carenza di domanda di denaro da parte del settore privato – chi investe durante la recessione? Dunque anche una politica monetaria espansiva ha ben pochi effetti se unita ad una politica fiscale restrittiva – come il caso dell’Europa ben spiega. Anche in America, però, gli effetti del quantitative easing sono misti. Vero, con un governo più accomodante, la crescita americana è stata decisamente più rapida di quella europea, ma con qualche problema: come ben spiegato da Saez e Pickettyiii, questa ripresa è finita nella quasi totalità nelle tasche dei più ricchi. Inoltre, l’eccesso di credito in presenza di domanda stagnante, ha provocato un surplus di liquidità che mette a rischio, nuovamente, la stabilità dei mercati finanziariiv.

Insomma, il credito è importante ma solo se si riesce a convogliarlo verso l’economia reale invece che verso quella finanziaria. Ritornando dunque all’insegnamento keynesiano che il settore privato è restio a spendere in periodi di crisi e che è dunque lo Stato che può riattivare un circolo virtuoso di investimento e crescita. Magari con i soldi delle Banche Centrali?

i Non a caso il Ministro dell’Industria francese, Arnaud Montebourg, ha recentemente sostenuto che un deprezzamento dell’euro del 10% salverebbe 150 mila posti di lavoro in Francia. www.telegraph.co.uk/finance/economics/10434431/ECBs-Draghi-stuns-markets-with-rate-cut-but-deflation-still-looms.html

ii Vedi il mio articolo su Liberazione, Cambiare Rotta: http://resistenzainternazionale.wordpress.com/2013/11/06/cambiare-rotta/

iii http://resistenzainternazionale.wordpress.com/2013/09/12/obama-e-la-ripresa-economica-per-i-ricchi/

iv http://blogs.telegraph.co.uk/finance/ambroseevans-pritchard/100025974/jp-morgan-sees-most-extreme-excess-of-global-liquidity-ever/

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS