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Per cambiare l’euro deve cambiare Berlino

24/06/2013

L'approfondirsi della crisi greca come specchio della crisi del modello sociale europeo. Un convegno a Berlino per cambiare la rotta dell'Europa

La crisi della Grecia che non accenna a rallentare, il declino italiano, il modello sociale europeo in difficoltà ovunque, i salari che cadono, le analisi dell’Ilo e le alternative proposte dal sindacato tedesco, la Dgb. Questi i temi al centro del convegno The social and employment impact of the crisis, tenuto venerdì 21 giugno alla Berlin School of Economics and Law di Berlino, in collaborazione con la Global Labour University, un network di università che offre programmi di formazione per esponenti sindacali.

I lavori sono stati aperti da Trevor Evans, docente di Economia Internazionale alla Berlin School e tra i coordinatori dell’EuroMemo Group, che realizza ogni anno l’Euromemorandum sulle alternative per le politiche europee.

Georgios Argitis dell’Università di Atene e Maria Makantonatou dell’Università dell’Egeo hanno delineato il quadro della crisi greca. Dal 2010 la Grecia è intrappolata in una spirale fatta di austerità e default, imposta dalla Troika (Commissione Europea, Bce, Fmi) con l’accordo del governo di coalizione di Atene, che registra proprio in questi giorni crescenti dissensi interni. I due Memorandum di riforme economiche e finanziarie decisi da governo e Troika si fondano su tre pilastri. Il primo è la riduzione della spesa e del deficit pubblico, che deve arrivare al 2014 a un avanzo primario pari al 16% del Pil. Il secondo riguarda le “riforme strutturali”, in particolare del mercato del lavoro, che puntano ad accrescere la competitività attraverso la depressione dei salari del settore privato. Il terzo è la stabilità finanziaria, con la ricapitalizzazione del settore bancario greco con misure che, fino ad oggi, ammontano a 100 milioni di euro, circa un terzo del debito pubblico. Argitis ha riassunto con efficacia il “mea culpa” fatto dall’Fmi in una recente pubblicazione dove sono evidenziati i limiti dei risultati ottenuti dalle misure di austerità (IMF, Greece: Ex Post Evaluation of Exceptional Access under the 2010 Stand-By Arrangement, 2103). Tasso di disoccupazione più alto di dieci punti percentuali rispetto alle previsioni della Troika, Pil che diminuisce di 17 punti percentuali sui valori del 2009, contro i 5,5 punti percentuali previsti dalla Troika, mercati finanziari che non riacquistano fiducia sulla solvibilità del debito greco. Il Fondo monetario e l’Europa hanno sbagliato i calcoli sugli effetti moltiplicativi che i tagli avrebbero avuto sulla caduta del reddito, stimati inizialmente pari a 0,5% ma poi rivelatisi pari a 2. Il problema di Atene è che l’economia del paese è da sempre trainata dalla domanda interna, mentre l’export ha un rilievo modestissimo; le pressioni della Troika per aumentare la competitività sono quindi fuori bersaglio. La strategia depressiva e la caduta dei salari realizzata da Troika e governo hanno così impedito al paese di crescere, e la riduzione del reddito ha ridotto – come in Italia - le entrate fiscali, aggravando il rapporto debito/Pil. Nella sua analisi del piano di aggiustamento delle finanze pubbliche previsto dagli accordi Troika-governo, Giorgios Argitis ha mostrato la difficoltà di accumulare avanzi primari con questa spirale recessiva, le insufficienti entrate previste dal programma di privatizzazione, il peso del salvataggio delle banche private a spese dei conti pubblici. Tutt’altro che risolta, la crisi greca avrà presto bisogno di nuovi prestiti internazionali o di interventi significativi su debito e tassi d’interesse.

Gli effetti della crisi sull’economia e la socetà del paese sono stati devastanti. Maria Makantonatou ha presentato le misure di austerità dei due Memorandum, con tagli a stipendi e pensioni pubbliche dal 20 al 60%, il turn-over nella pubblica amministrazione limitato a un’assunzione ogni dieci uscite di dipendenti, le privatizzazioni di attività pubbliche, fino alla recente controversa chiusura della tv pubblica Ert, le fusioni e razionalizzazioni imposte a università, istituti sanitari, enti locali. I dati più drammatici arrivano dalla disoccupazione giovanile. Nel febbraio 2013 il dato dei giovani disoccupati under 25 raggiunge il livello shock del 62,5%; la metà dei disoccupati non lavora da più di un anno e un terzo non lavora da più di due. Crescono le forme di impiego privato prive di assicurazione sanitaria dove un lavoratore su tre è straniero. La crisi ha strangolato le piccole e medie imprese, con decine di migliaia di aziende chiuse. I senza tetto sono aumentati del 25% dal 2009 al 2011 mentre i suicidi sono cresciuti in maniera spaventosa, raggiungendo i 3000 casi. Al degrado delle condizioni di vita si accompagna anche il malcontento sociale che si è materializzato con l’entrata in parlamento del movimento neonazista Alba dorata, protagonista di gravi episodi di violenza e razzismo nei confronti degli immigrati, accanto a iniziative di supporto riservate ai cittadini greci, come distribuzione gratuita di generi alimentari. Senza dimenticare che nel dicembre 2012 il governo ha completato un muro nel nord del paese per impedire agli immigrati di entrare nel territorio nazionale.

Giorgios Argitis ha ricordato come la Grecia rappresenti un caso particolare di “capitalismo senza capitale” e Mario Pianta ha presentato i molti elementi che avvicinano l’Italia allo stesso circolo vizioso di debolezza economica, crisi finanziaria, politiche di austerità. Il caso italiano va esaminato intrecciando l’attuale crisi economica con il più ampio contesto di declino produttivo, scomparsa delle industrie nazionali, diseguaglianze crescenti e risposte politiche inadeguate, che hanno riportato gli indicatori economici nazionali a livelli pari a quelli dei primi anni Novanta.

Christoph Hermann dell’Università di Vienna ha presentato l’impatto della crisi sul modello sociale europeo e Özlem Onaram dell’Università di Greenwich ha discusso della crisi turca dopo le proteste di piazza Taksim a Istanbul. Patrick Belser dell’Ilo di Ginevra ha presentato il “Global Wage Report” che documenta gli effetti negativi provocati sull’insieme dell’economia dai tagli dei salari, mentre Florian Moritz della Confederazione dei sindacati tedeschi Dgb ha illustrato le proposte della confederazione per un’alternativa al modello neoliberista di integrazione europea. Solidarietà, integrazione e stabilizzazione sono i tre principi che ispirano il “Piano Marshall” europeo del sindacato, con nuove spese per duecento milioni di euro all’anno destinate a costruire un nuovo sviluppo, amico del lavoro e dell’ambiente. Proposte che danno le dimensioni del cambiamento di rotta ora necessario in Europa, al centro della tavola rotonda conslusiva. Per Hansjörg Herr, docente di Economia dello sviluppo alla Berlin School, sono poche le possibilità che le istituzioni europee e la moneta unica possano sopravvivere immutate alle conseguenze economiche e sociali della crisi. Ma per cambiare l’euro – come ha ricordato Argitis – bisogna prima cambiare la Germania.

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