Stop al sostegno alla periferia indebitata dell'Ue, lasciateli fallire. Teorie sbagliate e interessi forti dietro una linea che non porta l'Europa da nessuna parte
Un plenum di economisti tedeschi ha approvato alcuni giorni fa una dichiarazione rivolta al proprio governo contro il sostegno dell’Ue e della Bce ai paesi altamente indebitati della periferia europea, che dovrebbero di contro intraprendere una procedura di insolvenza gestita dal Fmi. Gli economisti tedeschi sono generalmente assai influenti sul loro governo, e questo documento conferma il loro tradizionale orientamento prevalentemente conservatore, politico ed economico. In tal senso la dichiarazione prova come poco ci si debba aspettare da un dibattito circa i modi in cui l’Europa potrebbe uscire dal vicolo cieco in cui s’è cacciata. La questione è di scontro fra interessi nazionali, e gli economisti tedeschi hanno mostrato da che lato batte il loro cuore.(www.networkideas.org) (1)
In sintesi, la dichiarazione avverte Berlino circa il pericolo di una progressiva europeizzazione del debito della periferia che coinvolgerebbe il contribuente tedesco nella temuta “tax-transfer union”, e circa l’impatto inflazionistico di un perdurante sostegno a tale debito da parte della Bce. Di più, le garanzie europee indurrebbero un “moral hazard” (2) da parte dei paesi periferici dando loro “un potente incentivo a ripetere gli errori del passato e continuare una politica di indebitamento alle spese dei partner dell’Ue”. Dunque si condanna sia l’ampliamento del fondo di sostegno varato dall’Ue nel maggio 2010 che il suo rinnovo come fondo permanente. Il documento, come anche altri hanno notato, dimostra una certa ignoranza in quanto il fondo esistente è in termini reali assai inferiore al suo valore nominale – essendo puramente formale il coinvolgimento di stati indebitati a sostegno di altri stati indebitati. Si dimenticano, inoltre, i tassi usurai a cui tali fondi vengono elargiti.
La proposta avanzata è di una procedura concordata di insolvenza e ristrutturazione del debito (3). In verità un “haircut” del debito non è qualcosa a cui ci si dovrebbe opporre se si considera che le banche tedesche sono molto più responsabili della ordinaria famiglia spagnola o irlandese delle bolle immobiliari scoppiate nei paesi periferici, ed anche nell’aver finanziato la spesa fiscale spesso clientelare del governo greco (4). Le esportazioni tedesche hanno comunque grandemente beneficiato della crescita della domanda aggregata in quei paesi, come molte volte da noi spiegato (www.economiaepolitica.it). Né va dimenticato che le banche tedesche hanno partecipato, e con mucho gusto, all’euforia immobiliare americana e sono perciò piene di debito tossico (ma da qualche parte i proventi del surplus commerciale tedesco andavano collocati, come notò tempo fa De Cecco). Dimostrando alla lettera il modello kaleckiano, le banche tedesche hanno finanziato i “mercati esterni” nei quali le imprese tedesche sono state in grado di “realizzare” come profitti il sovrappiù sociale (l’eccesso del prodotto sui salari).
Questo è il capitalismo bellezza!
Un successivo default dei mercati esterni fa parte delle regole del gioco e le banche creditrici dovrebbero essere giustamente chiamate a saldare il conto. Naturalmente, se è questo che implicitamente gli economisti tedeschi intendono, il loro governo e la Bce saranno chiamati a sostenere le banche tedesche – come peraltro hanno già ampiamente fatto direttamente o indirettamente negli scorsi tre anni. Certo tale salvataggio può indurre ulteriore moral hazard da parte delle banche, ma di questo i 189 economisti tacciono. Essi intendono proteggere la contribuente tedesca, ma non gliela contano giusta, o forse sì: essa sarà in ogni caso chiamata a saldare il conto di un modello tedesco ed europeo di assai corto respiro, in particolare se si segue il suggerimento di tarpare le ali all’azione di sostegno della Bce.
La narrazione dei 189 economisti è quella che compiace i governanti tedeschi, ed anche quella che l’opinione pubblica di quel paese è stata educata a comprendere: la crisi europea “è una storia di irresponsabilità fiscale e mancanza di competitività. C’è una crisi bancaria ma non è centrale… una narrazione xenofoba che incolpa soprattutto i paesi del sud dell’Europa,” scrive appropriatamente Wolfang Muchau (www.eurointelligence.com). Le crisi fiscali in Spagna e Irlanda sono in verità scaturite da un contesto di mercato ritagliato sulla Germania, e il comportamento fiscale greco aveva ricevuto l’aperta benedizione del governo tedesco, venuta meno quando i socialisti sono andati al governo. La Germania questo dovrebbe apertamente spiegare ai propri cittadini, e che essi saranno chiamati a pagare persino nell’ipotesi di una insolvenza regolata. Dovrebbe anche dire che un ruolo attivo della Bce nel sostenere quei debiti minimizzerebbe i costi per tutti.
Ma cosa dovrebbe seguire alla procedura d’insolvenza proposta? Poiché i paesi coinvolti non riguadagnerebbero facilmente l’accesso ai mercati finanziari per finanziare la parte non condonata del debito, il sostegno dell’Ue si renderebbe necessario (il ruolo attivo della Bce è naturalmente anatema). Ma con teutonica puntigliosità gli economisti tedeschi precisano che ciò dovrà avvenire a tassi punitivi per evitare futuri moral hazard (quelli tuttavia trascurati nel caso degli aiuti alle banche tedesche). In poche righe essi liquidano la “questione chiave” di come “gli stati indebitati possano, dopo aver concluso la rinegoziazione del debito, riguadagnare la competitività”, argomentando che poiché “la Eurozona non consente svalutazioni nominali, la competitività internazionale può essere ristabilita solo attraverso riforme strutturali negli stati interessati.” Tali riforme strutturali – la lista è ben nota, maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, tagli allo stato sociale, all’istruzione, agli investimenti, alla cultura ecc. – dovrebbero essere seguite dal Fmi data la sua “ampia esperienza in quest’area.” Si tratta, noi sappiamo, della esperienza delle “decadi perdute” dai paesi in via di sviluppo. Questi però potevano almeno contare sulla svalutazione della loro moneta per attenuare gli aspetti più feroci dei famosi pacchetti loro imposti dal Fmi in cambio della ristrutturazione del debito. Ma oggi persino il Fmi di Strauss-Kahn e Blanchard, teso a rifarsi il maquillage, respingerebbe imbarazzato al mittente le proposte tedesche come irricevibili. Per riassumere, la proposta di una ristrutturazione del debito è benvenuta, ma non nei termini proposti dalla dichiarazione. (5)
Con grande fretta, ma cinismo è una espressione più appropriata, la dichiarazione riconosce che “nondimeno, reazioni recessive agli aggiustamenti strutturali non saranno completamente evitabili.” Gli economisti tedeschi appaiono poco interessati circa la devastazione sociale, culturale e politica che seguirebbe alle loro politiche, mentre nessuna persona seria può credere che quei paesi sarebbero in grado di riguadagnare la propria competitività nel bel mezzo di una feroce recessione. Inoltre, le conseguenze di questa sarebbero subite dalla stessa Germania, così dipendente dalle esportazioni.
Ma questo paese sta forse ormai guardando altrove, alle economie emergenti, come sbocco delle proprie esportazioni. In tal senso va letta l’opposizione degli economisti tedeschi alla “all’impiego da parte della Bce delle sue politiche monetarie a sostegno di questi paesi [periferici]”, politiche che “metterebbero in pericolo la reputazione e l’indipendenza della Bce”. Nel presente contesto di crescenti aspettative inflazionistiche la Bce dovrebbe evidentemente, secondo questi economisti, tornare nel ruolo tradizionale ereditato dalla Bundesbank di cane da guardia dei salari tedeschi e dunque della competitività internazionale della Germania.
Se l’Europa non fosse nel mezzo di una situazione a dir poco preoccupante, la dichiarazione in oggetto potrebbe essere accantonata come rappresentativa di una spiacevole tradizione di ristrettezza intellettuale, ipocrisia e arroganza. Non passerebbe un test da primo anno di economia, è stato affermato in un autorevole sito (www.eurointelligence.com). Sfortunatamente essa è parte di uno scontro di interessi nazionali in ambito europeo. Va qui però osservato che dal principio della crisi europea le cose si sono spesso mosse contro le preferenze e le incertezze tedesche. La speranza è dunque che la Germania, come risultato delle circostanze e della pressione politica dei partner europei, accetti progressivamente e seppur con costoso ritardo, quello che per lei era poco prima impensabile: politiche fiscali e monetarie attive e coordinate, un tocco di inflazione domestica, una più equa distribuzione del reddito. Sotto la pressione degli eventi, proprio per il discredito che apporta alla Germania, questa dichiarazione, piena di mezze verità e di argomenti che buona parte degli economisti mondiali riterrebbe assai deboli, potrebbe aiutare il progresso di soluzioni politiche ed economiche più ragionevoli.
(Una versione in inglese di questo articolo è stata pubblicata in www.networkideas.org.)
1 Il documento è stato approvato da 189 economisti con 7 contrari e 11 astenuti. Fra le firme più note quelle di: Hans Werner Sinn, Jürgen von Hagen, Manfred Neumann, Michael Burda and Volker Wieland. Fra i firmatari v’è almeno una spiacevole sorpresa per alcuni di noi. La lista è nel sito: www.oekonomenstimme.org
2 Per “moral hazard” gli economisti intendono un comportamento imprudente condotto nella sicurezza che tanto altri verranno, a proprie spese, in soccorso. Non v’è, ahimè, una efficace traduzione italiana.
3 La procedura standard adottata nel passato per le crisi del debito nei paesi in via di sviluppo è di un taglio (haircut) di un terzo del debito, si allungano poi le scadenze del resto e si impongono al paese una serie di misure fiscali restrittive volte a contenere le importazioni sì da generare un avanzo commerciale che renda il paese capace di restituire il debito residuo.
4 In un comunicato dell’ambasciata greca negli Usa leggiamo per esempio “Merkel referred to Karamanlis as a ‘political friend’ and praised the Greek government's "productive efforts" on the thorny constitution issue, whereas she lauded Greece's euro zone-leading economic growth, in the neighbourhood of 4 percent annually. Both leaders, in fact, repeatedly called bilateral ties excellent.” (www.greekembassy.org)
5 In questa direzione, in quello che è stato descritto come “a rare show of dissent over the European Commission's economic policies”, la greca Maria Damanaki (commissaria europeo) ha sostenuto che se “the banks were ready to accept their share of responsibility in the situation of restructuring of sovereign debt, fiscal consolidation could be construed in a totally more acceptable way", domandando un “better balance between austerity and growth” e sostenendo che “the response to the crisis has focused too much on pushing deficit cuts and not enough on job creation”. (http://online.wsj.com)
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