Sarebbe stato possibile evitare questa crisi? Forse sì, con misure davvero keynesiane prese per tempo. Ma è difficile uscirne a questo punto, con un "nuovo new deal": nel casinò della finanza l’efficacia di quella strumentazione è dubbia
I ragionamenti controfattuali non sono decisivi, ma possono far pensare. Un esempio di periodo ipotetico dell’irrealtà si trova in Pascal: «Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, sarebbe cambiata l’intera faccia della terra». Ecco: se i provvedimenti di cui oggi si parla a fronte della crisi in atto fossero stati presi a suo tempo, il nostro futuro non sarebbe così minaccioso.
Come si possa uscire da questa crisi, che ha preso la forma di una spirale deflazionistica, non lo sa nessuno. Quali ne siano state le cause - reali, prima che finanziarie - dovrebbero saperlo tutti gli economisti con qualche conoscenza di storia economica e che magari conoscano anche delle teorie diverse da quella che predicano. La crisi attuale non è di origine finanziaria: lo scandalo dei mutui subprime non è la causa della crisi attuale, bensì l’ultimo e fallimentare tentativo, dopo la seconda globalizzazione, la new economy e la finanza creativa, di medicare le contraddizioni di un’economia fondata sul debito.
Una domanda di qualche interesse politico è questa: sarebbe stato possibile evitare questa crisi? Con tutte le riserve circa i ragionamenti controfattuali, la mia risposta è sì. Se fossero state prese per tempo misure davvero keynesiane (una decisa redistribuzione del reddito dai profitti ai salari, l’eutanasia del rentier, e una non piccola socializzazione dell’investimento), questa crisi sarebbe stata medicata tempestivamente e non sarebbe esplosa.
Seconda domanda: quegli strumenti di politica economica che avrebbero potuto evitare la crisi attuale, potrebbero servire per uscirne? La mia risposta è: temo di no. Molti invocano oggi, come possibile soluzione della crisi attuale, un nuovo new deal. Perché quella esperienza è irripetibile? Perché quelle misure non sono state prese a tempo debito, e perché gli strumenti fiscali e monetari erano allora disegnati per un’economia fordista. Nel mondo della finanza, notoriamente un sottoprodotto delle attività di un casinò, l’efficacia di politiche dette keynesiane è dubbia (ne dubitava lo stesso Keynes: «Questa che io propongo è una teoria che spiega perché la produzione e l’occupazione siano così soggette a fluttuazioni: essa non offre una soluzione bella e pronta al problema di come evitare queste fluttuazioni e mantenere costantemente la produzione a livello ottimale»).
Il moltiplicatore di una politica di spesa pubblica, mancandone la base materiale, non sarà molto maggiore di uno. Né potrà essere molto efficace un intervento di stimolo indiretto, mediante una riduzione del tasso d’interesse: in una situazione di deflazione, la conseguenza più probabile è la trappola della liquidità, non l’aumento degli investimenti privati. Quanto all’etica, è come il coraggio per don Abbondio: “Il coraggio uno non se lo può dare”.
La conseguenza è che gravissima è la responsabilità di tutti quanti non hanno fatto ciò che sarebbe stato possibile fare per evitare questa crisi. Lo stesso Keynes aveva però già capito tutto: «La difficoltà sta nel fatto che i leader capitalisti nella City e in parlamento non sono capaci di distinguere i nuovi strumenti e le misure per salvare il capitalismo da quello che loro chiamano bolscevismo». Keynes aggiungeva che se il capitalismo vecchio stile avesse la capacità intellettuale di difendersi, si garantirebbe il potere ancora per molte generazioni, ma che per fortuna dei socialisti è poco probabile che ci riesca. Il fatto è che non ci sono più né bolscevichi né socialisti.
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