Nella crisi italiana i nodi restano quelli definiti dalla lettera della Bce che pone dure condizioni di politica economica al governo italiano. È necessaria una risposta “di sinistra”, realistica nel fare i conti con l’emergenza e credibile nel delineare un programma alternativo
Le discussioni europee al vertice del G20 a Cannes non sembrano trovare una soluzione alla crisi italiana. I nodi irrisolti restano ancora quelli della lettera targata Trichet-Draghi dello scorso agosto, utilizzata nello scontro politico come la scelta ultima e non negoziabile che ci rimane per evitare una deriva rovinosa, nostra e dell’Europa. Siamo in una situazione di stallo, anche a causa di un governo incapace di percepire il pericolo di default del debito pubblico e privo di una visione strategica della politica economica. Ma debole è stata anche la risposta della sinistra alle richieste europee, segnata da un attendismo che appare politicamente suicida.
Sarebbe invece importante una risposta articolata del centro-sinistra ai temi posti dalla lettera della Bce, non solo per segnare la qualità della sua presenza, diretta o indiretta, in un prossimo governo di emergenza, ma soprattutto per qualificarsi come forza credibile di governo sia nei confronti dell’Europa che del proprio elettorato. Una risposta alla richiesta della Bce diversa dalla pura e semplice accettazione avrebbe chiarito le coordinate entro le quali il centro-sinistra intende muoversi non oggi e domani, ma nel purtroppo lungo sviluppo futuro di questa crisi.
Non è difficile tener conto che:
1. La lettera della Bce ha come riferimento un governo di centro-destra e lo richiama al suo programma. Di fronte a una compagine diversa, la lettera probabilmente non sarebbe stata la stessa
2. L’“imposizione” della Bce, nella sostanza e nella forma, appare molto “personale”. Modi e richieste sarebbero state le medesime nei confronti di istituzioni italiane con un diverso maggiore peso e credibilità a livello europeo?
3. È stato detto fino alla noia che il problema non è tanto lo stock del debito, ma il suo rapporto con la crescita. Sebbene il rapporto debito/pil sia l’indicatore di riferimento, è la crescita produttiva a garantire il crescente servizio del debito e questo è ciò che conta per i mercati.
Vi è (era) spazio per “altri” interlocutori di ridefinire le richieste contenute nella lettera in grado comunque di garantire ai mercati la capacità dell’Italia a rispettare gli impegni finanziari presi (il pareggio di bilancio nel 2013 e la riduzione nel tempo del debito), di alleviare così le preoccupazioni della banca centrale (e dell’Ue per quanto riguarda l’Esfs) per l’impegno preso nei nostri confronti, ma soprattutto di mantenere aperta una via non depressiva e iniqua del nostro sviluppo.
Andando al dettaglio, mi sembra che su diversi punti della lettera ci sarebbero solo da fare alcune puntualizzazioni. Sul sistema pensionistico e sui costi del pubblico impiego si potrebbe dimostrare che, con il coinvolgimento delle forze sindacali, è possibile intervenire in maniera equa per controllare la spesa e senza dover ridurre gli stipendi pubblici. Sul sistema di contrattazione salariale collettiva dovrebbe essere naturale per le forze sociali procedere oltre l’accordo del 28 giugno, anche per evitare la strada dei licenziamenti facili. Sulle liberalizzazioni in alcuni casi non si presentano difficoltà, mentre su alcune privatizzazioni (in particolare acqua e alcuni servizi pubblici) il no può essere giustificato (e capito). Sulla spending review si tratterebbe di impegnarsi ad avviarla in maniera pertinente; così come nel render più efficiente la pubblica amministrazione, anche con una seria riorganizzazione dei compiti a livello locale proprio per sfruttare le economie di scala. La costituzionalizzazione delle regole di bilancio, il controllo dell’indebitamento degli enti locali e le clausole automatiche, nella misura in cui esprimono la sfiducia dei partner europei nei confronti della recente gestione della cosa pubblica, potrebbero risultare alquanto smussati nei suoi caratteri prescrittivi in presenza di istituzioni di governo più credibili.
A guardare bene, la maggior parte dei punti, incluso quello riguardante il pareggio di bilancio e la considerazione “principalmente attraverso tagli di spesa", si configurano come interventi (dal lato dell’offerta) per il rilancio della crescita. Che, nella situazione di recessione europea, è una bella contraddizione (e questo lo dicono in molti). Se il punto cruciale è come si fa a rilanciare investimenti e crescita, non si vede perché non dovrebbe essere apprezzata dall’Europa la proposta dell’introduzione di un’imposta patrimoniale – ormai chiesta anche dalla Confindustria – con il cui gettito rilanciare opere infrastrutturali e altre iniziative di stimolo dell’occupazione e della domanda (facilitando da questo lato la riduzione del rapporto debito/pil). Si tratta certamente di un intervento in controtendenza rispetto a quello che ci chiede la Bce, ma non è questo a essere rilevante, bensì la ricerca di un terreno di contrattazione capace di produrre un compromesso che permetta di oltrepassare la stretta contingente difendendo le prospettive di crescita e di equilibrio sociale di più lungo andare.
Certamente si tratta di proposte alternative che dovrebbero avere più approfondita elaborazione per verificare la loro praticabilità – molti contributi in questa direzione sono venuti dal dibattito sulla “rotta d’Europa” apparso in questi mesi sul Manifesto e su Sbilanciamoci.info – ma soprattutto la loro idoneità a contenere le aspettative negative dei mercati e a soddisfare le richieste europee. Ma il segnale più importante sarebbe stata la forte autonoma disponibilità di cooperazione con l’Europa nel trovare una soluzione partecipata all’attuale situazione di crisi; un segnale decisivo sulla “serietà” dei comportamenti futuri dell’Italia poiché orientati a un condiviso modello europeo eretto sul welfare e sulla crescita sostenibile. Ma sarebbe stato anche un doveroso elemento di chiarezza nei confronti del proprio elettorato poiché solo se si riesce a coagulare un ampio consenso elettorale intorno a questa prospettiva sociale, essa può avere un futuro; e la Bce, l’Ue e la Germania potrebbero rinfoderare il loro ruolo di cane da guardia.
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