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Le liberalizzazioni Usa-Ue perdono il volo

08/10/2013

La crisi statunitense blocca il secondo round dei negoziati di liberalizzazione commerciale tra Usa e Ue, convocato dal 7 all'11 ottobre a Bruxelles

Non ci sarà il secondo round dei negoziati di liberalizzazione commerciale tra Stati uniti e Unione europea convocato per questa settimana (7-11 ottobre) a Bruxelles. La sfiducia al bilancio federale che sta paralizzando alcuni (pochi ma essenziali) servizi pubblici oltreoceano ha impedito al capo-negoziatore yankee Michael Froman di imbarcare al completo il suo staff di avvocati, funzionari dell’Ustr e dell’Antitrust ed esperti commerciali (se ne prevedevano tra 80 e 90), e per questo ha preferito soprassedere, dopo aver confermato la sua presenza fino all’ultimo minuto. Non ci nascondiamo che molta parte dei sindacati e della società civile delle due sponde dell’oceano abbia tirato un gran sospiro di sollievo, considerati i terribili impatti che, in una condizione di crisi strutturale del sistema economico-commerciale per come lo conosciamo, potrebbe provocare sulla tenuta sociale e ambientale dei nostri paesi un’ondata di liberalizzazioni selvagge quali quelle previste dagli accordi previsti dalla Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP/TAFTA) in discussione.

Partiamo da una premessa necessaria: i testi negoziali sono classificati come segreti commerciali, e dunque non disponibili al pubblico. Gli staff che ci ragionano su – per l’Europa la Dg Trade – hanno pieno mandato ad elaborarli audendo e coinvolgendo chi meglio preferiscono, e quindi a tenere in nessun conto l’opinione di ciascuno di noi che magari avrebbe anche a che ridire. Il Parlamento europeo viene chiamato ad un voto finale di approvazione, e i Paesi membri alla eventuale ratifica – secondo il Trattato di Lisbona – ma fino al testo finale sottoscritto da Commissione e ministero del Commercio Usa, non c’è alcuno strumento legale che consenta a cittadini, associazioni, sindacati e nemmeno parlamentari, di esaminare e obiettare sulle decisioni intraprese, che non sia quello della sottrazione dei testi più o meno ortodossa. Alla richiesta formale di Corporate Europe Observatory – organizzazione anti-lobby basata a Brussels - di capire chi la Commissione europea aveva intenzione di ascoltare e coinvolgere nella discussione, è stata pubblicata una lista di 130 incontri già svolti tra il 1 gennaio 2012 e l’aprile 2013, in cui, ad esempio, l’unica realtà sociale coinvolta – in una raffica di corporations, think tank, rappresentanze d’industria e servizi, dall’italiano Marchionne ai lobbisti dei cosmetici e del cibo per cani - era stata la rappresentanza unitaria dei sindacati (Etuc).

In questa vera eclissi della democrazia, non mancano tuttavia gli spiragli attraverso i quali far luce su ciò che sta per pioverci sulla testa. L’Osservatorio italiano sul commercio internazionale Trade Game, di cui facciamo parte come Fairwatch insieme a Cgil, Arcs/Arci e Legambiente, ha già pubblicato sul suo blog una prima bozza del documento in discussione ricevuta per vie indirette 1, e sicuramente continuerà ad aggiornare le informazioni, grazie a cittadini di buona volontà preoccupati degli effetti del negoziato in un momento storico già così profondamente segnato e pregiudicato da una crisi non metereologica, ma pienamente evitabile.

Seattle to Brussels (S2B), coordinamento europeo di realtà attive su commercio e giustizia sociale e ambientale cui la mia associazione appartiene, ha elaborato un rapporto molto approfondito sugli impatti dei negoziati in corso sui nostri paesi, a partire dai dati resi noti dalla stessa Commissione Ue nella sua valutazione pre-negoziale, arrivando a ben diverse conclusioni. Qual è la favola che la Commissione sta raccontando per motivare il suo impegno nell’approvazione della nuova partnership? Che potrebbe creare un innalzamento del Pil aggregato per l’area euro dell’1% e che porterebbe con sè decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. “A Brave New Transatlantic Partnership” spiega, infatti, che al massimo a seguito dell’accordo si arriverebbe a guadagnare uno 0,01% in 10 anni, ma che il costo pagato sarebbe di perdite nette di occupazione e mercati, soprattutto in agricoltura, ben più pesanti del potenziale guadagno.

Il pilastro fondativo della nuova partnership poggia su una 'armonizzazione' e un 'riconoscimento reciproco' dei loro rispettivi approcci normativi al fine di creare la più grande zona di libero scambio al mondo. In pratica queste si tradurranno in un arretramento e declassamento delle norme sociali e ambientali e del lavoro attuali, nell'interesse delle grandi imprese e per consentire ai loro capitali e beni di muoversi liberamente in tutto il mondo. Ad esempio, le imprese statunitensi vogliono vedere l'Europa abbassare i suoi standard sul lavoro e il mercato interno, oltre a quel 'principio di precauzione' che è la pietra angolare della nostra politica a tutela dei consumatori, contro gli Ogm, sulla chimica (contenuta nel trattato Reach) per l’ambiente. Altro bersaglio è la politica di sicurezza alimentare più stringente, comprese quelle delle etichettature e delle certificazioni di qualità e d’origine. Le imprese europee, dal canto loro, stanno prendendo di mira gli standard più solidi di sicurezza dei farmaci, di sicurezza dei dispositivi medici e di sperimentazione medico-scientifica, così come il suo sistema di regolamentazione finanziaria oggi più rigoroso.

Facciamo insieme a S2B quattro conti, per capire di che bufala stiamo parlando. Sulla base dei risultati prodotti dai think tank da lei finanziati, la Commissione europea ha affermato che la TTIP potrebbe creare due milioni di posti di lavoro e aumentare il commercio Ue-Usa di oltre 120 miliardi di dollari entro cinque anni 2. Finanziato da alcune delle più importanti società finanziarie del mondo che beneficerebbero di certo della TTIP - tra cui Deutsche Bank, BNP Paribas, Citigroup, Santander, Barclays, JP Morgan - il Center for Economic Policy Research con sede a Londra afferma che un accordo commerciale transatlantico potrebbe portare guadagni economici per l'Ue da 119 miliardi di euro l'anno, che si tradurrebbero in un aumento medio di 545 euro di reddito disponibile ogni anno per una famiglia europea di quattro persone. Tuttavia, il Prof. Clive George , economista senior presso l'Università di Manchester, che fino a poco tempo fa ha condotto molte delle valutazioni d'impatto della Commissione europea sui negoziati commerciali, ci avverte che tali dichiarazioni devono essere trattate con cautela, in quanto "i modelli economici su cui tali stime sono basate ... sono stati descritti da alcuni dei modellisti leader come altamente speculativi".3 Il Prof. George nota che molte delle affermazioni entusiastiche fatte sui vantaggi economici della TTIP, si basano su una previsione di crescita economica dello 0,5% che l' Europa stessa nella propria valutazione d'impatto fatta dalla Commissione descrive come 'ottimistica'. Lo scenario più probabile identificato dalla valutazione d'impatto, stima invece un aumento del Pil di poco più del 0,1 percento, (vale a dire un aumento del tasso di crescita del Pil del 0,01 percento per il periodo di dieci anni), che, come il Prof. George note , "è banale, e la Commissione europea lo sa”.4

“Le Lobbies di entrambe le sponde dell'Atlantico – commenta Kim Bizzarri, autore del Rapporto - vedono il segreto dei negoziati commerciali come un’arma per sbarazzarsi di politiche volte alla tutela dei lavoratori e dei consumatori”. E se permetteremo che la loro lista della spesa si trasformi in politica che riguarda tutti, essi concentreranno nelle loro mani ancora potere economico e politico, lasciando tutti noi ancora più indifesi. Pensiamo davvero di potercelo permettere?

 

 

Il rapporto “A Brave New Transatlantic Partnership” si scarica qui: http://www.s2bnetwork.org/fileadmin/dateien/downloads/Brave_New_Atlantic_Partnership.pdf

1 http://tradegameblog.com/negoziati/i-negoziati-bilaterali/transatlantic-trade-and-investment-partnership-ttip/

2 European Commission. Independent study outlines benefits of EU-US trade agreement. Memo/13/211. 12 March 2013. http://europa. eu/rapid/press-release_MEMO-13-211_en.htm

3 George, C. and Kirkpatrick, C. (2006) Methodological issues in the impact assessment of trade policy: experience from the European Commission’s Sustainability Impact Assessment (SIA) programme. Impact Assessment and Project Appraisal. 24 (4). pp. 325-334.

4 George, C. What’s really driving the EU-US trade deal? 8th July 2013. http://www.opendemocracy.net/ourkingdom/clive-george/ whats-really-driving-eu-us-trade-deal

 

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