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L’arma a doppio taglio delle sanzioni alla Russia

25/01/2015

Secondo diversi analisti il pacchetto di sanzioni recentemente approvato produrrà nel breve e nel lungo periodo effetti negativi sia sull’economia Russa che su quella Europea

La Russia è uno dei principali partner commerciali dell’Italia. Concentrate prevalentemente nei settori della meccanica, della moda, dell’arredamento e dell’alimentare, le importazioni dall’Italia sono al quarto posto per quel che riguarda le dimensioni dei flussi di beni in entrata verso la Russia. Nel solo 2013, ad esempio, l’esportazione dall’Italia di semilavorati è cresciuta del 10,4% ed il totale dell’export italiano ha superato i 10 miliardi di euro (Fonte ICE, Ministero dello Sviluppo Economico). Si tratta, per la maggior parte, di beni a medio ed alto contenuto tecnologico e, dunque, ad alto valore aggiunto per l’economia esportatrice. Anche il trend delle importazioni verso l’Italia, che dalla Russia significano principalmente beni legati al comparto energetico, ha mostrato una tendenza crescente nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2013 fino alla recente introduzione delle sanzioni economiche da parte della UE nel 2014.

Dato il contesto che si è tentato brevemente di delineare, l’attuale situazione di crisi tra l’Unione Europea e la Russia e, in particolar modo, le sanzioni ripetutamente votate dagli organismi comunitari a Bruxelles, sembrerebbero meritare un analisi attenta relativamente all’impatto che queste potrebbero produrre sia nel paese oggetto delle sanzioni stesse che nell’area che le sta comminando, la UE. In questo articolo si propongono, in estrema sintesi, i risultati di alcune analisi di recente pubblicazione, tese a quantificare l’impatto delle sanzioni nei confronti della Russia (A. Shirov et al, 2014 –Institute for Economic Forecastign; V. Gligorov, 2014 WIIW). La gran parte degli analisti che tradizionalmente si occupano delle relazioni economiche Eurasiatiche affermano che il pacchetto di sanzioni recentemente approvato produrrà, in modo differenziato nel breve e nel lungo periodo, effetti negativi sia sull’economia Russa che su quella Europea. Nonostante questo, la tendenza dei media è quella di enfatizzare la necessità politica delle sanzioni trascurando in molti casi l’approfondimento delle loro conseguenze economiche. Conseguenze che, peraltro, potrebbero verosimilmente influire sul livello di tensione tra i due blocchi, esacerbando gli animi e rendendo più complicata una risoluzione politica e pacifica della crisi in atto.

Nella teoria economica, le sanzioni commerciali si configurano come delle “barriere non tariffarie” al commercio internazionale. Vengono utilizzate, tradizionalmente, per penalizzare in modo più o meno forte ed esplicito un partner commerciale. La sensazione che si ha in questa fase, tuttavia, è che a Bruxelles le decisioni in merito all’adozione delle sanzioni nei confronti della Russia non siano state mosse da una completa e approfondita considerazione circa il grado di integrazione economica che oggi intercorre tra i due blocchi. Se ai tempi dell’Unione Sovietica, lo strumento delle sanzioni era volto in modo esplicito all’isolamento di un “orso russo” il cui grado di isolamento era, invero, già di per se marcato e fortemente autodeterminato, la situazione attuale appare radicalmente diversa. Il grado di interdipendenza in quasi tutti i settori delle economie russa ed europea è oggi notevole e, da questo punto di vista, uno shock negativo sulle relazioni commerciali bilaterali potrebbe produrre un effetto a catena nocivo su entrambi i fronti.

La Russia rappresentava, nel 2013, il 3% del Pil mondiale. Le importazioni di beni dalla UE sono state pari, nello stesso anno, a circa 135 miliardi di euro. Le sanzioni dell’Unione Europea avranno, e in parte stanno già avendo, un sicuro impatto negativo sull’economia russa. Quest’ultima, tuttavia, sembrava trovarsi su di un sentiero di contrazione della produzione aggregata già ad inizio 2013, e cioè prima dell’adozione delle sanzioni, con il Pil che nel primo trimestre del 2013 registrava una crescita dello 0,8%, lontano parente del roboante 4,9% dell’anno precedente. A determinare tale andamento sono stati individuati problemi interni, legati alla corruzione ed all’inefficienza del sistema bancario e all’incapacità di quest’ultimo provvedere efficacemente e prontamente al finanziamento dei necessari investimenti oltre alle avvisaglie delle tensioni ribassiste nel mercato energetico. Oltre al generalizzato rallentamento dell’economia mondiale, particolarmente dannoso per paesi a forte crescita come i BRICS.

Tale scenario, sembrerebbe rappresentare una Russia che, all’alba delle sanzioni europee, si trovava già in un serio affanno e che, fatto non trascurabile, era costretta a rivolgersi al sistema bancario europeo per finanziare quegli investimenti che le proprie banche corrotte spesso non riuscivano a sostenere. Un trend di questo tipo, associato alla precipitosa corsa verso il basso del petrolio e dei suoi derivati avrebbe potuto, in modo sufficientemente autonomo, produrre problemi per gestione del consenso politico interno all’attuale leadership russa. Leadership che, al contrario, trova oggi nel nemico esterno – gli Stati Uniti e la UE, obiettivo privilegiato degli attacchi politici dopo l’introduzione delle sanzioni – e nel retorico richiamo all’unità nazionale un formidabile volano per recuperare consenso e mascherare le proprie responsabilità di fronte ad una crisi economica le cui radici vanno, come abbiamo visto, ben al di là delle sanzioni adottate dalla UE. Inoltre, l’interdipendenza economica tra i due blocchi menzionata poc’anzi avrebbe, a ben vedere, potuto rappresentare uno strumento di contrattazione politica più efficace se ponderata con la dovuta circospezione. L’economia russa, dipende da quella europea anche e soprattutto per la mole di beni intermedi – in particolare afferenti ai settori chimico, farmaceutico e energetico – che importa e che risultano essere essenziali per la produzione interna. Le sanzioni potrebbero, da questo punto di vista, configurarsi come un forte stimolo alla sostituzione delle stesse importazioni di beni intermedi attraverso il rinsaldamento delle relazioni con vecchi e nuovi partners come la Cina o il tentativo di sviluppare maggiormente la produzione interna. Un esito potenzialmente controproducente per quelle che sono le finalità politiche dichiarate del pacchetto di sanzioni di Bruxelles.

Infine, come anticipato inizialmente, le sanzioni non parrebbero essere in alcun modo neutrali per quanto attiene alle conseguenze di queste sul principale partner commerciale della Russia, l’Unione Europea. Le penalizzazioni e le misure restrittive nei confronti delle banche russe autorizzate ad operare in Europa potrebbero produrre perdite – connesse con l’interruzione degli interesse sui prestiti fornite da banche europee ad imprese e banche russe – misurate nell’ordine degli 8-10 miliardi di euro all’anno. Gli stati membri maggiormente interessati in questo senso sarebbero i Paesi Bassi, il Lussemburgo e Cipro. Per quanto attiene all’economia reale invece, l’Italia e la Germania risulterebbero tra i paesi maggiormente colpiti – di qui i recenti appelli a ripensare o ricalibrare le sanzioni delle organizzazioni datoriali in entrambi i paesi – a causa dell’ulteriore riduzione dell’export verso la Russia. In particolare, l’inclusione del settore alimentare tra gli oggetti delle sanzioni, sta producendo e produrrà un effetto negativo diretto e marcato su paesi europei già in forte crisi come la Spagna e l’Italia. Le restrizioni sull’importazioni di beni alimentari, inoltre, sembrerebbero rinforzare particolarmente la retorica nazionalista della leadership russa, efficace in particolare nei confronti delle fasce popolari più deboli, producendo un effetto esattamente opposto rispetto ai desiderata di Bruxelles.

Questa breve panoramica sulle più recenti analisi circa l’impatto delle sanzioni europee nei confronti della Russia sembra delineare un quadro complesso e non particolarmente confortante. In un contesto di recessione generalizzata, un brusco shock nelle relazioni con uno dei propri principali partner commerciali può costituire un appesantimento delle già precarie condizioni del Vecchio Continente. Uno degli studi indipendenti utilizzati qui, prevede per la UE un effetto macroeconomico non inferiore allo 0,5% del Pil. Sul versante politico, reale campo di battaglia e motore delle decisioni nella presente crisi, la situazione non appare meno controversa. A fronte di una situazione interna che vedeva la Russia in difficoltà già prima dell’adozione delle sanzioni, queste ultime potrebbero paradossalmente fornire un argomento retorico di grande efficacia per un leadership poco avvezza ad operare in condizioni di recessione. Una ponderazione maggiore della situazione, della sua evoluzione possibile nel medio-lungo periodo e dell’impatto eterogeneo e contraddittorio che contraddistingue l’attuale impianto delle sanzioni sembrerebbe, per l’Unione Europea, essere più che necessario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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