A parole si sostiene il trasporto ferroviario delle merci, ma nei fatti si continua a incentivare la gomma. I nodi dell'alta capacità e delle liberalizzazioni
Non passa convegno italiano sul trasporto merci e sulla logistica nel quale non si esprima, da parte di un coro quasi unanime di politici, operatori e di esperti, l'orientamento e la volontà di incrementare la quota di mercato della modalità ferroviaria rispetto alla soluzione, largamente dominante, del "tutto strada".
Eppure, nonostante queste reiterate dichiarazioni di indirizzo, continua a succedere esattamente il contrario. Evidentemente, esistono ragioni strutturali che inducono a consolidare uno squilibrio modale che caratterizza, ormai da diversi decenni, il mercato del trasporto merci nel nostro Paese.
Proviamo ad individuare le principali motivazioni che stanno alla base di questo assetto del sistema di trasporto italiano. In primo piano c'è un approccio dislessico alla politica nazionale dei trasporti, in quanto, mentre si dichiara di voler perseguire l'obiettivo di un riequilibrio modale, ci si ostina a fare esattamente l'opposto:
Accanto alla palese contraddizione delle politiche pubbliche, si affianca una dislessia nelle scelte di investimento infrastrutturale, che a parole perseguono la linea di favorire la soluzione ferroviaria per il trasporto delle merci, salvo poi ad inseguire solo la retorica dell'obiettivo, mancandone completamente la sostanza.
Facciamo l'esempio del quadruplicamento delle linee ferroviarie principali del nostro Paese, realizzato secondo la formula dell'"alta capacità”, attrezzando quindi le nuove linee secondo standard adeguati anche al transito dei treni merci. In questo modo, l'opera è certamente costata molto di più rispetto alla sua realizzazione con l'esercizio per i soli treni passeggeri, avendo dovuto adottare, nella fase di progettazione e di realizzazione dell'opera, criteri adeguati anche al transito di convogli merci.
Ma, avendo per il momento fissato il pedaggio di accesso alla nuova rete per i treni merci ad un valore incompatibile con la capacità economica di questo segmento di mercato (circa 6,5 euro a treno/km per i treni merci sulla nuova rete, rispetto ai circa 2,5 euro a treno/km per la rete tradizionale), si è solo raggiunto l'obiettivo di far costare di più l'alta velocità senza dare un sostanziale vantaggio aggiuntivo per l'incremento di capacità infrastrutturale dedicato al trasporto delle merci nel nostro Paese.
Intanto, si continuano a non realizzare, o a rimandare nel tempo, quelle “piccole opere” nei nodi infrastrutturali, ed in particolare nei porti, nelle grandi aree metropolitane, nelle linee di adduzione ai grandi scali merci ed ai valichi, che potrebbero portare effettivo ed immediato vantaggio in termini di sbottigliamento delle reti e dei corridoi a maggiore vocazione per il traffico merci.
C'è poi l'approccio dislessico alla liberalizzazione ferroviaria: anche in questo caso molta retorica e poca attenzione ai fatti economici. L'incumbent (vale a dire l'operatore ex monopolista del trasporto ferroviario delle merci, Trenitalia Cargo) registra strutturalmente una forte perdita a conto economico, e quindi non c'è da ripartire tra i nuovi entranti una rendita del monopolista.
Al più, come sta accadendo, c'è da erodere qualche nicchia di maggiore attrattività economica, in un mercato come quello ferroviario nazionale, abituato piuttosto alla paradossale rendita del consumatore, soprattutto per alcuni segmenti di mercato, come quella della intermodalità terrestre nazionale.
Nonostante gli adeguamenti di prezzi adottati negli ultimi anni da Trenitalia Cargo, su questo segmento di mercato il prezzo di vendita è ancora al di sotto del costo di produzione dell'operatore più efficiente. In queste condizioni, è evidente che non esistono le condizioni perché si possa sviluppare un mercato sostenibile: andrebbero quindi adottate politiche di accompagnamento, di duplice dimensione:
dall'altro politiche industriali a sostegno della ristrutturazione industriale dell'incumbent.
Se vogliamo che l'Italia disponga ancora di una rete nazionale di servizi per il trasporto delle merci, soprattutto nelle regioni meridionali del Paese, sarà indispensabile non solo favorire la liberalizzazione del mercato, applicando con rigore le regole comunitarie, ma anche incentivare comportamenti di miglioramento della produttività da parte dell'incumbent, in modo tale che la competizione si determini poi ad armi pari, in un mercato che deve crescere complessivamente, e che non si deve limitare ad erodere i pochi segmenti profittevoli oggi gestiti da Trenitalia Cargo. In caso contrario, vale da dire in mancanza di un risanamento economico e di una svolta di efficienza da parte dell'incumbent accompagnato da incentivi per rilanciare il mercato, il rischio, che si sta determinando nel corso degli ultimi due anni, è quello di un progressivo arretramento del perimetro gestito da Trenitalia Cargo, senza che intervenga un effetto di sostituzione nel trasporto ferroviario da parte di un altro operatore. L'effetto finale sarà, ancora una volta, la crescita del trasporto camionistico.
Ma, per un esercizio complesso di questa natura, bisognerebbe dismettere la retorica d'uso nei convegni, per affrontare i nodi reali e strutturali che stanno sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere le questioni per quelle che sono. Invece, di trasporto ferroviario delle merci si preferisce proprio non parlare, se non con le intenzioni di buona volontà adatte alle pubbliche occasioni, lastricate poi di pessime decisioni di politica dei trasporti.
Anche nelle discussioni di queste settimana attorno al tema dell'alta velocità, al più si sottolinea la necessità di riequilibrare il sistema per soddisfare anche la domanda di trasporto dei pendolari, soprattutto nelle grandi aree metropolitane. Le merci, che non hanno voce, continuano, ragionevolmente sempre di più, a viaggiare tranquillamente sui camion.
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