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Tpp, che cosa è e quali conseguenze avrà

13/10/2015

Il TPP è più un affare di geopolitica che di commercio. L’obiettivo principale per gli Stati Uniti e il Giappone è di superare in dinamismo la Cina e di creare una zona economica che bilanci la forza economica di quest’ultimo paese nella regione. Inoltre, e parallelamente, quello di scrivere le regole dell’economia del XXI secolo

L’ipotesi del cosiddetto accordo di libero scambio dell’area Pacifico (Trans-Pacific Partnership, TPP), che è stata approvata di recente ad Atlanta dai governi di dodici paesi americani ed asiatici, presenta delle prospettive incerte. Non si sa se i parlamenti nazionali approveranno l’accordo, si ignora se esso contribuirà in qualche modo allo sviluppo dei paesi firmatari, mentre si discute, infine, se esso riuscirà a frenare in qualche modo lo sviluppo economico cinese e la crescita della sua influenza politica, tentativo di freno che appare lo scopo principale dell’attivismo statunitense.I contenuti dell’accordo non sono ancora noti con precisione; si conoscono peraltro i suoi contorni di massima e possiamo dunque ricordarli brevemente, seguendo in particolare, ma non solo, le tracce di un articolo del New York Times (Granville, 2015).

Lo scopo ufficialmente più importante del trattato è quello di creare una zona di libero scambio; va peraltro sottolineato che già oggi gli Stati Uniti e molti altri paesi hanno tra di loro relativamente poche tariffe residue, anche se alcune rimangono. Molte erano comunque le controversie aperte, ma esse sono state superate con dei complicati compromessi.

Ufficialmente il trattato imporrebbe poi standard ambientali più rigorosi (ma, a quanto sembra, ci si limiterebbe in realtà a impedire il traffico internazionale di animali selvaggi e la pesca eccessiva da parte dei paesi membri); per quanto riguarda il tema del lavoro, si farebbe riferimento agli standard dell’ILO, mentre sarebbe prevista una supervisione accresciuta dei diritti di proprietà intellettuale.

I vari paesi si dicono poi d’accordo nel lasciare liberà di trasferimento tra i vari paesi dei dati internet, proprio nel momento in cui una corte europea sancisce invece che tra Europa e Stati Uniti una clausola simile non è valida. Il trattato cerca poi di aumentare le opportunità per il settore dei servizi, nel quale gli Stati Uniti hanno un vantaggio competitivo, quali finanza, engineering, software, educazione, tecnologie legali ed informatiche. Per quanto riguarda le imprese a capitale pubblico, viene sottolineata la necessità di contrastare i favoritismi ad esse garantiti. Viene approvata la tanto discussa clausola dell’arbitrato privato internazionale nelle controversie tra multinazionali e stati nazionali, anche se la sua applicazione viene esclusa per l’industria del tabacco. Infine i vari paesi si impegnano a non effettuare svalutazioni competitive per favorire i propri esportatori.

Nella sostanza il trattato, oltre a liberalizzare gli scambi commerciali, si preoccupa nella sostanza soprattutto di fissare le regole del gioco che fanno più comodo alle grandi multinazionali statunitensi e, in via subordinata, a quelle giapponesi.

L’accordo sarà approvato dal Congresso?

Ma appare difficile far accettare l’accordo, oltre che a diversi altri parlamenti nazionali, al Congresso statunitense. Intanto quasi tutti i rappresentanti democratici e la stessa Hillary Clinton appaiono contrari. Essi temono che venga minacciata l’occupazione manifatturiera e siano incoraggiati prezzi più elevati per molti prodotti di elevata qualità, diffondendo gli standard statunitensi per la protezione dei brevetti ad altri paesi. Anche la regola dell’arbitrato privato raccoglie ostilità (Granville, 2015). Nel campo repubblicano, mentre molti sono favorevoli al trattato in quanto liberalizza i commerci, altri sono ostili a varare qualsiasi legge proposta dal presidente. Le difficoltà sono accresciute dal fatto che la discussione in parlamento si svolgerà fra diversi mesi, quando la campagna elettorale sarà entrata maggiormente nel vivo. È legittimo pensare che l’accordo verrà alla fine bocciato almeno alla camera dei rappresentanti (Zornick, 2015).

I possibili vantaggi del trattato

I corifei dell’accordo sostenevano qualche tempo fa che esso avrebbe portato molti benefici in termini di sviluppo economico e di occupazione. Ma le stime più recenti sottolineano che la crescita del pil attribuibile al trattato sarà praticamente nulla, mentre nessuno è in grado di sostenere con degli argomenti ragionevoli che esso avrà qualche effetto positivo sull’occupazione.

Mentre il maggior vantaggio economico andrà alle multinazionali statunitensi che avranno libero gioco su molti fronti, sul piano politico l’accordo appare un tentativo di far aumentare l’influenza degli Stati Uniti in due continenti (Asia ed America Latina) nei quali essa andava diminuendo.

I rapporti con la Cina

In effetti il TPP è più un affare di geopolitica che di commercio. L’obiettivo principale per gli Stati Uniti e il Giappone è di superare in dinamismo la Cina e di creare una zona economica che bilanci la forza economica di quest’ultimo paese nella regione; inoltre, e parallelamente, quello di scrivere le regole dell’economia del XXI secolo, dal flusso dei dati tra i vari paesi a come alle imprese statali sarà permesso di competere internazionalmente (Donnan S., 2015).

L’accordo mira anche a legare più strettamente a se alcuni stati sudamericani più moderati, mettendo un cuneo rispetto a quelli più lontani da Washington.

Obama ha ripetuto più volte che, se non saranno gli Stati Uniti a dettare le regole future degli scambi commerciali, lo farà la Cina. L’argomentazione ci sembra almeno discutibile: a nessuno è venuto in mente che sarebbe molto meglio che tali accordi fossero concordati e non decisi in maniera unilaterale?

La battuta del presidente Usa rivela comunque il vero scopo del trattato, aspetto fondamentale della strategia cosiddetta di pivot sull’Asia. Ma il paese asiatico nel 2014 ha già superato, utilizzando almeno il criterio della parità dei poteri di acquisto, il pil statunitense e nel 2015, nonostante le catastrofiche previsioni di tanti guru improvvisati sullo stato dell’economia di quel paese, esso aumenterà in misura rilevante il suo vantaggio.

L’accordo non sembra tale da riuscire ad erodere le posizioni cinesi; il paese ha rapporti economici sempre più stretti con praticamente tutti gli stati della regione, con molti dei quali ha concordato dei trattati di libero scambio (Perlez, 2015).

Nel frattempo la stessa Cina ha varato un gigantesco insieme di società finanziarie internazionali e di grandi progetti- tra i quali quello della cosiddetta “nuova via della seta”-, che potrebbero, messi insieme, configurare un nuovo grande salto in avanti del paese a livello internazionale. Già oggi comunque essa appare il maggior prestatore di fondi della regione e lo sarà sempre più in futuro. In termini di competizione commerciale, l’accordo dovrebbe avvantaggiare gli Usa solo molto marginalmente, anche perché c’è solo una molto leggera sovrapposizione nel tipo di beni che i due paesi esportano ai membri asiatici del patto.

In ogni caso il paese, almeno ufficialmente, ha accolto con tranquillità la notizia dell’accordo e il ministro per il commercio cinese ha dichiarato che egli dava il benvenuto al trattato (Zhong Nan, 2015).

Lo stato di avanzamento del TTIP

L’approvazione da parte dei governi dell’ipotesi di trattato porta a chiedersi a che punto è invece la discussione relativa all’altro accordo in discussione, quello che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa.

La prossima tornata di negoziati sul tema si terrà a Miami a partire dal 19 ottobre.

In questo caso l’accordo appare molto più difficile sulla carta, dal momento che ci sono una serie di punti sui quali paesi come la Germania e la Francia non sembrano disposti a compromessi al ribasso.

I punti controversi sono ad esempio elencati in un articolo de Le Monde (Vaudano, 2015). Intanto gli europei chiedono l’accesso ai mercati pubblici americani, per il momento riservati in gran parte alle imprese locali, l’accesso ai mercati agricoli e agroalimentari, nonché il riconoscimento delle indicazioni geografiche, come i marchi champagne o parmigiano, tutte questioni sulle quali gli statunitensi fanno orecchie da mercante. Inoltre e soprattutto essi contestano l’opacità delle discussioni, che si svolgono strettamente dietro porte chiuse e domandano la sostituzione dei tribunali arbitrali privati con una giurisdizione pubblica, di nuovo temi sui quali gli Usa fanno finta di non aver sentito.

Ma vedremo cosa succederà a Miami. Forse è un po’ azzardato sostenerlo, ma la “scoperta” recente negli Stati Uniti della questione Volkswagen non potrebbe essere funzionale ad un ricatto verso la Germania su questo fronte?

Intanto il collettivo Stop Tafta ha rimesso alla Commissione Europea una petizione a favore del blocco dei negoziati che ha raccolto nel continente 3,2 milioni di firme.

 

Testi citati nell’articolo

-Donnan S., TPP trade deal: seven things you need to know, www.ft.com, 5 ottobre 2015

-Granville K., The Trans-Pacific Partnership trade accord explained, www.nytimes.com, 5 ottobre 2015

-Perlez J., Us allies see TPP as a check on China, www.nytimes.com, 6 ottobre 2015

-Vaudano M., Traité transatlantique : pourquoi la France menace de stopper les négotiations, www.lemonde.fr, 28 settembre 2015

-Zhong Nan, Beijing says it welcomes TPP deal, www.chinadaily.com.cn, 7 ottobre 2015

-Zornick G., ATPP deal is finally reached, but don’t assume it will pass Congress, www.thenation.com, 5 ottobre 2015

 


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