Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Il decimo comandamento

13/09/2014

Diabolico perseverare/Come, quando e dove? Nel documento «Sblocca Italia» sull'energia, non esistono «specifiche» sugli investimenti

Il decimo comandamento per noi è «Non inquinare o almeno ripulisci». Il decimo e ultimo punto del progetto «Sblocca Italia», annunciato all'inizio di agosto, è invece diverso e la dice lunga sulle chiare prospettive dell'Italia stessa. Cominciamo dunque con il leggerlo: 10) Sblocca Energia: «Per sviluppare le risorse geotermiche, petrolifere e di gas naturale il progetto prevede investimenti privati nazionali e internazionali per oltre 17 miliardi di euro, con un effetto sull'occupazione di 100mila unità e un risparmio in bolletta energetica per 200 miliardi in 20 anni». Non c'è altro, nel senso che non c'è alcun documento che mostri l'esistenza di uno studio in proposito, una carta con qualcosa di scritto: come e perché e quando e chi. Chi deve investire? Lo Stato, le regioni, i privati? Gli italiani, gli stranieri? Subito o quando? Si parla di 17 miliardi di investimenti, 100 mila nuovi posti di lavoro, 200 miliardi di risparmio e venti anni di tempo.

Sull'ultimo punto sembra di capire che nel corso di vent'anni ci sarebbe un risparmio di 200 miliardi di euro per importazioni evitate. Non ci si dice quando il periodo dei vent'anni potrebbe cominciare, ma per farla semplice potremmo supporre che in media investendo variamente 17 miliardi in tutto nel corso di qualche anno si otterrebbe un vantaggio – la cui forma è oscura – superiore al 100% ogni anno e questo per, appunto, 20 anni. Calcolando in quattro milioni i senza lavoro italiani, si potrebbe risolvere la sorte di un quarantesimo di tutti i disoccupati, per un periodo non determinato.

Vi sono poi gli aspetti tecnici. A parte la geotermia che ha limiti ben conosciuti a Lardarello, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi riguarderebbe a conti fatti Regione Basilicata che conta per due terzi del petrolio e Mare Adriatico che rappresenta gran parte del resto. In Basilicata una parte del ceto dirigente vorrebbe davvero mettere a frutto la "Bonanza" purché una parte consistente del valore degli idrocarburi rimanesse in Regione. Solo così si potrebbe consentire lo sconquasso, forse irrimediabile, di Val d'Agri con la conseguenza di mettere a rischio la vocazione alle attività agricole, culturali, e turistiche. Quanto varrebbe, in termini negativi, questa corsa al petrolio lucano e al gas, con pregiudizio per le spiagge e i borghi? Un miliardo, due miliardi l'anno sottratti a buoni lavori? Quanti i posti di lavoro perduti?

Il caso dell'Adriatico è ancora sommerso. Ha cominciato Romano Prodi a teorizzare, tra aprile maggio, il famoso principio delle «due cannucce»; Con eleganza d'immagine, il professore sostiene che se la Croazia succhia petrolio in Adriatico con la sua cannuccia devo poterlo fare anch'io che sono l'Italia. I potenti italiani, rappresentati al governo dalla ministra per lo sviluppo economico Federica Guidi sono stati più attenti e si sono molto emozionati per le dichiarazioni croate sulla ricerca petrolifera in mare, dalle parti dell'isola contesa di Pelagosa. Invece di ostacolare con molte buonissime ragioni quelle iniziative, come hanno fatto Nichi Vendola e Luca Zaia, presidenti della Puglia e del Veneto, il governo italiano, forse sospinto dalle lobbies pagate dalle multinazionali del settore, vuole partecipare alla ricerca di idrocarburi nel mare un tempo nostrum e cioè non solo rispondere colpo su colpo; ma anticipare le attività altrui. È sicura la controversia con i croati, che hanno anticipato la propria volontà di ricerca; già si prefigurano altri scontri con altri rivieraschi: gli sloveni, i montenegrini, perfino gli albanesi. Che l'Adriatico, un mare stretto chiuso, molto delicato, il mare di Venezia e di Dubrovnik, di Trieste e di Pola, del Gargano e di Cherso, possa finire per rompersi non interessa ai governi. È un fatto però che l'Adriatico non potrà reggere centinaia, forse migliaia di pozzi, di strutture galleggianti, con decine di navi per organizzare la produzione, trasportare il petrolio e il gas. Si renderebbe invivibile un mare bello come tutti i mari, forse di più, ma di certo molto fragile. Ora il nostro governo prende tempo; forse spaventato dai presidenti di Veneto e Puglia, emette alla fine di agosto un altro comunicato «Sblocca Italia» (?) (che si può leggere integralmente all'indirizzo.....) in cui trascura completamente il problema dell'Adriatico e si limita a strizzare l'occhio verso la Basilicata facendo capire che le royalities regionali potranno aggirare i vincoli di bilancio.

Venti secondi finali per due osservazioni. In primo luogo, orientare il sistema energetico italiano al petrolio invece che alle rinnovabili e alla riduzione dei consumi è un errore di civiltà. E questo vale, subito, per la Basilicata. Inoltre perfino in Atlantico, alle Canarie, come hanno scritto Marina Turi e Massimo Serafini per Sbilanciamoci e sul manifesto, c'è un movimento contro le trivelle. Occorre fare lo stesso in Italia e insieme negli altri paesi bagnati dall'Adriatico. Anche da noi dovrebbe affermarsi una mobilitazione e qualcosa che – con studi appropriati e progetti alternativi – mostri quanto è inutile e ridicolo il sacrificio dell'Adriatico.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS