Senza la separazione tra attività commerciali e finanziarie delle banche, la Bad Bank finirebbe per spostare il rischio concentrandolo da qualche altra parte. Intrappolando il sistema pubblico nel ricatto di dover poi intervenire a “salvare” istituti troppo grandi che abbiano “sbagliato” a scommettere
Alcuni recenti contributi su Sbilanciamoci e NelMerito hanno analizzato la questione della Bad Bank, cioè della costituzione di un organismo che compri i crediti in sofferenza o deteriorati, al fine di ricapitalizzare le banche. Infatti i crediti dubbi aumentano il livello di rischio della banca e richiedono capitale in copertura, alterando le possibilità di assumere nuovo rischio attraverso l’emissione di finanziamenti, con conseguenze nefaste per l’economia reale. Inevitabilmente si parla di un intervento pubblico attraverso una funzione iniziale di acquisto dei crediti o di una garanzia che permetta di abbassare il rischio dell’organismo in costituzione e quindi favorisca l’afflusso di capitali privati.
A mio avviso ci sono elementi tecnici rilevanti che non sono stati affrontati. In particolare, esistono considerazioni generali e specifiche che andrebbero messe in luce.
A livello generale, esiste un problema di finanza pubblica e uno di rischio sistemico. Il primo, banale ma non trascurabile, è che un’intervento pubblico necessita di una valutazione su quali siano gli spazi concreti di azione permessi da Bruxelles. Il secondo attiene al fatto che se il compito della Bad Bank è quello di rimettere in circolazione questi attivi, senza il più volte discusso ma mai attuato criterio di separazione tra attività commerciali e di speculazione degli istituti finanziari si rischia di “spostare” il rischio e concentrarlo da qualche altra parte, intrappolando il sistema pubblico per l’ennesima volta nel ricatto di dover poi intervenire a “salvare” istituti troppo grandi che abbiano “sbagliato” a scommettere.
Dal punto di vista specifico ci sono questioni tecniche importanti. Innanzitutto bisogna identificare qual è la ratio di un intervento pubblico. A meno che non si tratti di un semplice sussidio (su cui si tornerà nella chiosa finale), ci sono solo due possibili motivazioni: (a) costi di transazione; (b) problemi di informazione. Nel primo caso, avviene che i crediti sono commerciabili a un prezzo X (comunque scontato rispetto al valore nominale dell’attivo) al dettaglio, prezzo che le banche possono effettivamente sopportare, tuttavia questo richiede tempo e se per ragioni contingenti le banche hanno bisogno di liquidità allora devono accettare uno sconto ulteriore, vendendo a Y minore di X, situazione che sarebbe per loro insostenibile.
Nel secondo caso, accade che per ragioni di asimmetria nell’informazione o di incertezza i crediti (o buona parte di essi) siano effettivamente vendibili al prezzo X, ma sul mercato non sia in questo momento possibile trovare acquirenti. È il caso del mercato dei bidoni: i compratori sanno che tra i crediti ce ne sono alcuni che hanno un valore e altri che sono “spazzatura”. Siccome solo il venditore ha la capacità di distinguere, il compratore accetterà di pagare un prezzo che sarà più basso del valore dei mutui “buoni” (cioè quelli in sofferenza ma che valgono X) perché sconta la possibilità che gli rifilino un bidone. A questo punto è ovvio che se il prezzo è minore di X, il venditore piazzerà solo bidoni, il compratore lo intuisce e il mercato si blocca. Ci possono essere altre ragioni (come per esempio distorsioni comportamentali tra gli acquirenti), ma la logica non cambia di molto: i crediti “valgono” X ma le banche non sono capaci in questo momento di realizzare un prezzo maggiore di Y (che è inferiore a X).
Se è così, allora la Bad Bank compra al prezzo X e rimette sul mercato gli attivi, essendo capace (per ragioni patrimoniali) di affrontare i tempi o di ottenere le certificazioni istituzionali, tali da realizzare il prezzo che riflette il valore degli attivi.
Tutto torna, salvo un particolare tutt’altro che indifferente: come calcoliamo X? Le banche non hanno nessun incentivo a dire la verità (altrimenti il problema informativo cadrebbe per definizione). Sarebbe anche da evitare il ricorso ai leggendari enti terzi indipendenti con la capacità istituzionali di valutare correttamente: quante crisi finanziarie servono per capire la debolezza degli enti regolatori e il rischio di cattura di fronte al sistema finanziario?
Una possibilità semplice è definire un qualche meccanismo che coinvolga i dirigenti delle banche. Faccio un esempio semplice, unicamente per chiarire il problema sottostante. Se davvero credono che sia possibile ottenere X dai mutui, allora i dirigenti dovrebbero essere disposti a firmare un contratto dove qualora la Bad Bank non riesca a realizzare X, non distribuiscano bonus o emolumenti fino a che non compensino la differenza X-Y non ottenuta sul mercato. Esiste una letteratura sul disegno di questi meccanismi e si può legittimamente chiedere che sia tenuta in considerazione.
Se invece, di puro sussidio si tratta, dal momento che si ritiene necessario fare uno sforzo per fare ripartire il credito, allora è importante che ci sia un’operazione trasparente, che l’intento di sussidio sia dichiarato (e che naturalmente lo Stato ponga delle condizioni esplicite alle banche in cambio). Esattamente ciò che non è successo con il decreto bankitalia, tanto per chiarire.
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