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Prof e buoi dei paesi tuoi

19/04/2010

Insegnanti regionali doc, e test di dialetto per prendere la cattedra. La Lega si scatena sulla scuola, anche Gelmini annuncia graduatorie regionali. Eppure sono le scuole del Nord, piene di insegnanti che vengono dal Sud, le migliori nei test internazionali. E i numeri sui trasferimenti smentiscono gli allarmi

Lauree e abilitazioni non bastano, secondo la Lega, per fare l’insegnante. Ci vogliono altri due requisiti. Il primo è una residenza di almeno cinque anni nella regione in cui si chiede di insegnare. Il secondo è aver superato un esame di cultura, tradizioni, dialetto locale che dovrebbero essere le singole regioni a definire e gestire. Tutto ciò in un disegno di legge depositato lo scorso 30 marzo a firma dell’on. Paola Goisis, segretaria della commissione istruzione e cultura della camera, già insegnante di lettere e storia in quel di Padova. Ancorché livornese di nascita. Se tale peccato originale – Livorno non è proprio profondo Sud, ma certo non è la Padania santissima – abbia influito negativamente su qualità e risultati della sua esperienza professionale, l’onorevole non lo dice. Anche se per Davide Boni, capogruppo della Lega nel Consiglio regionale lombardo, non c’è da dubitare dei guasti – culturali, identitari, nutrizionali ? – inflitti a studenti e famiglie dal fatto che nelle scuole del Nord approdino continuamente insegnanti “che non sanno neanche cos’è la polenta”.

Ma è una cosa seria, questo disegno di legge (di cui si dice che potrebbe essere iscritto entro l’estate all’ordine del giorno), o questa idea che anche gli insegnanti, come le mogli e i buoi, debbano essere dei paesi tuoi è così insensata e inattuabile che non vale la pena parlarne? Contraria al dettato costituzionale, intanto, lo è di certo. Se l’amministrazione pubblica può, a parità di merito, decidere di dare priorità nelle assunzioni a chi è residente, per nessuna ragione invece può fare in modo che in Lombardia un siciliano con più titoli culturali e professionali venga scavalcato da un bergamasco che ne abbia di meno. Ma non ci si può fermare a questo. Ci sono anche altri motivi di discussione. Il primo è che già lo scorso luglio Goisis si era applicata, e con qualche successo, a far deragliare il disegno di legge sul governo delle istituzioni scolastiche e sullo stato giuridico del personale docente di Valentina Aprea, presidente Pdl della stessa commissione parlamentare. Guarda caso dopo che, sia pure in modo non proprio univoco e comunque limitato a una sola parte della proposta, si era intravista la possibilità di arrivare a qualche mediazione bipartisan. Essenziale a farla andare avanti, visto che il testo Aprea, in cui sono peraltro già contemplati per gli insegnanti albi regionali e assunzione diretta da parte delle scuole, è fermo da così tanto tempo (non c’è gran sintonia, è noto, tra l’ex sottosegretaria di Letizia Moratti e la ministra Gelmini) che i suoi sostenitori cominciano a perdersi d’animo. Ma allora Goisis non era andata oltre un test di “dialetto “ come condizione dell’ immissione in ruolo: così grottesco (quanti sono, e quanto diversi da una valle all’altra, i dialetti locali in Lombardia?) che perfino Maria Stella Gelmini si era potuta permettere di prenderne garbatamente le distanze. Oggi però, col trionfo leghista, il gioco si è fatto più duro. Il nuovo ddl, forzando i tempi del passaggio alle regioni della gestione del personale scolastico, contraddice apertamente la progressività e la cautela dell’intesa tecnica stipulata recentemente tra stato e regioni sull’attuazione del Titolo V. E alle regioni affida, in nome del federalismo, non solo la titolarità della contrattazione collettiva integrativa ma anche il ruolo strategico del reclutamento, finora di competenza esclusiva dello stato. Categoria “statale” per eccellenza , gli insegnanti vengono così quasi completamente “regionalizzati”. In un sol colpo, in sintesi, si materializzano i classici due piccioni . Da un lato una pesante ipoteca sul disegno Aprea, connotato del resto più da un’adesione alle suggestioni lombarde della sussidiarietà targata Compagnia delle opere che al duro regionalismo leghista di tipo veneto. Dall’altro la possibilità di riaprire i giochi, a proposito del Titolo V, rendendo più complicato , in una Conferenza stato-regioni uscita modificata dai risultati elettorali, il passaggio dall’accordo tecnico a quello politico. Piatto ricco, insomma, dall’esito incerto, ma da non sottovalutare.

C’è però forse qualcosa d’altro, di più concreto e stringente, dietro l’esasperato localismo del testo Goisis e le infuocate espressioni di ostilità di chi lo sostiene all’emigrazione intellettuale da Sud a Nord. Che nelle scuole del Nord ci sia un buon numero di insegnanti che vengono da altre aree del paese non è affatto una novità, fin dai primi anni settanta. Attualmente sono il 19,8%, solo 1 su 5, ma in Lombardia gli insegnanti nati nelle regioni meridionali sono il 31% (e un altro 9% viene da quelle del Centro). Sebbene i leghisti strepitino contro la vera o presunta maggiore facilità con cui sotto il Garigliano si ottengono diplomi, lauree, idoneità, iscrizioni agli ordini (e qualcosa di vero deve pur esserci, a vedere il curricolo dell’avvocato bresciano Gelmini Maria Stella), non pare proprio che da questa presenza aliena siano derivate particolari difficoltà , o specifiche disfunzioni. Sono notoriamente le scuole del Nord – dicono indagini internazionali e nazionali - quelle che assicurano i migliori risultati in termini di apprendimento.

E non regge alla prova dei numeri neppure il martellante argomento della discontinuità didattica che deriverebbe dalla cattiva abitudine degli insegnanti di provenienza meridionale di tornare precipitosamente al paesello subito dopo aver acciuffato un’immissione in ruolo in terra veneta o lombarda. L’anno scorso, documenta la Fondazione Agnelli, sulle circa 120.000 domande di trasferimento solo 8.000 erano da una regione all’altra e di queste solo 3.000 da Nord a Sud. Ma quel che conta è che alla fine, dei 72.000 effettivamente trasferiti, siano stati solo 692 gli insegnanti che dalle scuole del Nord Ovest e del Nord Est si sono spostati in quelle meridionali. E neppure si può dare per scontato che in tutti i casi si tratti effettivamente di rientri. Questo tipo di migrazione intellettuale ha, del resto, delle ragioni specifiche, e ampiamente note. Nel mercato del lavoro del Nord l’insegnamento ha sempre visto la concorrenza di altre professioni, in particolare per i laureati in materie scientifiche e tecnologiche, come indicano le tante graduatorie provinciali esaurite o in via di esaurimento e perfino, qua e là, gli incarichi affidati a neolaureati senza alcun titolo professionale. E’ per questo e per altri motivi che il mercato del lavoro scolastico in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna è stato sempre più dinamico e ricco di opportunità che in altre aree del paese. Maggiore lo sviluppo delle scuole materne statali e comunali. Più diffuso nel primo ciclo il tempo pieno e altre tipologie di prolungamento orario. Più numerosi gli istituti tecnici e professionali con orari più lunghi, più discipline, e quindi più personale anche di tipo tecnico rispetto ai licei. E’ ancora la Fondazione Agnelli a calcolare che per un insegnante precario spostarsi al Nord significa accorciare l’attesa dell’immissione in ruolo di almeno due-tre anni. Anche oggi ? Certo, anche oggi, e per motivi che hanno a che fare soprattutto con altri tipi di migrazione.

Tra il 2007-2008 e il 2008-2009, nel sistema scolastico pubblico italiano c’è stata una diminuzione di circa 12.000 studenti. Ma è stato il Sud, dove il calo demografico non è compensato dalla presenza crescente dei figli degli immigrati, a perderne ben 52.000, mentre nel Nord il segno è positivo: più 18.500 nel Nord Ovest, più 19.500 nel Nord Est (e più 2.500 nel Centro). Così in Lombardia nelle graduatorie provinciali degli insegnanti precari gli iscritti non residenti sono il 44%, in Emilia Romagna il 42,5%, in Piemonte il 35%. L’on. Goisis e i suoi vorrebbero ricacciarli come barbari fuori dalle mura, anche a rischio di dover imbarcare insegnanti con titoli culturali e professionali più deboli. O almeno vorrebbero, come dichiara il governatore Cota che ha forse sentito dire che per certe discipline possono esserci liste insufficienti , dare priorità nell’assunzione in ruolo ai “regolari”, cioè ai regolarmente residenti da cinque anni. In singolare analogia con quel che ritengono si debba fare, in tempi di calo dell’occupazione, con i lavoratori stranieri immigrati. Dietro tutto ciò non c’è solo il territorio ridotto a fortino, la cittadinanza a certificato di residenza, la cultura a un impasto tra tradizioni locali e dialetti. Ci sono anche gli effetti di una crisi lunga e ostinata che può fare il miracolo. Può cioè far diventare più desiderabile anche un lavoro modestamente retribuito, ma a tempo indeterminato se di ruolo, come quello dell’insegnante. Anche tipico di quella fannullaggine statale così indigesta al di sopra del Po. E c’è forse anche la percezione dei guai occupazionali che si stanno determinando per effetto dei tagli che il governo di centrodestra, il loro governo, il loro Tremonti, impone alla scuola pubblica. Con tutto quello che può derivarne quando a perdere posto – e a perdere le speranze – siano anche insegnanti, di ruolo e precari, del Nord. Come succede sempre più spesso delle proposte leghiste, anche le più bizzarre e inattendibili, non si può più solo ridere.

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Commenti

Non sono totalmente concorde con l'articolo.

L'articolo ha ragione nel dire che la proposta del "dialetto" è assurda e grottesca.
Meno ha ragione nel criticare la richiesta della residenzialità di almeno 5 anni.
Per prima cosa, TUTTI possono diventare residenti in quella regione, andandoci a vivere e aspettando 5 anni.
Spiace dirlo, ma ci sono molti docenti che si spostano di regione in regione alla ricerca del posto più "sicuro" dove lavorare,
provocando problemi alla continuità didattica e alle liste dei supplenti.
Questo problema può essere risolto con la richiesta o di residenza, ma meglio ancora con il premio di continuità d'insegnamento sulla stessa provincia.
Forse è una riduzione dei diritti dei docenti, ma è un guadagno nella qualità dell'insegnamento, perchè si garantisce la continuità didattica.
Comunque, la residenzialità di almeno 5 o 10 anni è già attiva nella provincia di Trento, approvata da una giunta di centrosinistra, e passata sotto le forche caudine della costituzionalità senza incontrare problemi.
Ma allora sono "razzisti e leghisti" anche quelli di centrosinistra nel trentino?!?!?
Credo che, con una certa cautela, possa essere un'idea buona.
E' una proposta che incontra consenso, e se non vogliamo che venga approvata sulla spinta dei leghisti, credo che il centrosinistra nazionale la debba fare sua.
Altrimenti, continuerà l'emorragia di voti verso la lega da parte del popolo di centrosinistra come successo alle ultime elezioni.
La lega è pericolosa, ma lo è ancor di più ora che è diventata "democristiana" nel suo modo di operare, macinando successi impensabili fino a poco tempo fa. Come ci riesce? Semplice, riesce a captare con pragmatismo le richieste della base, come questa di docenti più vicini al territorio.
Prof. Fabio

scuola

Mi stanno a cuore le sorti della scuola,ma devo dire che mi è difficile patire per il corpo docente ma alla fine il senso civico prevale. sapete ho frequentato la scuola e ora la frequentano i miei figli e gran parte dei genitori oltre il politicamente corretto guardano ai docenti come si guarderebbe un serpente prendere la minima dose di veleno per medicarsi ma non di più.Quando frequentavo le elementari il mio maestro portava in classe la bacchetta e le tirate d'orecchie non si contavano,oggi non ci saranno le bacchette fisiche ma le mazzate che si prendono gli alunni e i genitori non si contano.Diciamo la verità ve la suonate e ve la cantate,ma tra la gente il corpo docente è un ultracorpo.

prof e buoi

Come sempre, bravissima Fiore. Un giusto ed efficace mix di sacrosanto sentimento di indignazione e di razionale smontaggio delle cosiddette ragioni della lega, non mi viene il maiuscolo. Il problema della continuità didattica nelle scuole delle aree periferiche, continuità certo minore di quanto avvenga nelle aree urbane, non si affronta con l'obbligo della anzianità di residenza regionale, ma con un sistema misto di vincolo( devi stare almeno tot anni in una sede) e di incentivo( e se stai in quella sede più disagiata ti pago di più). Non dimenticando che ci sono 60.000 docenti non di ruolo su posti vacanti, su cui avviene il turn over ogni anno( ma la Gelmini ha deciso di assicurare la continuità didattica eliminando i precari,è una vera radicale...).
Quanto all' esame di cultura regionale sarà certo decisivo per dare gli strumenti di gestione e animazione di una classe in cui ci sono sei sette raggazzi di cinque paesi diversi e, soprattutto, tutti i ragazzi che parlano lingue e sognano mondi del tutto diversi da quelli degli adulti semplicemente perchè sono ragazzi....Ti chiamassi Deborah o almeno Samantha o Romina, ma ti chiami Maria Stella!!!!

scuola

Fare ironia sulle "proposte" della Lega è facile, ma anche sterile. Sarebbe più utile ammettere due semplici cose:
1- quali che siano le leggi che vengono avanti, la scuola così com'è è indifendibile
2- una causa formidabile della stagnazione-sfacelo della scuola è l'opposizione totale ad ogni cambiamento dello status quo da parte dei sindacati

conoscete un altro paese nel quale l'unico criterio di discrimine per insegnare è l'anzianità, e nel quale l'insegnante non ha nessun obbligo ad aggiornarsi?
Io insegno da 12 anni, non vi dico quanti insegnanti ho incrociato NON iN Grado di insegnare nè di tenere le classi

punto e a capo

prof e buoi

Il programma della Lega è molto semplice, e tocca corde sensibilissime nel cuore di ogni italiano, sedicente padano o terrone che sia: fare dell' Italia una repubblica fondata sulla raccomandazione, le amicizie, gli agganci, appoggi. Non solo di fatto, come lo è sempre stata, ma finalmente anche di diritto. Nella fattispecie, gli aspiranti raccomandati sono semplicemente gli elettori suoi e del partito alleato. Tutto qui. Nulla di nuovo, in fondo. Test di dialetto? Via, lo sanno anche loro che il dialetto non lo parla più nessuno, e quei pochi che ancora se lo ricordano magari non votano per loro. Il vero test che hanno in mente è un altro: per chi voti?

Ergo...

Cara dott.ssa Farinelli, capirà anche lei che se "sono le scuole del Nord, piene di insegnanti che vengono dal Sud, le migliori nei test internazionali.", vuol dire che gli studenti padani sono i migliori, a dispetto di tanti docenti non doc. Pensi come sarebbero ancora migliori le statistiche con il provvedimento della Gelmini. Mi stupisco che non le sia chiaro questo dato evidente sostenuto da dati inconfutabili. La pura razza padana è incidentalmente infiltrata dalla genetica meridionale, anche in casa Bossi, e i risultati sono alla luce del sole, trota docet. E non si dica che è un approccio razzista. Non è che loro sono razzisti, sono gli altri ad essere meridionali, ergo non capiscono. ;-) Un saluto da un degenerato sangue-misto-padano a causa di un nonno siciliano e carabiniere. Mia madre, degenerata padana, s'innamorò negli anni 60 di un terrone. Praticamente sono figlio di un marocchino e mi lasciano anche insegnare, per ora. Borghezio e Cota sono al lavoro per noi. ;-)

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