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Piano casa, inizia l'era Renzi

18/03/2014

Quali probabilità ha il primo "piano casa" del governo Renzi di incidere in una qualche misura significativa sulla situazione del disagio abitativo?

La slide n° 23, dal titolo "La svolta buona", con cui il presidente Renzi ha sostituito il foglio excel, sul quale aveva promosso di indicare date cifre e chi avrebbe fatto cosa del suo programma di governo, annuncia lo "sblocco del piano casa" per "una casa a tutti".

Dopo la lunga sequenza dei piani casa dell'ultimo governo Berlusconi, questo è il primo dell'era Renzi. I tanti piani di Berlusconi hanno aiutato poche famiglie a risolvere il problema della casa. Quali probabilità ha questo primo "piano casa" del governo Renzi, di fare meglio, e incidere in una qualche misura significativa sulla situazione del disagio abitativo?

Gli interventi previsti dal nuovo piano, contenuto nel decreto legge approvato dal consiglio dei ministri il 12 marzo scorso, possono raggruppati in quattro ambiti: 1) agevolazioni per gli inquilini; 2) diffusione della proprietà differita; 3) vendita e interventi sulle case popolari; 4) incentivazione urbanistica dell’offerta di alloggi sociali. Gli interventi dell’ambito 3) ripropongono misure già previste nei piani del governo Berlusconi; e anche quelli dell’ambito 4) presentano similitudini con alcune impostazioni precedente. I benefici previsti per l’ambito 2) si propongono di rilanciare una forma di intervento già prevista, senza grandi risultati, nei programmi di edilizia agevolata. In questo articolo, ci si occupa dei soli interventi dell’ambito 1).

Meglio poco che niente

Il nuovo piano incrementa la dotazione dei due strumenti per fronteggiare l’emergenza abitativa, aggravata dalla crisi economica. Il finanziamento del fondo nazionale per l’accesso alle abitazioni in locazione viene elevato da 100 a 200 milioni di euro per il biennio 2014-2015. Meglio che niente, considerato che dai circa 400 milioni del suo primo anno di operatività nel 1998, lo stanziamento è progressivamente calato fino ad essere cancellato. Sono, però, assolutamente insufficienti per erogare un contributo monetario per abbattere l’incidenza dei canoni sui redditi degli inquilini più poveri. Il governo ne è consapevole: prevede, infatti, la possibilità di utilizzare queste risorse anche per creare agenzie per l’affitto (alle quale si attribuiscono, forse, eccessivi poteri taumaturgici) e per integrare quelle del fondo a favore dei morosi incolpevoli (famiglie che hanno smesso di pagare l’affitto perché è diminuito, non per loro scelta, il reddito).

La dotazione finanziaria di quest’ultimo fondo viene notevolmente accresciuta, portandola da 40 (stanziati dal decreto legge 102/2013, che l’aveva istituto) a 266 milioni di euro, con una notevole dilazione del suo utilizzo nel tempo, fino al 2020. Quest’anno si possono spendere 39,6 milioni di euro e il prossimo 36,6.

Una bozza del decreto ministeriale contenente le modalità di gestione del fondo, quantifica in 8 mila euro l’importo massimo del contributo che può essere erogato ad ogni famiglia per sanare la morosità. Se tutti quelli che ne hanno necessità, richiedessero il contributo massimo, quest’anno si potrebbero evitare circa 5 mila sfratti. Non esiste una stima di quante famiglie sono nelle condizioni (morosità non colpevole e Ise non superiore a 35 mila euro o Isee non superiore a 26.000) per ricevere il contributo. Si sa, però, che nella sola prima metà del 2013 (ultimo dato disponibile) gli sfratti emessi per morosità sono stati 35.000.

Il criterio di ripartizione dei fondi tra le regioni che li passeranno ai comuni penalizza i cittadini di quelle regioni nelle quali non sono già state attivate misure di sostegno ai morosi incolpevoli. Con questo criterio essi sono penalizzati due volte.

Una cedolare molto secca

Già nel precedente governo, il ministro Lupi, anche allora competente per materia, propose di ridurre l'aliquota della cedolare secca per i canoni concordati al 10% dall'attuale 15%.

Ora il nuovo "piano casa" introduce questa riduzione. La speranza è che possa incentivare la diffusione dei canoni concordati, che sono più bassi di quelli di mercato. La riduzione è limitata al quadriennio 2014-2017. E dopo? Il contratto di locazione a canone concordato può durare cinque anni (3+2). Per i contratti stipulati quest'anno, sui cui canoni le tasse verranno pagate dall'anno prossimo, l'agevolazione durerà per tre anni, per quelli stipulati il prossimo per due e per quelli stipulati nel 2016 solo per un anno. Difficile, con questa limitazione, che il numero dei contratti a canone concordato possa crescere consistentemente: elaborando i dati della relazione tecnica risulta che dovrebbero essere 3.600, verosimilmente tutti relativi ad alloggi finora mai affittati o affittati in nero1.

Se diventerà legge, di questa disposizione si avvantaggeranno, pertanto, soprattutto i proprietari che hanno già affittato i loro appartamenti con un contratto di locazione canone concordato tassato con cedolare secca in scadenza entro ilo 20172.

Questo piano casa estende la possibilità di applicare la cedolare secca - finora limitata ai soli contratti di locazione tra privati - anche ad abitazioni date in affitto a cooperative e Onlus che, a loro volta, subaffitteranno a studenti universitari. La relazione tecnica al decreto legge stima in 1.200 il numero di appartamenti interessati. È un segmento del mercato dell'affitto con una buona presenza di strutture promosse da Comunione e Liberazione.

Vantaggio chiama vantaggio

L’articolo 7 del decreto legge prevede che gli inquilini di un alloggio sociale possano portare in detrazione dall’Irpef 900 euro se il loro reddito non supera 15.493,71 euro e 450 se collocato tra questo limite e 30,987,41 euro. Se si escludono le detrazioni di cui possono usufruire gli inquilini con età 20-30 anni e quelli per i lavoratori dipendenti che si trasferiscono (991,60 euro per tre anni), gli importi ora proposti sono il triplo degli importi concessi ai soggetti che pagano un canone di mercato e quasi il doppio di quelli che valgono per chi paga un canone concordato. Una buona cosa, se non fosse per la temporaneità della misura, valida solo per il triennio 2014-2016; e, soprattutto, se non fosse per la discriminazione che introduce tra soggetti con lo stesso reddito.

Nel regime attuale delle detrazioni già opera una discriminazione ingiustificata che avvantaggia gli inquilini che abitano in case affittate a canone concordato, che possono scontarsi dell’Irpef 495,80 o 247,90 euro (dipende dal loro reddito), anziché i 300 o 150 degli inquilini con contratto a canone libero. Ora viene introdotto una nuova discriminazione, più pesante.

Le famiglie che devono vivere in affitto preferirebbero senz’altro farlo in un alloggio di edilizia sociale, per i quali si pagano, in genere, canoni anche più bassi di quelli concordati, ma la loro offerta non è sufficiente. Per equità, la detrazione più alta andrebbe concessa alle famiglie che pagano un canone di mercato. Il decreto legge, invece, dà di più a chi già paga meno.

Da quanto si ricava dalla relazione tecnica al decreto legge l’impatto della misura sarebbe estremamente limitato: ne beneficerebbero circa 40 mila famiglie, con una perdita di gettito, per il bilancio statale, di poco superiore ai 20 milioni di euro.

L’urna e la casa

L’esame che è stato condotto sugli interventi a favore degli inquilini, contenuti in questo primo piano casa del governo Renzi, mette in luce che il loro impatto sull'emergenza e sul disagio abitativo degli inquilini è, nel complesso, modesto. Non è però modesto l'impatto sull'opinione pubblica della notizia che le famiglie avranno una detrazione dall'Irpef di 900 euro. I titoli e gli articoli dei giornali sono fatti: sui 900 euro, non sul ristretto numero di inquilini che ne trarrà vantaggio; sulla riduzione della cedolare secca sui canoni concordati dal 15% al 10%, e non sul piccolo numero di nuovi contratti di questo tipo che questa riduzione produce; sui 266 milioni di euro per i morosi incolpevoli e non sulla loro spalmatura in 7 anni. I numeri degli effetti prodotti sono rilevanti per tutti coloro che con essi non riusciranno a risolvere il problema della casa. Per il resto bastano i titoli degli articoli, soprattutto con le urne in vista.

 

1

 

La relazione tecnica prevede che la riduzione dell’aliquota dal 15 al 10 per cento possa determinare un incremento dell’adesione al regime della cedolare secca equivalente al 5% dell’importo attuale dell’imponibile da canoni concordati tassati con la cedolare secca. Questo imponibile è stato stimato incrementando del 10% l’imponibile di circa 541 milioni di euro dichiarato nel 2012. Si arriva a 596 milioni, dei quali il 5% ammonta a 30 milioni di euro. Nel 2012 l’importo medio dei canoni dichiarati fu di 8.300 euro. Con questo importo medio dei canoni, per arrivare ad un imponibile di 30 milioni di euro, sono sufficienti circa 3.600 novanta contratti (la cifra potrebbe risultare stimata per eccesso, poiché nel calcolare l’importo medio dei canoni si è ipotizzato una corrispondenza uno a uno tra numero di contribuenti e numero di contratti). Come controprova della plausibilità della stima del numero di nuovi contratti, si può segnalare che la relazione tecnica stima in tre milioni di euro (cioè il 10% di 30 milioni) il recupero di gettito derivante dalle nuove adesioni alla cedolare secca. Naturalmente, se queste nuove adesioni non riguardassero alloggi finora tenuti sfitti oppure affittati in nero, non si avrebbe un recupero di gettito, bensì una perdita.


 

 

2

 

Questo lo si deduce dai calcoli relativi alla perdita di gettito, contenuti nella relazione tecnica al decreto legge, quantificata in circa 30 milioni di euro. Evidentemente, si ritiene che la cedolare secca al 10% non interesserà i proprietari che ora tassano i loro incassi da canoni con l’Irpef, ma neanche quelli che hanno già scelto la cedolare secca (aliquota 21%) sui canoni di mercato. La ragione per cui lo si ritiene, va, probabilmente, ricercata nella difficoltà di copertura del minore gettito, che sarebbe ben più consistente di quello ora previsto: oltre 400 milioni di euro, nel solo caso del passaggio a canone concordato di tutti i contratti che già applicano la cedolare secca sui canoni di mercato.


 

 

 

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