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Perché cambiare la Costituzione?

06/06/2013

Perché avviarsi in gran fretta verso la riforma costituzionale? Perché non sono più le leggi a uniformarsi alla Costituzione, ma è questa a doversi piegare ai dettati neoliberisti. E l’ossessione “governabilità” guida la nuova legge elettorale. Dietro le “larghe intese”, il ridisegno costituzionale calpesta la democrazia

Credo che nessuna delle democrazie europee abbia furia di cambiare la propria Costituzione come l’Italia. Uno apre il giornale e trova un giorno sì e un giorno no l’annuncio di modifiche urgenti. Sabato scorso, il Presidente della Repubblica ci ha informato che vigilerà sui tempi dei cambiamenti, che auspica molto rapidi; anche se in un sistema come il nostro, a dire il vero, il suo compito non sarebbe vigilare sui tempi dei cambiamenti ma sulla fedeltà e permanenza della legge fondamentale sulla quale è stata incardinata la nostra Repubblica.

È dunque da discutere, prima di ogni altra cosa, se i cambiamenti siano necessari oppure, al contrario, rappresentino un vulnus all’immagine fondamentale che ci siamo dati dopo il fascismo. Che cosa sarebbe cambiato nella nostra società al punto da dover mutare i principi stabiliti nel 1948? In verità, come si vede facilmente, è cambiato soprattutto il punto di vista dominante sulla struttura sociale, come se il trionfo del neoliberismo su un impianto che era, come dovunque in Europa, piuttosto keynesiano, comportasse non l’adeguamento delle leggi normali ai principi costituzionali – come dovrebbe essere – ma il contrario. È un problema, anzi – diciamolo – una “malattia” che dovrebbe farci riflettere.

Di fatto, la prima parte della Costituzione del 1948, mancando perlopiù di una regolamentazione legislativa, resta puramente ottativa: che l’Italia sia una repubblica fondata sul lavoro non è che un auspicio, come il diritto di ciascuno ad avere un impiego o una casa. La prima Repubblica ha vissuto al proprio interno lo scontro fra chi voleva rendere effettivi questi principi e chi vi si opponeva; sono rimasti in gran parte irrealizzati. La seconda o terza Repubblica (dipende dai punti di vista) si dà da fare sia a destra sia a sinistra per modificare la seconda parte della Costituzione, cioè l’assetto istituzionale italiano. Già lo ha fatto sul Capitolo V un governo di centrosinistra e adesso quello delle “larghe intese” sembra tutto tentato nientemeno che dal presidenzialismo, preferibilmente “alla francese”, perché sembra meno rigido, in quanto obbliga il presidente, eletto a suffragio universale, ad avere però l’accordo del parlamento, anche se eletto da una maggioranza diversa.

In verità quella francese, ideata da De Grulle, è un monarchia sotto veste repubblicana, abbastanza laica, ma nella quale onori e oneri del presidente sono evidentissimi. Probabilmente De Gaulle li ha voluti per fare la pace in Algeria senza dover passare dalle Camere, come Mitterrand ha abolito la pena di morte. Ma ne è conseguita, e permane, una diminuzione clamorosa del ruolo del parlamento. Se l’Italia deve seguire questa strada, mi sembra elementare che si debba discuterne, almeno quanto ne discussero i padri costituenti; non sarebbe decente che le “larghe intese” fra due o tre grossi partiti decidessero tutto.

Per conto mio, da semplice cittadina che viene da lontano, penso che la discussione vada aperta subito e sono lontana dal credere che il presidenzialismo sia una buona soluzione a problemi e scogli tutti politici, e niente affatto istituzionali. È persino stupefacente che oggi molti movimenti e tutti i partiti, non solo i Cinque stelle, domandino il massimo del riavvicinamento della politica ai cittadini e il massimo del potere nelle mani di uno solo, come sarebbe il presidente. È il paradosso dell’odierna confusione che regna. E si deve al fatto che i partiti, considerati dalla Costituzione canali necessari della rappresentatività, sono diventati all’opposto il collo di bottiglia attraverso il quale è costretta la rappresentanza, con i relativi difetti e quando non l’illegalità. Contro se stessi, i partiti non hanno finora accettato di darsi degli statuti e delle regole che ne garantiscano realmente la trasparenza, ma potrebbero darseli.

Questo vale anche per il finanziamento che potrebbe essere non solo ridotto, ma soprattutto tale da garantire al sistema partitico di rinnovarsi, invece che, come ora, riprodurre soltanto i più forti. Come può presentarsi oggi un partito nuovo? Sono le elezioni che ne confermano o smentiscono la legittimità e il ruolo, tutta la questione del “voto utile” si impaluda qui; se in partenza ad ogni elezione i diversi partiti sono in una diversa posizione di forza e di mezzi, è evidente che ogni competizione viene falsata: nessuna gara sportiva accetterebbe un sistema analogo. Per cui abbiamo pochi grandi partiti difficilissimi da intaccare e piccole formazioni che non riescono ad affermarsi oppure – variante che preoccupa gli uni e gli altri – spinte populiste, del tutto aliene da qualsiasi regola, generalmente nelle mani di un paio di capi, più o meno carismatici, schiamazzanti e incontrollati.

La difficoltà di darsi una legge elettorale che non sia l’attuale capolavoro di Calderoli viene da questa situazione preliminare. È sorprendente come la si accetti, quasi fosse una necessità e non una violazione di quel principio costituzionale per il quale ogni cittadino è uguale nel voto e dovrebbe quindi essere uguale nel diritto a farsi rappresentare. Da un bel po’ di anni, sia a destra sia a sinistra questo principio è stato abbattuto dalla priorità data al concetto di “governabilità”: in parole povere, esso significa passar oltre alla rappresentanza integrale per assicurare artificialmente, attraverso sbarramenti o premi, a una minoranza espressa dal voto una maggioranza di seggi nelle istituzioni legislative. Che non si riesca, perché da quasi nessuna parte lo si vuole, neppure a ridurre il premio di maggioranza attuale, che sposta del tutto la rappresentanza, appare addirittura sorprendente. Di che democrazia stiamo parlando? L’Italia è realmente una democrazia parlamentare o una oligarchia formata dai vertici di alcuni grandi partiti, che dominano le istituzioni? Una come me pensa che i partiti siano necessari per raggruppare e ordinare le diverse idee di società e le misure legislative che ne conseguono; ma non sono affatto la democrazia in sé. Questo è il problema principale di oggi, e implica che ci si confronti di nuovo su cosa intendiamo per democrazia nel 2013. Il documento di Fabrizio Barca, che nessuno in Parlamento discute, affronta in modo interessante il passaggio – che sembra obbligato – fra democrazia rappresentativa e formazione dello stato. Passaggio che sarebbe eliminato se si riconoscesse la differenza radicale fra ruolo dei partiti e ruolo, anzi natura, dello stato.

Fin qui il cambiare o mantenere la Costituzione sembra un tema che riguarda gli assetti istituzionali, che pure sono essenziali, ma non si tratta solo di questi. L’intera struttura dei diritti sociali ne dipende, giacché è evidente che quel che chiamiamo un po’ approssimativamente il welfare si esprime in modo diverso secondo le diverse ideologie, cioè la coscienza di sé e la proposta di assetto istituzionale e di società che avanzano le diverse parti politiche e “sociali”. L’ideologia capitalista tende a ridurre il welfare, cioè i diritti vitali dei cittadini rispetto non soltanto allo stato ma ai poteri economici; la sinistra più o meno socialisteggiante tende, anzi – per la verità – tendeva, ad allargarli; l’ideologia “liberale” a restringerli.

Ne deriva un’idea diversa, per non dire antagonista, delle principali regole economiche: la destra vuole ridurre al minimo la fiscalità, intesa come presenza di uno stato regolatore con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze. La sinistra tende ad ampliarla in senso progressivo (con l’eccezione dell’ipotesi comunista, che anch’essa sarebbe in linea di principio antistatalista, ma in concreto non è mai riuscita ad esserlo, cioè ad esprimere un sistema di regole che non siano “lo stato”). Lo stesso ragionamento vale per la politica “economica”: la destra la vuole lasciare interamente alla mano invisibile del mercato, la sinistra la vorrebbe (la voleva) capace di raddrizzarne le disuguaglianze in nome di un primato dell’equità sociale (quanto questo concetto sia vago è un altro discorso).

Inutile dire che le altre politiche “sociali” ne conseguono. Predicare che fra di esse debbano prevalere “le larghe intese” significa presumere l’esistenza di un interesse comune che in realtà non esiste e, nella migliore delle ipotesi, lasciare le cose come sono, cioè, in Italia, a una vasta predominanza degli interessi costituiti del capitale, oggi dominato dalla finanza; interessi che – ormai è chiaro – non significano neppure garanzia di una crescita produttiva, magari crudele ma sicura. Ecco come agli occhi di una semplice cittadina si presenta il tema delle riforme istituzionali e in esse del presidenzialismo. Vale la pena, anzi è urgente, discuterne nel modo più chiaro e più a fondo. Può darsi infatti che le stesse premesse da cui la sottoscritta cittadina parte siano da discutere; ma allora bisogna farlo nel modo più esplicito.

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Commenti

Ha sempre meno senso parlare di riforme costituzionali

mah... Parlare di sinistra e destra come fossero concetti ad oggi mi sembra impreciso e fuorviante. Le politiche neo-liberiste le ha condotte soprattutto la sinistra, e continua a farlo, insieme alla destra.


Questa idea di destra e sinistra invece è del tutto retrodatata e costringe nuove generazioni non ideologizzate a fare i conti con vecchie ideologie che non trovano riscontro nei dati oggettivi.
La verità a chi non guarda con questi occhiali è quella data da un governo Monti che aumenta le tasse (che dovrebbero essere di sinistra, secondo l'autrice) ma per darle alle banche (e qui sì di sinistra, mps), ma allora qui l'equazione porta a dire che le banche sono di sinistra, e allora sì che si spiega la felicità di fassino nell'avere una banca o il trascinamento dell'italia in 'questa' europa, che di fatto decide le nostre politiche economiche attraverso la bce.
Allora l'equazione sinistra-banche funziona. ma fino a un certo punto, quale? L'articolo 18. Insieme a tante altre cosiddette Riforme i vari governi hanno spinto sempre più l'acceleratore su riforme neo liberiste del mercato del lavoro e sulle privatizzazioni del patrimonio e delle aziende strategiche statali finanche dell'acqua. Le responsabilità sono ampiamente condivise da sinistra e destra e non si possono negare. Da destra e da sinistra è stata lasciata ampia libertà alla 'mano invisibile' del libero mercato.
Ma allora la domanda qual'è?
Secondo me la domanda è: dov'è la sinistra
e dov'è stata negl'ultimi 30 anni?
Avevamo uno stato fortemente assistenziale, diritti per tutti, lavoratori, disoccupati, politiche dell'occupazione, sanità, istruzione e un economia galoppante (cose non del tutto scorrelate forse) e oggi 2013 ci risvegliamo in uno stato che liberalizza il mercato delle persone e non delle merci e dei privilegi, precarizza la vita, privatizza le aziende strategiche che dovrebbero contribuire alla crescita economica dello stato intero, privatizza l'acqua e svende la democrazia a organi bancari internazionali senza controllo democratico ma che al contrario controllano noi, e le nostre politiche di spesa.
Ma cosa è successo e com'è che siamo finiti in questo incubo?
Il colpo di reni che serve oggi alle persone che si ritengono sensibili al sociale e ai diritti dei meno fortunati deve essere forte per riuscire a decostruire i concetti e le ideologie che per troppo troppo tempo ci hanno condotto per mano fino al punto in cui siamo oggi, riuscendo forse a individuare nuovi scenari.
Nel merito dell'articolo penso che la nostra costituzione sia più che sufficiente e che i discorsi intorno al suo cambiamento siano inutili e strumentali a un cambio di focalità da ciò che sono i veri problemi oggi, ben più gravi. I mezzi democratici che abbiamo Oggi bastano e sono più che sufficienti a reintrodurre l'articolo 18, l'acqua pubblica, persino la nazionalizzazione di alcune industrie strategiche in barba ai neo-liberisti di destra e anche lo svincolo da politiche economiche di organi trans-nazionali non eletti (bce fmi), in barba ai neo-liberisti di sinistra (pensate sia un neologismo troppo forte? guardatevi chi ha privatizzato, chi ha sostenuto la riforma dell'articolo18 e non solo, sono riforme da manuale, il manuale sbagliato però, quello con un occhio di riguardo per i grandi creditori) e finalmente decidere democraticamente e con tutto il potere che ci è concesso e doveroso le nostre politiche in base ai Nostri convincimenti, etici e politici.

parlamento

Si parla di ridurre i parlamentari pe ridurre i costi della politica. Mi sembra una dichiarazione di incompetenza perchè i costi si possono ridurre comunque anche se è irrilevante sul bilancio. Il problema mi sembra diverso: servono e in che modo i parlamentari? Se essi rappresentano i cittadini, meno sono meno sono rappresentati i cittadini. Qual'è il giusto equilibro? Ma rappresentano i cittadini? Se sono ligi alle direttive delpartito, essi votano compatti secondo le direttive di partito e in questo modo ne basterebbbero pochi, uno. Se votano secondo coscienza e conoscenza potrebbero affondare una legge voluta dal partito e di conseguenza da chi ha votato quel partito. L'intenzione era quella di discutere una legge per verificarne tutti gli aspetti e quindi di poterla perfezionare, questo soprattutto con i deputati d'ufficio, non è più vero. Le nuove possibilità di comunicazione e di associazione posssono suggerire modi più avanzati di partecipazione diretta dei cittadini, anche se il parlamento deve rimanere il luogo pubblico che ufficializza le azioni del governo.

per uscire dalla morsa neoliberista

E' da lungo tempo che ripeto che la Costituzione italiana è stata sostituita dallo costituzione neoliberista iniziata con le privatizzazioni degli anni 90 (il primo Amato con la privatizzazione delle banca di interesse pubblico e casse di risparmio e così via con Prodi che ha svenduto l'inustria IRI, poi insieme di leggi per imporre la liquidazione dei beni pubblici con Berlusconi-Monti - unica buona notizia recente che la Corte dei Conti sulla base del dettame costituzionale ha accolto il ricorso del comune di Napoli che hanno così potuto driblare il patto di stabilità e assunto 300 maestre ma è una goccia nel mare. per uscire dalla morsa neoliberista - il nostro nodo gordiano - occorre fare un lungo percorso vedasi http://www.circolocalogerocapitini.it/eventi_det.asp?ID=381

repubblica non più democratica e incostituzionale

l'Italia non è più una repubblica democratica perché ha abrogato il primo diritto costituzionale su cui è stata fondata: il diritto al lavoro.
Se i giovani industriali affermano: senza speranza c'è solo la rivolta, cosa devono fare i milioni e milioni di italiane ed italiani da anni senza lavoro, privo totalmente di qualunque reddito? Spararsi o non piuttosto spa...re?
O semplicemente rimbambirsi con il disco rotto Napolitano,che, al punto in cui siamo arrivati di totale frattura tra la Repubblica e il Paese, è anche lui non più costituzionale assieme al Parlamento, al Governo, i partiti e tutti gli organi dello stato?
Ma si sa che una giovane donna e un giovane uomo che abbiano superato i trentacinque anni, per insensate leggi e regolamenti anticostituzionali,approvati da governi e parlamenti infami e da enti dello stato di rapinatori dei diritti dei cittadini, non possono avvalersi di nessuna possibilità di accesso al lavoro,accedendo alle fasulle agevolazioni sbandierate dai governi?
A questo intendeva riferirsi quello pseudo economista miliardario miracolato dall'ineffabile Napolitano,con la nomina a senatore a vita e capo del governa,,quando parlava, miserabile mascalzone, di "generazione perduta" che dio non lo perdoni e certamente non lo perdonerà, se come diceva Franca Rame, dio è comunista e anche donna, mamma diceva il dolce, ingenuo e sprovveduto Giovanni Paolo I°.

costituzione e costituenti

La Costituzione la potranno, eventualmente, AGGIORNARE dei Parlamentari eletti e NON NOMINATI. Non vuole essere una presuntuosa dichiarazione antipolitica e qualunquista ma, prima o poi, lo dovranno capire. E' chiaro a tutti che nessuno ha voluto cambiare il Porcellum e che se è ammesso da tutti che Napolitano accettando il rinnovo inusuale della carica a Presidente della Repubblica si è caricato di una pesantissima aurea di GARANZIA così non potrà essere per un eletto come parrebbe da quanto si legge si sente si propone. Dobbiamo chiedere delle garanzie ! Possiamo aspettare che ci risiano eletti e rappresentanti tipo quelli di 35 anni fa ? Oppure ci dobbiamo accontentare, per forza e spossatezza,di nani e ballerine e di chi ne ha combinate più di bertoldo?

Torelli

La Costituzione è da sempre da realizzare, essenzialmente, nella sua parte economica.
Chi ha studiato gli atti della Costituente conosce come uno degli ostacoli da rimuovere, per attuare la Costituzione economica, fosse il regime fiscale vigente all'epoca cioè l'articolo 25 dello statuto Albertino.Tale articolo privilegiava l'imposizione indiretta sui consumi che penalizzava le classi meno abbienti e le tasse dirette, la complementare, erano in confronto un ben misera cosa, ma pagate essenzialmente dai redditi fissi di operai,impiegati e contadini con la ritenuta alla fonte mentre tutti gli altri contribuenti concordavano la loro complementare, una ben misera cosa, con l'ufficio delle imposte territoriale.
Questo regime venne rivoluzionato dai Costituenti approvando l'articolo 53 della Costituzione assegnando alla fiscalità generale la realizzazione economica e strutturale dei diritti sociali.
In sintesi:alla capacità contributiva, come base dell'imposizione, venne affidato il compito di identificare i redditi effettivi, in modo da abbandonare il sistema dei redditi concordati, e per eliminare l'evasione fiscale.
La capacità contributiva si compone di 3 elementi economici: On.le Scoca rel. art. 53 " tutti i redditi, comunque conseguiti, tutti i patrimoni, mobiliari ed immobiliari, tutte le spese che occorrono per il pieno sviluppo della persona umana in omaggio all'articolo 3 della Costituzione ( non quelle sul lusso); sulla differenza della somma degli importi tra redditi e spese citate si calcolano le varie aliquote progressive im base a ravvicinatissimi scaglioni di reddito. La capacità contributiva effettiva, così come venne formulata dai Costituenti, da la progressivita del ssitema tributario nel suo complesso, tributi diretti ed indiretti sui consumi ( On.li Scoca( rel. art.53) RUINI Pres. comm. dei 75).
Questa formulazione dell'articolo 53 è la grande ignorata e tradita dalla classe dirigente del nostro paese ed ha portato alla colossale evasione fiscale e contributiva ( 230 miliardi annui) ed al colossale debito pubblico, 2034 miliardi, che ci costa 80 miliardi annui di interessi.
In sintesi: niente stato sociale e fallimento del paese.
L'unica RIVOLUZIONE è la realizzazione integrale della nostra BELLISSIMA COSTITUZIONE previa applicazione del suo articolo 53!! Che ne pensate?

perché cambiare la costituzione

Perché è l' unica cosa che la politica può fare. Sul resto non può farci molto, ormai. Non può far nulla per introdurre anche solo germi di cambiamento nell' assetto socio-economico del paese, vecchio, ormai inadeguato. Nemmeno può o vuole cambiare molto nel rapporto malato società-politica. Allora, non restano che le favole. La Costituzione, per esempio. Ma non è una novità. La famosa bicamerale di D' Alema, per esempio. Oppure, prima ancora, il dibattito proporzionale-maggioritario, sfociato nel famoso referendum del '93. Dunque, non è una novità. E infatti i nostri mali sono gli stessi di venti anni fa. E in questi venti anni li abbiamo solo aggravati. Con impegno degno di miglior causa.

costituzione

rossanda ha ragione... ma c'è un piccolo dettaglio.... la costituzione del 1948 fu messa fuori uso dai governi di unità nazionale andreotti berlinguer sostituita da una costituzione materiale adeguata all'emergenza poi diventata prassi normale di governo. il paese però non vuole fare i conti con sé stesso in relazione a quella storia di guerra civile a bassa intensità. c'è ancora chi a 35 anni dal caso moro sta in carcere e il potere usa quei corpi tutt'oggi come trofei di guerra....

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