Cosa si può fare per l’informatica in Italia? Dalle idee ai prodotti, dalle imprese alla domanda pubblica, dalle conoscenze ai mercati, otto iniziative per far rinascere un settore chiave
Un noto economista afferma che i suoi colleghi sono in disaccordo su tutto, ma su una cosa trovano unanime consenso: nell’informatica l’Italia ha perso tutti i treni che si potevano perdere. Registro che anche Carlo De Benedetti diceva la stessa cosa, dopo aver liquidato l’informatica della Olivetti. Molti ripetono questa formuletta perché la loro cultura tecnica è rimasta al livello delle stazioni ferroviarie. Ma anche rimanendo a quel livello dovrebbero accorgersi che i treni dell’informatica continuano a passare e che ogni tanto si fermano in Cina, in India e anche in altri paesi dell’Europa.
La miniera d’oro dell’informatica è l’intelligenza delle generazioni, che va selezionata, orientata e di continuo accresciuta con una visione di lungo termine. Questa è la strategia principale per rimettere in moto il settore. Occorre però riflettere anche su misure che si possono adottare a breve e medio termine. Dall’analisi delle cause specifiche, attuali e remote, che hanno portato alla situazione attuale di declino, emerge la necessità di procedere alla rifondazione dell’informatica italiana mettendo al centro la trasformazione e lo sviluppo dell’industria informatica, con particolare attenzione all’industria del software.
Per avviare una politica di trasformazione del settore e, di riflesso, del modello economico dell’Italia, non basta dare priorità ad un generico sostegno dell’innovazione, come è nella vulgata politico-economica corrente. Né l’azione può limitarsi ad agire indirettamente sul settore. Così, ad esempio, la promozione dello sviluppo di prodotti-servizi ad alta tecnologia nelle infrastrutture (p. e. lo sviluppo della banda larga), non raggiunge lo scopo, in quanto favorisce l’iniziativa delle imprese globali determinando ulteriori squilibri nella bilancia dei pagamenti e marginalizzando ulteriormente le imprese a base nazionale. E nemmeno è possibile limitare l’intervento allo sviluppo della domanda di beni informatici.
Lo sviluppo delle imprese italiane indotto dalla domanda pubblica o privata non si è verificato in passato e non si vedrà in futuro se non cambia la struttura del mercato di settore e del suo comparto strategico, quello del software, dove i maggiori gruppi multinazionali controllano quasi la totalità del mercato. Né i pur lodevoli finanziamenti europei alla ricerca sono riusciti a innalzare la capacità competitiva della nostra industria sul mercato europeo e mondiale. Numerosi esempi, e non solo delle solite grandi imprese leader, dimostrano che solo incardinando la ricerca nel vertice dell’impresa fino a farla diventare al centro di una rete dell’innovazione, solo se la ricerca insomma diventa una leva strategica e non un centro di profitto separato dalle attività di mercato, arrivano i risultati sotto forma di prodotti-servizi vincenti. Questo non basta a garantire il successo; sono indispensabili altre capacità dell’imprenditore e del manager, ma è certo che senza un forte impegno di ricerca è difficile competere con i maggiori operatori.
L’analisi dei modelli di remunerazione delle imprese del settore ha messo in evidenza alcuni punti:
- l’attivazione di linee di prodotto è una fase indispensabile del ciclo di vita di qualunque impresa che oggi opera nel campo dei servizi di informatica (modello prevalente in Italia),
- il mercato deve essere almeno continentale, considerando la mole degli investimenti in gioco per agire con successo nel comparto dei prodotti,
- la nuova linea di attività richiede iniezioni di capitali, dotazione di risorse umane dotate di competenze non convenzionali, capacità di governo della leva finanziaria, della comunicazione e del marketing, managerializzazione delle imprese, innovazione tecnologica e organizzativa, capacità di stabilire rapporti diretti con il mondo dell’università e della ricerca, cosmopolitismo.
Tutto ciò implica l’avviamento di un processo che le nostre imprese non sono oggi in grado di affrontare senza politiche di sostegno che contribuiscano a ridurre il rischio economico, favoriscano la penetrazione sui mercati internazionali, diano un contributo alla formazione e alla selezione di talenti, premino la capacità di invenzione, sviluppino le capacità manageriali a livelli di eccellenza, forniscano insomma una leva all’avvio della nuova fase produttiva.
Gli ingredienti di una politica industriale per l’offerta sono elencati nei punti seguenti:
1.conoscere l’offerta e il mercato del software dando vita ad un’anagrafe dei prodotti software italiani e ad un osservatorio per il software;
2. promuovere l’innovazione dei corsi di studio in informatica e dei programmi di ricerca delle università innovando il manifesto degli studi e la struttura dei corsi in una direzione multidisciplinare e cosmopolita, superando le storiche dimensioni accademiche tra dipartimenti di ingegneria e scienze, e finanziando programmi finalizzati di ricerca di grandi dimensioni per contribuire all’innovazione e allo sviluppo dell’industria del software;
3. promuovere la formazione di imprese operanti nel campo del software di sistema, dove l’Europa è alla quasi totale dipendenza dall’estero, a cominciare dai sistemi operativi che, rappresentando il cuore del funzionamento di tutti i sistemi, dai grandi apparati fino ai telefonini, determinando le modalità di sviluppo, manutenzione e gestione dello strato superiore dei sistemi, cioè il parco applicativo;
4. riqualificare le imprese esistenti:
a. agevolando il ricambio generazionale al vertice delle imprese a capitalismo familiare, promuovendo la partecipazione progressiva del management al capitale azionario (management buyout), l’approntamento di un nucleo di manager che conducano l’azienda nella fase di transizione (temporary management) e aprendo l’azionariato agli investitori istituzionali, favorendo la quotazione in borsa e la ricapitalizzazione;
b. migliorando la governance dell’innovazione tecnologica, con specifico riferimento all’informatica, favorendo l’internazionalizzazione e lo sviluppo di capacità manageriali;
c. ingegnerizzando i processi di sviluppo software promuovendo le “migliori pratiche”;
d. favorendo la crescita dimensionale delle imprese e la creazione di ecosistemi software non legati a specifiche localizzazioni ma organizzati per filiere produttive complete fino a formare macroimprese nazionali o meta-distretti;
5. sostenere le politiche di prodotto:
a. favorendo la differenziazione;
b. organizzando premi per sviluppi innovativi a università, studenti e altri soggetti produttori di conoscenza;
c. incentivando la realizzazione di iniziative di commercio elettronico ;
d. promuovendo nuove competenze e facilitando la selezione di talenti creativi;
e. finanziando le idee;
6. innovare i servizi per il mercato globale introducendo nuove tecnologie per la loro fruizione;
7. promuovere nuovi modelli e strumenti di remunerazione con attenzione al fenomeno del software aperto, all’effetto rete e a modelli alternativi di remunerazione;
8. fare leva sulla domanda pubblica:
a. limitando l’influenza dell’oligopolio collusivo che domina il mercato delle grandi commesse;
b. orientando il ruolo delle Authority;
c. affidando un ruolo propulsivo del mercato alle società regionali di informatica;
d. operando per consentire l’accesso ai grandi progetti anche ai piccoli e medi operatori;
e. riequilibrando il rapporto con i fornitori rispetto ai tempi di pagamento, orientando le gare verso obiettivi di qualità e non di semplice contenimento dei costi con tendenziale riduzione delle tariffe professionali.
Per rendere operativo questo complesso insieme di misure, le forze di governo devono mobilitare le migliori intelligenze del settore e del mondo dell’università e della ricerca, anche in ambito internazionale, per elaborare un programma di iniziative coerenti che spazino dall’intervento normativo e legislativo, al sostegno specifico alla ricerca mirata, al supporto alle politiche dell’offerta e non solo della domanda, alla cooperazione internazionale, alla collaborazione università-industria secondo le linee esposte e individuandone anche di nuove.
Infine, il programma deve essere adeguatamente finanziato e sostenuto come un’iniziativa strategica di lungo periodo per lo sviluppo di un’economia moderna e sostenibile.
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